domenica 30 giugno 2013

Californication 2

      Quando ho voglia di distrarmi, o di tirarmi su il morale, guardo qualche puntata di Californication, serie ormai giunta alla quinta stagione. A parte il fatto che personalmente mi identifico almeno un po' con il protagonista, Hank Moody, interpretato da uno straordinario David Duchovny, quello che amo della serie è la sua esasperata concentrazione sul sesso.
       Come la vita vera, questa serie ruota intorno al sesso, con la differenza che, invece che parlarne, se ne fa, in abbondanza. Sento già la comprensibile obiezione che in realtà si tratta di una semplice rappresentazione della realtà, non della realtà vera, e concordo, ma guardo con invidia alla gioia che riescono a provare i protagonisti della serie stessa, che non hanno inibizioni, che anzi dal sesso sono ossessionati e che nel sesso stesso trovano alcune risposte ai loro problemi esistenziali.
       Non sarò io, in nessun momento, ad affermare che lo spirito non sia importante, ma anche la carne lo è, perché la sua funzione è catartica e consolatoria. Ciascuno di noi può avere avuto vite diverse, diversissime, ma io ritengo che il sesso illumini le nostre esistenze individuali quasi quanto l'amore. Per me, l'amore le illumina ancora di più, ma l'amore senza il sesso è in realtà una costrizione terribile, uno sforzo immane, il tentativo di svuotare il mare con un cucchiaino. Il sesso, a sua volta, è liberatorio e, se il sesso senza amore talvolta può essere molto algido, potrei citare casi in cui almeno una profonda tenerezza reciproca è nata attraverso il sesso, mentre conosco un'infinità di casi in cui la mancanza o la scarsa frequenza del sesso ha fatto finire un amore.
       Californication è spesso ai limiti dell'animalità, nella sua esasperazione sessuale, ma noi siamo sicuri - come esseri umani - di non avere al nostro interno una forte componente animale? Quanto ci devasta, a tutti i livelli, vivere un'esistenza da inibiti, in mezzo a divieti, repressioni e anche autorepressioni? Siamo più uomini, più donne, comportandoci così?
        Ogni tanto mi interrogo su quanta vita ho perduto, a causa delle repressioni e, quando lo faccio, mi sento travolgere dalla tristezza, ai limiti della depressione. Quanto sarei stato più felice se, ogni volta che me ne è capitata l'occasione, avessi potuto andare avanti e non fossi stato respinto indietro? Ero un violentatore? Non direi. Un maniaco? Non direi. Un sex addict? Tanto meno. Cercavo una goccia di felicità, dovunque e comunque la si potesse trovare. Ho spesso trovato solo negazione e - lo sottolineo con tutto il vigore possibile - non solo negazione sessuale, ma negazione di tutti i tipi: negazione sentimentale, negazione relazionale, negazione comunicativa, negazione psicologica. Negazione, solo negazione, non so nemmeno dire dovuta a che, visto che mi pare di essere una persona molto educata e rispettosa.
       Il risultato è che le donne che ricordo con maggiore tenerezza sono in definitiva quelle con cui ho fatto sesso, magari anche solo per una sera. Siamo stati veri, magari per un'ora. Ci siamo voluti bene, magari per meno di un'ora. C'è stata verità, tra noi, non infingimenti. C'è stata comunicazione bilaterale, dialogo, non repressione sociale. Abbiamo vissuto e, se ci siamo lasciati, possiamo dire di aver condiviso tutto, o quasi. Non niente di niente. Non siamo stati amici, siamo stati compagni di letto, che in genere è di più, molto di più. Diffidate sempre di tutte le donne che vi vogliono solo come amico. Preparatevi alla fuga.
       Come ho già avuto modo di scrivere, se uno incontra, anche casualmente, una donna con cui ha fatto sesso, il clima che si crea - poco importa se ci si è lasciati bene o meno - è sempre di grande tenerezza, una tenerezza che è impossibile con quelle con cui non l'hai fatto, dove subentrano imbarazzi, diffidenze, senso tragico di incompiutezza, visto che c'è stata una montagna di pulsioni represse
        Californication mi restituisce - ovviamente sovrarappresentato, questo lo so bene, visto che dovrei essere un esperto di comunicazione... - un mondo ideale, dove il sesso non è un tabù, ma una componente primaria dell'esistenza. Per chi, come me, ha sempre dovuto lottare per distruggere totem e tabù, vedere una puntata di quella serie è una boccata di ossigeno. Lo so che la realtà è diversa, ma la realtà io la odio dal profondo, quanto meno la realtà che mi tocca spesso di conoscere. Però posso dire - a consolazione di tutti coloro che, come me, sono costantemente alla ricerca del "vivere di più" - che non sempre, per nostra fortuna, ci si imbatte solo nel proibizionismo. E così si trova un po' di linfa vitale...
 
                        Piero Visani

Metà 2013

       Mezzo anno è passato, con il suo carico di contenuti vari. Fino ad oggi, non è stato un anno particolarmente buono, per me, ma credo non sia facile vivere nel collasso di un continente come la Vecchia Europa. Tutto sta andando in sfacelo e occorre più che altro cercare di sopravvivere.
       Quanto a me, non saprei che cosa dire. Il dato che maggiormente emerge da questi primi sei mesi del 2013 è un forte aumento di creatività. Sono in preda ad una grande voglia di scrivere e anche di fare altre cose. Ho "urgenza di vivere", per dirla con Gianna Nannini. Urgenza di fare cose, di riprendere le mie scorribande tra la carne, la morte e il diavolo. Dunque fuori dagli universi cristiani.
      Sto pensando a tutta una serie di potenziali distrazioni cui dedicarmi, a cominciare dalla più volte citata volontà di scrivere un romanzo. Ma non mi basta, perché su di me grava costantemente il peso della noia. Vorrei riprendere a divertirmi, compatibilmente con i tempi oscuri che stiamo vivendo.
      Divertirmi per me significa soprattutto fare cose interessanti e incontrare persone interessanti. Sul fare cose interessanti, non me la cavo troppo male, nel senso che ne sto facendo parecchie. Ben diverso è il discorso sull'incontrare persone interessanti, ma è solo questione di fortuna. Temo di essere più fortunato negli incontri maschili che in quelli femminili. Ora sono ben lieto dei primi, ma dai medesimi manca - almeno per me che non ho inclinazioni omosessuali - quella componente giocosa, di "sesso in potenza", se vogliamo definirlo così, che è invece ben presente nei secondi, quanto meno con le donne giuste.
       Avrei voglia di tornare a giocare, una volta ogni tanto. Vorrei avere la fortuna di incontrare una donna libera, mentalmente libera, che cerchi le stesse cose che cerco io. Non dispero. Già il quadro complessivo è disperante, non intendo disperare anche a livello personale. Ho sempre un'enorme fiducia in me stesso e cercherò di osare di più. Per citare l'ottimo Ennio Flaiano, "la situazione è disperata, ma non seria". In tali contingenze, per quale ragione cessare la ricerca del piacere, latamente inteso?
 
