lunedì 24 dicembre 2012

Dignità

      Tra le tante cose che mi danno fastidio - concettualmente e fisicamente - le festività natalizie occupano un posto di primissimo piano. Non mi interessano, non so a che cosa afferiscano e mi annoiano. Di norma, tra Natale e Capodanno lavoro più intensamente del solito.
       Tuttavia, non mi posso sottrarre del tutto ai parafernalia natalizi (leggasi: acquisti di regali). In giro per il centro di Torino, mi imbatto in un caro amico, di quelli che magari vedo poco, ma con cui ho una fitta corrispondenza via mail.
        Lui sa che non ritengo il 2012 uno dei miei anni migliori, ma è uomo di somma educazione, e non fa domande dirette. Rifugiatici in un bar, discorriamo di varie cose, finché mi chiede: "Se dovessi dare un titolo al tuo 2012, come lo definiresti?"
         Sorrido per il modo elegante con cui mi sta chiedendo un bilancio. Ci penso un po' su e poi rispondo: "L'anno della triade".
       "L'anno della triade?", ripete lui sorpreso.
       "Sì" - ribadisco - "Incomunicabilità, incomprensione, omologazione".
        Tocca a lui, questa volta, sorridere. Mi conosce da una vita e sa che personalmente ho il terrore dell'omologazione. Mi chiede, con un pizzico di ironia: "Ma questa triade infernale ti ha schiacciato, o ne sei venuto fuori?".
       "No, non mi ha schiacciato", rispondo. "Mi ha fatto male, questo sì, ma ho visto mettere in ballo la mia identità, i miei valori, le cose cui tengo di più. Mi sono visto valutato simile ad altri. Mi sono dunque sentito omologato. A quel punto, per me qualsiasi tipo di rapporto di lavoro, personale o quant'altro era finito, concluso, esaurito. Se mi sento percepito come uguale agli altri, in vita mia ho sempre chiuso ogni tipo di rapporto, ed è quello che ho fatto. Per ipotesi, preferirei essere percepito come peggiore, ma come uguale agli altri, questo mai. Quella per me è la fine di tutto".
        "E ora?" - chiede lui incuriosito - "da quello che mi scrivevi mi aspettavo di incontrare una persona diversa, più abbattuta, più triste, più pervasa da un senso di sconfitta. Invece ti vedo in buona forma, pronto a ributtarti nella mischia".
        "Sì, è così" - ammetto - "Del resto, non avevo molta scelta: a livello personale mi era stato chiesto di sparire; a livello professionale di sopravvivere a fini strumentali. Ho preferito sparire in toto. C'era di mezzo la mia dignità. Posso fare tante cose, ma quello dell'utile idiota è un ruolo che mi va un po' stretto..."
         "Ti capisco", dice lui. Beh, almeno uno, penso io...

                                                                                                            Piero Visani




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