lunedì 25 marzo 2013

Prometeismo

       Piove da giorni, con rari intervalli. E' un tipo di clima che mi piace molto. Adoro la pioggia.
       Il lavoro è molto, forse troppo, ma questo è quanto ci impongono i tempi.
       La mente corre, come sempre capita quando si svolgono lavori intellettuali. Scrivo e intanto rifletto; rifletto e intanto scrivo. Penso, costantemente. Analizzo, sviscero, cerco di capire. I pensieri si affacciano nel mio cervello a volte in base a una logica precisa, a volte in forma assolutamente episodica.
       Ho dedicato buona parte del pomeriggio di ieri, trascorso a lavorare, mentre fuori cadeva una pioggia torrenziale, a riflettere sul mio prometeismo.
       In effetti, la mia vita è segnata dal prometeismo, dalla sfida, agli dei e agli uomini. Non so perchè, ma la sfida è una mia attitudine naturale, fin da bambino. Quando, da molto piccolo, i miei genitori tentarono di impartirmi un'educazione cattolica, non perché fossero particolarmente osservanti, ma perché così si usava, la mia reazione fu molto negativa, se non esteriormente, certo all'interno del mio animo. Odiavo fisicamente il cattolicesimo, molto prima di affacciarmi a qualsiasi forma di cultura che me lo facesse odiare ancora di più. Le liturgie tristi, le parole d'ordine per me assurde, la necessità di essere umili (io che umile non sono mai stato...), l'uguaglianza di fronte a Dio (il pensiero egalitario mi disturbava già in età preculturale e poi che eguaglianza è, quella in cui si è sottomessi a un dio? Non conosco e non riconosco dei).
      Man mano che crescevo e mi affinavo culturalmente, ho cominciato a sfidare tutto e tutti, a livello culturale, personale, strutturale. Ma non lo facevo per una qualche forma di ridicolo tentativo di distinguermi, lo facevo perché ero e sono realmente così.
       E' evidente come tutto ciò mi abbia complicato paurosamente la vita, perché, di norma, ho sempre legato l'asino dove NON voleva il padrone. E questo perché non ho mai avuto padroni, tanto meno ho sentito di averne.
        Mi sono impegnato in sfide di vario genere nel lavoro, in politica, nei miei rapporti con l'altro sesso. Ne ho vinte poche, ne ho perse molte, però ho disegnato un percorso di vita al quale mi sento incredibilmente affezionato e questo perché, giorno dopo giorno, ho disegnato la vita che volevo. Credo che poche vite siano meno eterodirette e più autonome della mia. Me la sono forgiata con le mie mani. E' ovvio che avrei voluto che fosse profondamente diversa: avrei voluto altri lavori, avrei sperato di diventare un grande politico (di quelli veri, però, non di quelli italiani), avrei voluto essere amato e non disprezzato dalle donne. Però, in ogni circostanza, sono stato sempre me stesso, non ho mai abdicato all'idea che avevo di me e, a ben guardare, ho fatto una discreta strada senza mettermi al servizio di alcuno, senza fare compromessi, mantenendomi puro e libero.
       A livello sentimentale, ho rincorso donne che mi piacevano tanto, così come talvolta ne ho fuggite altre che non piacevano a me. Ho amato donne che non volevano saperne di me, per un'infinità di motivi, o che mi chiedevano - sempre - di cambiare, di essere un altro. Non l'ho mai fatto, perché non ho mai trovato un buon motivo per cui avrei dovuto farlo. Per portarmele a letto? Avrei potuto provvisoriamente mentire, ottenere l'obiettivo (mai stato un mio obiettivo portarmi una donna semplicemente a letto) e riprendere la mia identità. Per contro, mi sono sempre presentato per quel che sono, con il risultato di raccogliere un discreto numero di pedate nelle terga.
        Tuttavia, la mia autostima mi ha sempre sostenuto. Mi è sempre piaciuto abbattere pregiudizi, totem e tabù, e ho sempre saputo che non sarebbe mai stata un'impresa a costo zero. Conseguentemente, non ho una grande dimensione sociale, pochi estimatori e una nutrita fila di detrattori, ma resto tranquillamente attaccato al mio prometeismo. Continuo a impegnarmi in sfide grandi e piccole e, anche se le perdo, so bene che fa parte del gioco: il mio obiettivo non è mai stata la vittoria, ma il combattimento, il gusto per il combattimento, le scariche di adrenalina che solo il combattimento sa dare. Non mi interessano i risultati. So benissimo stare al mondo da solo. Sono un'anima aristocratica, ergo sputi e mazzate li ho già messi in conto. Ma vi risulta che sia mai cambiato...?

                                              Piero Visani

Nessun commento:

Posta un commento