                           Piero Visani
     

venerdì 28 giugno 2013

La concezione olistica

       Sono un seguace della concezione olistica dell'esistenza. Per me, da sempre, tout se tient. Non riesco a scomporre le cose o le persone. Se una persona mi piace, mi piace in toto. Se non mi piace, non mi piace. Questa è la ragione per cui mi riesce difficile scomporre le persone e anche adeguarmi ad eventuali tentativi di scomposizione a mio carico.
       Se ho dei soci in campo professionale - e ne ho - deve esserci un buon rapporto personale, con loro, oltre che lavorativo. Non sono poche le società da cui sono uscito perché i rapporti interni si erano deteriorati. Ecco perché talvolta, nel corso della mia vita, mi sono un po' sorpreso quando ho cominciato ad essere scomposto come se fossi un puzzle o un quarto di bue (di toro sarebbe pretendere troppo...): talune parti andavano bene, erano "commestibili"; talaltre no. Queste cose in genere mi hanno indotto ad andarmene per la mia strada.
      Io, ad esempio, posso aver avuto con qualcuno contrasti anche molto forti, ma questo non muta la stima personale e professionale che posso avere per quella persona, tanto meno mi induce ad odiarla. Si è detto di me che sarei "tagliente come una lama", ma non è così. Molto più semplicemente, se attaccato mi difendo. Non ho mai attaccato nessuno per primo. Questo è bene non dimenticarlo.
       Mi piace vivere in un'atmosfera armoniosa, dove si possa essere la parte di un tutto. Non voglio stare in un posto se persona non grata e tanto meno se sopportato.
       Sono stato oggetto di qualche stizzosa rappresaglia, ma io non ho fatto proprio niente. Mi sono limitato a chiudere un'esperienza quando è stata dichiarata chiusa da altri. La mia è stata una semplice presa d'atto. Non potendo andare avanti, sono andato indietro. Tutto qui. E l'avevo già largamente anticipato, che mi sarei comportato esattamente così.
       Proprio la mia visione olistica mi impedisce di vivere situazioni a metà. Mi auguro che questa cosa possa diventare chiara, nel lungo periodo. Mi è stato detto di togliermi e mi sono tolto. Ma intero, non a pezzi. Davvero il mio comportamento è stato tanto deplorevole? Che avrei dovuto fare: abbozzare?
 
                                    Piero Visani
 
                                       

E ti vengo a cercare...

      No, non equivocate! Non è una persona specifica che intendo andare a cercare: è solo la vita, solo la vita. Dopo un'approfondita esperienza giudeocristiana, fatta di divieti, di ALT, di rinunce e patimenti, ho voglia di cambiare registro. NON ho espiato le mie colpe, perché non ho colpe. Voglio solo tornare a vivere.
      Dunque "e ti vengo a cercare" è riferito alla vita, alla mia concezione panica dell'esistenza, al mio amore per tutte le forme di olismo. Sono stato bloccato, fermato, "ALTizzato H-24" (direbbe Maroni nella splendida parodia crozziana), eppure "eccomi qua, sono venuto per niente, perché per niente si va" (Francesco De Gregori, La valigia dell'attore).
      Un antiutilitarista come me "viene sempre per niente", appunto "perché per niente si va", solo spinti, direi addirittura propulsi, dal proprio straordinario amore per la vita. E se ti capita di incontrare quelle che preferiscono la rinuncia, il mariagorettismo, il cerbiattismo e quant'altro, beh, ne prendi atto e dici: "ok, ma lasciatemi ricercare - con altre, ça va sans dire - una seconda chance (e una terza, una quarta, una quinta)...".
       Faccio molto sport, ma sono sempre pervaso da una "sana e consapevole libidine", che non viene spenta né dallo stress (che personalmente patisco poco o punto) né dall'Azione Cattolica (che ovviamente patisco molto di più).
       Sono pieno di interrogativi, anche molto profondi. Sono percorso da dubbi, alcuni dei quali anche esistenziali, ma poi "si accende il Dioniso che è in me" (la trovo una versione più pagana de "si accende il diavolo che è in me", dunque la preferisco) e sono pronto a scatenare la mia terribile "volonta di potenza". Lo so, le giudeocristiane fanno di tutto per trasformarla in una "volontà di impotenza" a loro così gradita ("vorrei, ma so, che lei, oh no...!; Ivano Fossati - Oscar Prudente, Pensiero stupendo), ma io non demordo.
        Niente baretti, ristorantini, corsette, regatine, ma l'incontro tra Dioniso e Pan, l'amore per la "bestia bionda", la consapevole soppressione di ogni rinuncia, di ogni limite, la realizzazione di ogni desiderio, anche il più impossibile, il più improbabile, il più "peccaminoso" (ah, l'orrenda concezione del peccato!), il più "perverso" (ah, l'orrore di definire tale ciò che è solo conforme a natura, a Madre Natura).
         Quale enorme differenza esiste tra i giochetti di società borghesi - con le loro storielline di corna, di amanti di cui tutti sanno, di "giochetti a tre per ingannare la noia", di finte "diversità" per farsi notare un po' di più quando si va alle cene del Rotary - e l'incontro "panico" con la natura, il sesso, l'amore, la morte. Andando sempre e comunque oltre. Là dove c'è la vita vera.
          Ti vengo nuovamente a cercare, vita vera. Mi manchi. Lasciamo le rinunce a chi ama reprimere e autoreprimersi, a chi si sazia delle amicizie su Facebook. Andiamo a riprenderci la carne, la morte, il diavolo. Largo al Superuomo! E, se fa paura, meglio!
 
