venerdì 18 gennaio 2013

Holy Water

       Non so se conosciate l'anima irlandese: è un concentrato di arguzie sviluppatosi nel contesto di una sfortuna secolare. E' una voglia di vivere, allegra e birichina, sviluppatasi all'interno di una storia difficile e tormentata, di un paesaggio stupendo ma difficile, di un clima piovoso ma affascinante, di un'anima gioiosa, giocosa e vitale sopravvissuta persino alle pesantezze del cattolicesimo più truce.
       Amo l'Irlanda dal profondo e amo gli irlandesi. Sono come me. Sono capaci delle peggiori crudeltà, ma sono in grado di sostenere le più atroci sofferenze e, nel subire gli strazi della loro storia, non hanno mai perduto, nemmeno per un attimo, la loro anima witty, quella che fa definire loro le tragedie secolari di una storia tormentata con il fantastico eufemismo di the luck of the Irish. L'irlandese può cantare e uccidere con il medesimo distacco, forse con più partecipazione nel cantare... L'irlandese è pervaso - per natura e condizione storico-geografica - di senso del tragico e, come tale, è un'anima profondamente tellurica, ma, al tempo stesso, il suo esasperato gusto del parossimo lo porta a trovare il riso nel pianto, la farsa nella tragedia e la tragedia nella farsa, a individuare con estrema lucidità che la vita è uno spaventoso coacervo di contraddizioni, all'interno del quale trovare un senso è forse impossibile, pur se occorre talvolta provarci.
       L'irlandese rovescia continuamente i concetti e irride: irride gli altri, per il suo gusto della presa in giro, ma irride al tempo stesso anche se stesso, conoscendo alla perfezione le proprie limitazioni. L'irlandese è contemporaneamente dentro e fuori di sé, e questa capacità di essere "uno e bino" gli consente di osservare e di osservarsi, di capire i propri limiti e quelli altrui, di non prendersi mai sul serio. Lontano dal manicheismo, dal vedere tutto bianco o tutto nero, l'irlandese riesce però a individuare alla perfezione come ogni cosa sia un misto di tragedia e di commedia, e di ogni cosa sa dare diverse letture, che in genere, per essere complete ed esaurienti, devono svolgersi in contemporanea.
       Ho ritrovato tutte queste caratteristiche in Holy Water, un film del 2009 di Tom Reeve, che si vede con il gusto leggero dell'allegria e che deve essere interpretato per quello che è: una lunga metafora sui mali del mondo contemporaneo e su come il grottesco e il sarcastico - due tratti fortemente presenti nell'anima irlandese - possano contribuire a decantarli e a denunciarli. Il film ovviamente non ha una morale, ma ci dice, in toni lievi: "attenzione, non pensate che quelli che vedete all'opera siano dei pazzi o siano gli unici pazzi. Siamo tutti pazzi e viviamo in un mondo di pazzi, pieno di storture che sarebbe bene individuare, fin che siamo in tempo...." Magnifico insegnamento, sempre e comunque, quello di colui che castigat ridendo mores. Specie se, nel mentre si ride, auspicabilmente ci si riflette un po' su...

                                                               Piero Visani

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