giovedì 9 maggio 2013

Prendila così...

      Rivedo a Milano un vecchio amico di sempre, con il quale abbiamo diviso davvero tanto. A seguito delle implicazioni spiacevoli di un evento che ci ha visto congiuntamente protagonisti, ciascuno di noi credo provi un minimo di imbarazzo nei riguardi dell'altro, lui perché crede di avermi procurato un danno, e in una certa misura se ne sente colpevole; io perché temo che lui si senta tale, nonostante tutti i miei tentativi di rassicurarlo al riguardo. L'ho anche invitato a pranzo, tempo fa, per chiarirci definitivamente.
      Non c'è dubbio alcuno che ci siamo riusciti, ma è incredibile come certi eventi esterni possano influire negativamente su rapporti consolidati. Non temo, sia chiaro, l'ambito di quello che tra noi viene detto, che è di sincerità assoluta. Temo semmai l'ambito del "non detto".
       Del resto, credo che, se io fossi al suo posto, proverei un sentimento analogo, il larvato dispiacere di aver procurato danno, sia pure del tutto involontariamente, a chi ti è molto amico.
       Gli ho cercato di spiegare - e spero di averlo definitivamente convinto - che non sono minimamente pentito dell'esperienza che ho fatto e che la rifarei senza problemi. Dopo tutto, a me piace passare attraverso le cose e ho aggiunto un'esperienza al mio già nutrito bagaglio esistenziale. Non rinnego niente e, anche se ho molto sofferto, rifarei tutto, per cui non deve in alcun modo sentirsi in colpa. Sono andato là dove mi ha portato il cuore e, se l'esito non è stato all'altezza delle mie aspettative, l'unico dato realmente certo è che lui, in tutto quanto è avvenuto, non c'entra assolutamente alcunché.
       Per mia grande fortuna, questo caro amico è persona intellettualmente dotatissima, e dunque ha compreso al volo; però è comunque spiacevole che tra noi si siano potute creare queste piccole ombre, per quanto passeggere. Ma abbiamo recuperato in fretta, e questa è l'unica cosa che conta.
       Lui è solito sostenere che guarda alla vita "come un barista che sta al di là del banco: osserva ma non partecipa". Non lo invidio e non riesco a invidiarlo: io infatti partecipo alla comédie humaine tra gli avventori, al di là del banco, e non ho mai sentito il desiderio di passare al di qua: Ma lo capisco: stando al di là del banco si riescono ad evitare tante esperienze di "macelleria individuale e sociale", una sorta di "scuola Diaz" esistenziale, dovunque ciascuno di noi si voglia o si veda collocare, a livello di ruoli, in quel film così crudo e tragico.
 
                                 Piero Visani

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