                                    Piero Visani 

Italia - Spagna

       Serata tra amici, per seguire insieme la semifinale della Confederations Cup di calcio, tra Italia e Spagna. Nell'intervallo tra il primo e il secondo tempo, la conversazione decolla:
       "Piero, devi dirci una volta per tutte che cos'hai", esordisce A [non voglio usare nomi di comodo, dunque uso lettere].
       "Nulla", rispondo con finta disinvoltura.
       "Balle, non me la racconti giusta!" - insiste A.
      "Che cosa dovrei dirti?"
      "La verità" - incalza.
       "Ma non c'è una verità. C'è il mio disagio. Temo di aver subito un terribile inganno e un po' mi dispiace, perché non è bello subirli alla mia età, e molto soffro per aver buttato via tonnellate di me per niente".
       "Cosa ti rimproveri?" - mi chiede B, soggetto assai più riflessivo di A, intervenendo nella conversazione.
        "Mi rimprovero di essere stato sincero e di essermi impegnato come un pazzo in un rapporto che credevo vero, per quanto singolare, e che invece era niente".
        "Ma è passato un anno, è ora di smetterla", mi incalza ancora B.
        "Ho smesso, ho smesso, ma non riesco a capire e io non smetto mai di tormentarmi sulle cose che non riesco a capire".
        "Che cosa vuoi dire?" - interviene nuovamente A.
        "Che niente di tutta questa vicenda ha un senso, e questo mi tormenta. Meglio ancora: tutto ha un senso solo se io lo considero un colossale fake. Ma non ci riesco. Tutto mi dice che non è così, che non può essere stato così, che non posso aver sognato".
        "E' quello che ti impedisce di darti pace?" - chiede B, sempre attento alle sfumature.
        "Sì, è quello. Io ero pronto a qualsiasi esito e già sentivo che l'esito sarebbe stato pessimo. Dunque non mi facevo illusioni. Mi sarebbe piaciuto parlarne, chiudere dialogando, se proprio era necessario chiudere. Invece ho dovuto prendere atto che non si voleva chiudere, mi si voleva solo silente, utile e silente".
         "E così è venuto fuori il vecchio Piero antiutilitarista, il seguace di Alain de Benoist e della Nouvelle Droite" - sghignazza A.
         "Sì, è venuto fuori. Mi sono suicidato metaforicamente per senso della dignità e dell'onore, per dare prova del mio totale disinteresse, per essere coerente con l'immagine che ho di me".
         "Non avresti voluto farlo, immagino?" - mi chiede B.
         "Ho dovuto farlo".
         "Sei pentito?"
         "Non potevo fare altro, non avevo scelta".
         "Che cosa ti resta?"
         "Credo di aver sognato. Se riesco a convincermi di aver sognato persone, luoghi, parole, scritti, sguardi, situazioni, allora forse per me sarà tutto più facile".
          "E ci sei vicino?" - chiede B. amaro.
          "Per ora no. E non so neppure se voglio arrivarci. Resterò nel sogno, per quanto doloroso".
 
                        Piero Visani
 
                           

giovedì 27 giugno 2013

Non tutto il male vien per nuocere

       Come sempre succede, non tutto il male vien per nuocere. E' vero - come ho scritto nel post precedente a questo che la mia è stata ed è una vita sprecata. Tuttavia - e credo la precisazione sia molto importante - è una vita integra. Non sono sceso a compromessi. Non li volevo, non mi piacevano e non mi piacciono. Avrei potuto sopravvivere, in certi miei incontri femminili, come cicisbeo, come amico eunuco, come utile idiota, come servo sciocco. Se non l'ho fatto, è perché non accetto ruoli residuali. Avrei potuto sopravvivere, a una storia, come "residuo" della medesima e magari trascinarmi a infinito in quel ruolo, tra sguardi ironici quotidiani e magari imprevisti "ripescaggi" ad libitum della "padrona", se per caso le fosse venuto il ghiribizzo.
         Non sono cose che fanno per me: se dovevo metaforicamente "morire", che morte fosse. Detesto il concetto di residuo, di incompiuto, di inespresso. In più, sapendo di essere niente, quale soddisfazione può dare essere "un pezzo di niente"?
         Non c'è radicalismo in tutto questo, come mi è stato talvolta rimproverato, c'è semplice difesa della mia dignità. Non faccio il deuteragonista, il tritagonista o la comparsa. Cambio teatro.
 
                             Piero Visani
       

Una vita sprecata

      Il concerto di Paul McCartney a Verona, due giorni fa, si è concluso con il canto di The End, pezzo che è posto in conclusione del mitico LP Abbey Road, dei Beatles, e che contiene la ben nota strofa:
 
And in the end
The love you take
Is equal to the love you make
 
      Magari fosse così! Quanto vorrei che fosse così! Ma non è assolutamente così.
      Ho passato la mia vita a cercare di amare, con partecipazione e intensità, donne diverse. Se mi fosse tornato un decimo (voglio largheggiare...) di quello che ho dato, penso che sarei un uomo felice. E invece...
       Quanto mi sono speso, quanti entusiasmi ho versato, quanta passione ho cercato di trasmettere, con il risultato di trovarmi ad essere un'aquila che cercava di insegnare a volare alle galline.
       Non pensate che sia un giudizio negativo o insultante. Niente di tutto questo. Le donne che ho incontrato io - non le donne in generale, odio le categorizzazioni - erano quasi tutte soggetti tellurici, esseri al più volitanti, non volanti. E io ho profuso tonnellate di amore per loro, e cosa ho ricevuto in cambio? Meglio lasciar perdere...
       Ho conservato, molto ben custodite, le lettere che ho scritto in tempi lontani, le mail che ho mandato in tempi più vicini. Ogni tanto ne leggo qualcuna e con piacere mi riconosco, riconosco me stesso, il mio diluvio di passioni. Poi vado a leggere le risposte o le lettere e le mail che mi arrivarono dalle donne che ho amato e noto come molte assomigliano, per trasporto, a certe comunicazioni dell'Agenzia delle Entrate: freddamente burocratiche, intrise di un senso di fastidio che forse, ora che le leggo ex post, emerge ancora più nitidamente di quanto non apparisse all'epoca in cui furono scritte.
        Se ci fosse un motivo per condannare irrevocabilmente la mia vita - e, ahimè, c'è - questo consiste nel fatto che essa è consistita in un lungo percorso di amori non ricambiati, di passioni sterili o meschine o grette o ricambiate con il bilancino. Ho buttato via tutto me stesso, in quelle storie, e gli unici ricordi belli che mi rimangono sono quelli di alcune storie di sesso, di cui almeno posso ricordare il corpo di lei, teneramente allacciato al mio per qualche momento, talvolta neppure troppo breve, di autentica felicità, di puro trasporto, di prosa che diventa poesia.
         Ma il resto? Regali, fiori, gesti gentili, attenzioni, ristoranti. E in cambio? In cambio niente. Non pensate che in cambio mi attendessi sesso. Non sono quel tipo di uomo. In cambio mi attendevo un incontro di anime privo di preclusioni, cioè che poteva anche diventare incontro di corpi, ma senza forzature, cogenze, obblighi. A condizione che ci si parlasse, fittamente, che ci si scambiasse molto di sé, che si ponesse rimedio a solitudini tramite il dialogo.
         Ho accumulato solo disastri e quello che mi fa più male non sono i risultati, ma aver visto ogni volta buttato via - talvolta freddamente, talaltra con fastidio, talaltra ancora con stizza - il mio desiderio di comunicare. Come se fossi il più orribile, il più fastidioso, il più repellente degli uomini.
        Ne ho preso atto. Probabilmente lo sono davvero. Avrei potuto farmi venire un complesso d'inferiorità, ma non credo sia quello il problema. Più semplicemente, ho capito che non serve comunicare con chi non vuole comunicare, che non serve cercare di amare chi non vuole essere amato, che non serve dialogare con chi rifugge il dialogo, che non serve cercare l'incontro di anime con chi non la possiede, un'anima.
         Ecco perché penso che la mia sia una vita sprecata. Non perché sia stata sprecata in sé, ma perché mi è toccato di viverla nel mondo dei morti (e, più ancora, delle morte). L'ho capito tardi, ma l'ho capito. Del mio amore per le cose, per i libri, per i dettagli, per le culture, per il dialogo, per le conversazioni intelligenti e stimolanti, non interessava niente ad alcuna. Ero e sono fastidioso. E forse, per molte, un uomo intelligente e colto resta un ossimoro vivente, di cui non può fregar loro di meno. Dove sono i soldi, la stupidità programmatica, la superficialità che le fa ridere, la "cannetta" che le rende allegre, il disimpegno che maschera un'incultura profonda? In effetti, io granché di tutto questo non lo posso dare. Non sono peculiarità che posseggo, non in misura "soddisfacente", quanto meno.
          Prendo atto, ma non per questo cambierò. Starò un po' di più da solo, ma certo non pentito. Del resto, per me una vita privata degli affetti, degli stimoli intellettuali e culturali, dello spirito, del sesso, della gioia di vivere, altro non è che una morte anticipata. Non mi farò rinchiudere in quella gabbia. Continuerò a ricercare il piacere, in tutte le sue forme. Ma il piacere vero, quello del pathos e della partecipazione, non quello della superficialità e dell'oblio. Non ho bisogno di dimenticare o dimenticarmi, io. Anzi, ho molta stima di me.
 
                              Piero Visani
 

Discorsi da maschi

       Esistono due categorie di discorsi da maschi (e ovviamente mi si perdoni la inevitabile generalizzazione): la prima è quella in cui alcuni (non tutti, solo alcuni) cercano di impressionare gli altri con il lungo elenco delle loro "conquiste". Quasi sempre false, perché i veri "conquistatori" sono le persone più discrete del mondo e sono impegnati a "cogliere l'attimo", non certo a raccontarlo. La seconda è quella degli amici veri, piccole conventicole, nuclei molto ristretti o addirittura due sole persone, che, in qualche bar di questo inizio d'estate non propriamente caldissimo, si raccontano le loro storie: storie di macerie, di disinganni, di massacri, di aspirazioni sempre più marcate alla condizione monacale.
        Una tradizione culturale radicata, e ora alimentata ad arte, vuole che gli uomini siano il sesso forte, incapaci di amare o di ammettere l'amore, anaffettivi, interessati solo al sesso e via vaneggiando. Ma questo non è nulla più che un bieco stereotipo. Tra i miei amici e conoscenti, uomini la cui età varia dai trent'anni o poco più a persone molto più anziane di me, è tutto un continuo rincorrersi di riflessioni dolenti, sulla nostra solitudine, sulla crescente impossibilità di riuscirsi a capire, anche solo vagamente, con l'altro sesso.
        Dalle nostre vite, le donne stanno uscendo e non so neppure quanti di noi rimpiangano tale fuoriuscita. Chi infatti riesce a riconoscersi in soggetti autoreferenziali, sempre meno eterosessuali (per non dire scopertamente omo), di cui nessuno riesce a comprendere nemmeno vagamente che cosa vogliano. E in particolare che cosa vogliano da noi, a parte un suicidio rituale di massa (direi di genere...), da svolgere possibilmente in loro presenza...
         I nostri amici che hanno mantenuto un rapporto costante con l'altro sesso sono o pochi incalliti womanizer o legioni di maschi palesemente asessuati, soggetti che sanno tutto di detersivi e lavatrici, dei quali ti chiedi se, oltre ad essersi castrati fisicamente da chissà quanto tempo, ora stiano procedendo anche all'autocastrazione psicologica e intellettuale.
         Su questo fondo, noi due - io già parecchio avanti con gli anni, lui decisamente più giovane - sembriamo due autentici relitti del passato. Ci raccontiamo i nostri amori, la nostra voglia di passione, comunicazione, dialogo, e ci accorgiamo in fretta di non essere altro che patetici, scorie umane di un'epoca tramontata, ultimi romantici di uno scenario dominato solo da sessuofobia e basse motivazioni di interesse.
         Sorridiamo amari, ci sentiamo dei patetici revenant, ci ripromettiamo di cambiare, ma sappiamo bene entrambi che non lo faremo. Se cambiassimo, la nostra sarebbe una resa a un mondo che non sa più amare, che non sa più nutrire passione, che vive tutto in superficie, in cui le persone non vivono la vita, ma vi si appoggiano sopra, come se la vita stessa fosse uno dei loro tanti hobby.
         C'è empatia, tra noi, e ci raccontiamo le nostre personali disgrazie, più o meno marcate. Il mio amico auspica un nostro rapido rifugio nell'atarassia, mentre io dico che non ci resta che continuare ad essere noi stessi. Lui sorride scettico e mi dice che sono come Nanni Moretti in Bianca: "Continuiamo così, facciamoci del male!". Ridacchio e ribadisco che non intendo demordere, anche perché per me è diventata una scommessa: voglio trovare una donna con cui riuscire a dialogare a 360 gradi, che non mi seppellisca sotto i suoi no, le sue inibizioni, le sue frustrazioni. Che non mi chieda sempre e solo tutto, ma che mi dia anche qualcosa; che si interfacci con me, che non mi consideri solo il minorato membro di una minoranza in via di estinzione.
           "L'ottimismo non ti manca, vedo" - nota lui scettico.
          "Perché dovrebbe venirmi meno? - insisto io - "E' tutta una questione di ricerca interiore ed esteriore. Quando meno me lo aspetto, quella persona la troverò".
 
                           Piero Visani
 
            

mercoledì 26 giugno 2013

Le agende

      Che mestizia, quando si esce dalle agende delle signore! Ma mestizia di tipologie diverse:
- c'è la mestizia autentica, quella della signora che ti ha sperimentato sessualmente, ti ha dato un voto non elevatissimo e ti vuole togliere semplicemente di torno, per sperimentare nuovi membri (del suo personalissimo club, intendo, non fatemi inutilmente volgare).
- C'è la mestizia falsa e posticcia, fatta tanto per dare un contentino a colei che ha deciso di buttarti via e tu, anche se pensi "ma non poteva decidersi prima!", devi esibire una faccia di circostanza, tanto per non farle troppo male.
- C'è la mestizia giocosa e gioiosa di chi stava in un'agenda per fare numero, o perché era lo stronzetto di turno, o l'amico del cuore di storielle autoerotiche e/o di simpatici inganni, e scopre che starne fuori è meglio che starne dentro, perché uno ha già dato e non è il caso di contribuire due volte...
- C'è la mestizia esultante, difficile da occultare, di colui che sa che la detentrice dell'agenda è - come dice un mio grande amico genovese - "all'85°" e, nella sua personale partita di calcio/partita di vita, sente vagamente che dopo il 90° il recupero sarà breve e i supplementari del tutto esclusi. E dovrà pensare a come riciclarsi: da sé, con amiche, con qualche barbagianni parecchio in soldi? Mercato libero!
      Eh sì, non è poi del tutto male uscire da certe agende. Capita di fare tappezzeria anche nelle agende e a me davvero non piace. Dioniso, Pan, amate divinità dell'Olimpo, venitemi in soccorso! Ho bisogno di realtà, dopo tanta finzione...!
 
                                               Piero Visani

Portare rispetto

       In gioventù, tra il 1962 e il 1965, ho trascorso lunghi periodi in una città del Sud. Attento come sempre alle atmosfere, ai particolari, alle temperie, e spesso in viaggio per accompagnare mio padre in alcuni spostamenti nell'Italia meridionale e in quella regione specifica, ricordo di aver percepito con chiarezza l'importanza del "portare rispetto" e di averlo fatto mio, come valore cui ho sempre tenuto.
       In quegli anni, da quelle parti ci si dava ancora del "voi", e al "tu" si passava solo in presenza di rapporti molto ma molto consolidati. Ma quello che mi impressionò veramente era il rispetto che si portava alle persone.
       Da allora lo porto agli altri e desidero che lo si porti anche a me e, anche se è trascorso mezzo secolo, continuo a non amare il "tu", egalitario e verminoso, falso come Giuda, e i rapporti improntati su quella soave levitas che, per mia personale esperienza, è l'anticamera della sodomia (metaforica), in quanto tende solo ed esclusivamente a farti abbassare le difese.
       Quando non mi si porta rispetto, tendo a irritarmi leggermente e a reagire duramente. E naturalmente, se qualcuno mi manca di rispetto, non mi dispiace farglielo notare, con le buone o le meno buone. Per mia fortuna, il mio modo di presentarmi, di essere e di interloquire non è tale da indurre molti a comportarsi con soverchia disinvoltura nei miei riguardi, ma, se a qualcuno è mai venuto il ghiribizzo di farlo, in genere poi - per dirla alla meridionale - faccio in modo che tornino "imparati". Sono un "omo de panza" - anche se non fisicamente, perché la pancetta la aborro - e come si fa ad ottenere rispetto lo so benissimo. Rispetto vero, magari ispirato da timore, assai diverso da certe finte fratellanze ispirate da interesse. E, nel caso il rispetto venga meno, so bene come fare a riottenerlo, in fretta... Non sarà un viatico di simpatia, non sarò un "compagnone" di quelli da leggiadre esperienze amical-eunucoidi, ma io preferisco essere realmente temuto che fintamente apprezzato.
 
                            Piero Visani

Un "uomo oggetto"

      Sì, lo confesso, sono stato anch'io un "uomo oggetto". Non molte volte nella vita, anzi direi poche, pochissime. Ma certamente lo sono stato. Mentirei a me stesso se non lo ammettessi.
       Quando sono stato un "uomo oggetto"? Quando ho incontrato una donna che mi piaceva moltissimo e, per destare e mantenere le sue attenzioni, sono diventato un oggetto nelle sue mani.
        L'ho fatto deliberatamente, consapevolmente, sia nelle fasi positive (cioè in quelle in cui occorreva destare la di lei attenzione) sia in quelle negative (quando occorreva cercare in qualche modo di tenerla viva, pur comprendendo che stava declinando). E mi sono impegnato a fondo in entrambe le fasi, perché il mio interesse per quella donna era precipuo.
        Mi sono anche sentito un "uomo oggetto", visto che servivo a tutto meno che a quello che interessava a me, ma non me ne sono minimamente preoccupato. Mi interessava suscitare le attenzioni dell'amata, null'altro. Ergo regali, attenzioni, supporto totale nelle fasi di crescita; adeguamento ai suoi desiderata, quali che fossero, in quelle di declino.
        Ho fatto male? Probabilmente sì, ma era ciò che sentivo di fare.
        Ne ho tratto vantaggi? No, ne ho tratto solo gravi danni, ma era quello che ritenevo giusto fare.
        Nelle fasi di crescita, speravo di ottenere successo. Nelle fasi di declino, speravo di ottenere rispetto. Ho mancato clamorosamente entrambi gli obiettivi, ma non sono pentito. Ho lasciato parlare il mio cuore e - a quanto pare - è proprio quello che non si deve fare.
        Dei trattamenti molto ruvidi che ho subito, non ho nulla di che lamentarmi. Superata la disillusione iniziale, li ho accettati come comprensibili, visto che facevo così schifo. Mi rimane il dubbio di come possano essere state invece prese tanto sul serio le mie reazioni da persona con il cuore spezzato, visto che è una bella pretesa esigere che solo gli "uomini oggetto" abbiano il senso della sconfitta e ne prendano atto gioiosi. Le donne invece hanno il diritto di offendersi, se qualcuno le critica...? E la gioia per la vittoria conseguita? Io sono stato destinato a un cassonetto e ci sono andato disciplinatamente, solo preoccupandomi di ricambiare il lancio. Davvero un gesto così simpaticamente paritetico è risultato tanto iconoclasta? E il senso del gioco, la visione ludica che deve presiedere alle cose? Serve solo se le partite le perdo programmaticamente io, e i danni restano a me? Come è bello essere egualitari e libertari in siffatta maniera: privatizzazione dei profitti e attribuzione solo a me delle perdite. Eh sì, più oggetto di così: un vero uomo da marciapiede. Per fortuna che, come peripatetica, scalcio parecchio e - a quanto pare - faccio pure parecchio arrabbiare. Pensate se non ci riuscissi, sarei un fallimento su tutta la linea. Così, invece, qualche soddisfazione (postuma) me la tolgo anch'io.
 
                          Piero Visani

Un banale errore tecnico

      Giusto per la precisione storica, cui tengo molto, non mi piace passare sotto silenzio il fatto che, proprio un anno fa, di buon mattino, sono stato oggetto della mia "defenestrazione di Praga". Sfortunatamente per i miei aggressori, un loro banale errore tecnico di lancio ha fatto sì che, dopo essere volato dai finestroni del castello di Hradcany, io sia atterrato su un mucchio di detriti, proprio come toccò - quel lontano 23 maggio 1618 - al funzionario imperiale Philip Fabricius, successivamente elevato a nobiltà con il titolo onorifico di "von Hohenfall" [c'era senso dello humour, all'epoca...].
       Ammaccato ma vivo, e comprensibilmente irato, anche se i miei aggressori si affrettarono a chiarire di "non comprendere le ragioni di tanto risentimento" [ma "c'erano" o "ci facevano"?], mi preoccupai subito di "rendere la cortesia", badando però a non fare troppo male ai medesimi, ma solo a rimettere, per così dire, le cose in pari.
       La mia reazione purtroppo non fu gradita e tanto meno compresa, sebbene io avessi cercato subito di chiarire che non si trattava altro che di un mero atto compensativo. Sfortunatamente, gli egalitari, quando sono oggetto di misure di pareggiamento, non si sa perché ma tendono ad arrabbiarsi, mentre i pacifisti, se non possono esercitare a titolo gratuito la loro virulenza, tendono, come le formiche, a incazzarsi.
        A un anno di distanza, la situazione è sotto controllo. Ho persino provato a fare un gesto di pacificazione, ma la mia mano tesa è stata ignorata, con disprezzo e anche con rabbia. Ne ho dedotto che ho colpito bene, a suo tempo, se suscito ancora tanta animosità e che pacifismo ed egalitarismo sono due "ismi": vanno bene se applicati ex cathedra Petri a dei poveri underdog, meno se portano a compiere un grave errore tecnico con un guerriero [occorreva ucciderlo, metaforicamente, altrimenti...]. La reazione, a quel punto, è inevitabile, e fa male, molto male. Costringe, per certi versi, a portarmi "sempre un po' con sé"... Ma è quello che mi si era promesso, no? Dunque è giusto che anch'io dia il mio contributo al mantenimento delle promesse. Quello è vero dialogo...
 
                        Piero Visani   

La voce narrante

       Mi piace agire da voce narrante di vicende che mi hanno come protagonista. Spesso, quando non scrivo, mi racconto storie concepite in tal modo. Ma - attenzione! - non è una modalità di "costruzione della realtà; è proprio la realtà che si dipana sotto i miei occhi in quella maniera.
       Dopo qualche giorno di "ritiro dal mondo", di immersione in me stesso, mi sento molto confortato, rassicurato, convinto. Sono pronto a una nuova fase di storytelling che mi abbia come protagonista. Qualche opportunità l'avrei già anche individuata, ma vorrei lasciare spazio alla naturalezza, libero corso agli eventi.
       Non intendo mettermi in caccia di qualcuno o di qualcosa, semmai lasciare libero corso alle cose. Vorrei trovare una persona libera, mentalmente e psicologicamente libera, amante della sperimentazione come me.
       Che cosa cerco, in una donna? L'ho scritto infinite volte: un incontro di anime. E' molto bello l'incontro di anime, se riesce. E, quando riesce, apre di fronte a sé numerosi scenari, che occorre avere il coraggio di percorrere.
       Che cos'è, l'incontro di anime, se non una forma molto evoluta di condivisione? E perché, nei rari casi in cui si registra, non cercare di portarlo sempre più a perfezione? Perché un incontro di anime non dovrebbe diventare un incontro di corpi? E soprattutto: un incontro di anime non può accettare divieti, perché a quel punto non sono i divieti a manifestarsi, è l'incontro a venire meno, a scivolare nella banalità di una relazione incompiuta.
       E' ovvio, più che ovvio, che una relazione di anime può anche non diventare una relazione di corpi, ad esempio perché tale è la volontà di uno dei partner. Ma allora, nel momento in cui subentra quel blocco, chi impone il divieto deve essere consapevole che l'intimità fisica deve essere sostituita da una fortissima intimità spirituale, prossima addirittura al parossismo, di modo che quest'ultima possa supplire con successo alla mancata intimità dei corpi.
        Se ciò non avviene, l'incontro di anime scivola molto rapidamente verso una modestissima e banalotta relazione di amicizia, di amicizia tra inibiti, perché non evolve verso l'alto, ma rincula verso il basso.
         Nessuno può pensare, in nessun momento, che l'incontro di anime comporti necessariamente quello dei corpi, ma l'incontro di anime, essendo molto di più di quello fisico, richiede un'intimità enorme, altrimenti diventa un'amicizia tra sessualmente inibiti o frigidi, e decade rapidamente verso il nulla.
          Ho accennato a una di queste vicende, che mi ha visto protagonista, sulle pagine di questo blog e ormai posso ammettere francamente di aver nutrito per parecchio tempo la speranza che l'incontro di anime potesse veramente portarci molto in alto, anche senza coinvolgere la dimensione sessuale, visto che quest'ultima non era gradita da uno dei due protagonisti. Purtroppo, ad un certo punto ho dovuto prendere atto del fatto che il conclamato incontro di anime era un mero esercizio retorico, che non andava mai da alcuna parte, visto che non c'erano confidenza, intimità, complicità, ma solo vaghi accenni alle medesime, non accompagnati da niente. Non a caso, tutto quello che avevo impiegato mesi a costruire si è sfilacciato nel giro di 4-5 settimane, sostanzialmente perché era una finzione, o non aveva un fondamento serio.
         Ad onta di questo miserevole esito, l'incontro di anime resta al vertice dei miei pensieri e dei miei desideri, in quanto, con la donna giusta, può rappresentare un'esperienza bellissima. Riuscirò a farne uno nuovo a scadenza breve? Davvero non lo so, ma ci proverò. Spero solo di essere più fortunato e più valido nella scelta della persona. Non vorrei nuovamente puntare tutto sulla persona sbagliata. Non perché io pensi davvero che fosse tale. Lungi da me. Ma perché non vorrei essere lasciato nuovamente in mezzo al guado per paura, noia, fastidio o quant'altro da chi, per ironia della sorte, sarebbe in realtà la persona giusta.  Mi auguro vivamente che il mio prossimo archetipo femminino incarnato, la mia prossima "puledra irlandese" sia simpaticamente farouche e coraggiosa, priva di paure. Faremo esperienze divertenti, insieme, se avremo il coraggio di riconoscerci, di parlarci.
 
                            Piero Visani

martedì 25 giugno 2013

Il poeta

       La mia dannazione, la mia condanna, è che sono sempre stato un poeta. La poesia mi ha fatto vivere, la poesia mi ha ucciso.
        Ho portato la mia poesia nel mondo, ma nessuno desiderava ascoltarla e così la poesia stessa ha finito per massacrarmi. Ora non so nemmeno dove fuggire e inoltre non amo fuggire. Mi riesce difficilmente sopportabile l'idea di non poter diffondere i miei carmi, ma a chi possono interessare? A chi possono interessare le poesie? A chi possono interessare i poeti? Con chi posso parlare? Non ho a disposizione giochini di vario genere con cui distrarmi o indurmi a non pensare.
        Ho sempre avuto in mente la frase Carmina non dant panem e invero ho costruito la mia vita per sottrarmi almeno in parte a tale pericolo, anche perché io non sono e non intendo essere un poeta in senso stretto, semmai un profondo amante della poesia che c'è nelle cose. In realtà, però, ho scoperto a mie spese che i carmina non danno molte altre cose, oltre il panem, e ora sono qua a interrogarmi su milioni di questioni, a cominciare dal perché i miei quesiti cadano sempre nel vuoto e rimangano tragicamente privi di risposte.
       Ho l'animo trafitto da mille lame, ma vado avanti. Mi imputano tutti i mali del mondo, ma questo è solo dovuto al fatto che - come il bambino della favola - continuo a ripetere, ogni volta che mi capita di incontrarlo, che "il re è nudo". E non smetterò. Sono poeta, sì, ma anche tenace, coraggioso e cocciuto. Se qualcuno si aspetta da me rese e attestazioni di banalità, dovrà attendere fino alla mia morte. E penso che scriverò sempre di più.
 
                     Piero Visani

Cosa resterà?

      Cosa resterà dei miei atti? Cosa resterà dei miei pensieri? Cosa resterà dei miei amori? Probabilmente nulla, ma la sensazione di vuoto che ne deriva non è e non può essere tale da indurmi a pensare di aver sbagliato.
        Ho vissuto situazioni che mi hanno coinvolto nel profondo e nelle quali ho profuso tutto me stesso. L'esito è stato catastrofico, ma io so che rifarei tutto, alla lettera, perché quello che ho fatto è quanto sentivo di fare. E quello che mi piace sottolineare - e mi piace persino sentire - è che più il tempo mi allontana da certi momenti, da certe collere, da certe sofferenze, più mi sento pervaso dal convincimento di essermi comportato nel migliore dei modi possibili, di avere fatto di tutto e di più.
         Si tratta di un sentimento consolatorio, ma - chiariamoci - non nell'accezione classica che viene attribuita al termine: qui non c'è nessuno da consolare, perché io non ho rimpianti, non per quanto riguarda me. Sono stato lucido, presente a me stesso, pieno di sentimenti positivi finché ho avuto la possibilità di esserlo, e li ho estrinsecati nelle forme "sopra le righe" che mi sono proprie. Poi, quando li ho visti e sentiti inutili, quando mi sono in una certa misura sentito ingannato, ho avuto una reazione rabbiosa, ma ora è passata anche quella e, nel poco o nulla che mi resta in mano, mi rimane comunque quella mia capacità di buttarmi, anche e soprattutto senza rete, ma con generosità, con voglia di conoscere, di sperimentare, di fare, di andare oltre. Questa è la parte consolatoria.
        I voli senza rete - si sa - possono finire molto male, ma non ritengo che il mio sia finito così. Sì, ho battuto molto duramente sul terreno, ho subito danni, di cui qualcuno forse permanente, ma quello che mi sta riempiendo giorno dopo giorno di entusiasmo e di sentimenti positivi è che, in tutta questa vicenda, io sono stato vero. E sono sempre andato avanti, senza scappare mai, esattamente come sono solito fare.
       Non ho nulla da rimproverare ad alcuno, perché ciascuno ha fatto le proprie scelte e io ovviamente le rispetto. Non tornerò nemmeno sul tema della sincerità o meno, delle prese in giro o meno. Sarebbe sciocco. Quello che conta davvero è che fossi sincero io, e io sono sempre sincero. Ma è proprio la sincerità che mi ha salvato. Potrei forse rimproverarmi di essere stato sincero? Di essere diventato, grazie a quella mia sincerità, un "tesoro", apertamente apprezzato? Palesemente in grado di suscitare reazioni positive.
       Come potevo immaginarmi che il "tesoro" a un certo punto sarebbe divenuto un "noioso", un "perturbatore"? Non era nei miei intenti. Io non sono cambiato. Se altri sono cambiati, se è mutata la valutazione su di me, va benissimo. Magari non me lo si è spiegato proprio con stile, ma non c'è certo problema. Ho saputo uscire di scena, a modo mio, ovviamente, ma ci sono riuscito.
        Se oggi il mio animo si fa ogni giorno più leggero, anche se le date sul calendario mi fanno correre la mente a momenti non proprio gradevolissimi, è perché ricordo bene sincerità, disponibilità, flessibilità, rispetto, cura e amore presenti nelle mie offerte. Di cosa dovrei pentirmi o rimproverarmi? Che cosa mi può importare essere diventato un catalizzatore di odio e rabbia? Odio di che, rabbia di che? Io sono sempre me stesso, sincero esattamente come prima. Non ho dovuto nemmeno cambiare i miei giudizi, che restano positivi, perché sapevo di gestire una situazione di confine, volevo provare a farlo e, anche se non ci sono riuscito, non sono pentito. Ci ho provato, perché amo le grandi sfide, le missioni impossibili. La mia è fallita, ma la sua bellezza stava proprio nell'elevatissimo livello di difficoltà e nell'assoluta singolarità dell'obiettivo. Se anche mi fossi comportato come Icaro, che volò troppo vicino al Sole, beh, ci sarebbe da essere lusingati, no?
        Ora sono qui, a fare tesoro dei miei errori, ma prontissimo a tornare a volare: l'enorme carica di pathos che mi porto dentro può non piacere, per carità, ma non vorrete mica che la comprima. Si riparte, si riparte! Non mi attengo a norme (da leguleio) e non faccio calcoli (da economista). Attingo solo alla mia voglia di vivere e di sperare. E la speranza è di trovare presto non una missione possibile, ma la più folle, estrema e divertentissima delle missioni impossibili. Non giudico niente dal successo, io, ma solo dalla voglia di rischiare. E la mia voglia di rischiare è formidabile. Le "puledre irlandesi" cui ancora non ho dato la caccia sono avvertite: I'm back!!
 
                                                           Piero Visani

Vivisezione

       Sono solito analizzare al microscopio, al più potente dei microscopi, tutte le situazioni che ho vissuto. Le indago in profondità, le viviseziono.
       C'è chi ritiene che lo faccia per farmi male, per una forma di masochismo, ma non è assolutamente vero. Il mio è piuttosto l'approccio di un militare che, al termine di una fase strategica (o tattica), cerca di comprendere quali errori siano stati commessi, di modo che non si ripresentino più nella successiva.
        La mia attuale scelta di isolamento è dunque una tranquilla scelta di riflessione, di indagini sui modi onde evitare brutali e gratuite mazzate da persone per le quali mi ero speso molto. Avendo intenzione di continuare a spendermi, perché non intendo certo cambiare la mia filosofia di vita, sto riflettendo sulle cautele da adottare.
        Il mio animo però è positivo, perché sono consapevole di essermi comportato nel migliore dei modi possibile. Sono stato la persona più aperta e disponibile del mondo e, se non è bastato, non è certo cosa che io possa imputare a me stesso. Dunque la mia riflessione è essenzialmente una riflessione di salvaguardia, di autotutela, di attenta valutazione delle controparti. E' possibile, infatti, essere portatori della massima apertura e incocciare nella massima chiusura. Occorre dunque essere accorti nell'individuare i modi in cui tale massima chiusura viene mascherata, onde evitare di ripetere errori un po' sciocchi o sgradevoli (tipo prendersi pedate e doverle necessariamente restituire per par condicio).
       A me piace, nelle cose che faccio, tentare di andare fino in fondo. Se non ci riesco, ci rifletto su, analizzo tutto nei minimi particolari e mi appresto a ripartire. Un enorme stimolo mi viene dal fatto che sono sempre chiaro, generoso, adamantino, flessibile. Se questo mio atteggiamento non piace, me ne dolgo, ma non ho alcuna intenzione di mutarlo. Porterò me stesso e la mia "offerta" in altre direzioni. Ma sarò sempre io, con i miei pregi (tanti) e i miei difetti (ma ne ho?): inquieto, troppo rapido, egocentrico, per nulla incline all'onanismo e soprattutto tanto bello, tanto elegante, tanto colto, tanto intelligente. Chiaro che, con la selezionata concorrenza maschile che c'è in giro..., mi rifarò rapidamente.
 
                                         Piero Visani
 
                           

Aforismi nietzscheani - 1 e 2

       In questa mia estate di lavoro, di meditazione, di riflessione, i miei momenti di libertà sono segnati dal pensiero. Io penso sempre. Il pensiero mi accompagna ovunque. Parlo con me stesso e mi isolo dal mondo, dove scendo solo quando ne ho voglia.
       Leggo, leggo disordinatamente, confusamente, massicciamente. Leggo e rileggo. Cerco un equilibrio interiore e lo trovo; poi però mi affanno a smontare l'edificio che io stesso ho creato, perché la mia mente è perpetuamente in movimento e non intende fermarsi.
       Leggo un aforisma nietzscheano che mi piace, che trovo conforme a me: "Chi regala qualcosa di grande non trova riconoscenza, perché chi lo riceve ha già troppo peso nell'accettarlo".
       A me è capitato molto spesso - io credo - di regalare "qualcosa di grande", spendendo tutto me stesso. Non ho mai trovato riconoscenza e mai la troverò. Ma la colpa è precipuamente mia. Io spero sempre di trovare persone che condividano con me la voglia di dare. Spesso, purtroppo, incontro soggetti che hanno certamente una voglia grande, ma di prendere, non di dare.
       Sono andato incontro a gravi disillusioni, da quel punto di vista, ma come rifugio mi resta me stesso. Io mi trovo molto bene con me: trovo un interlocutore molto acculturato, che condivide le mie stesse passioni, che ama l'analisi approfondita, che sa spaziare sui temi più diversi, che è totalmente disinteressato, nelle cose che fa. Io non mi tradisco, non mi deludo, non mi prendo in giro, e dunque riesco a volermi bene. Ho capito che devo centellinare al massimo i miei contatti con il mondo esterno. Sono troppo diverso. Devo tutelarmi. Il mio piano di realtà è assai diverso da quelli correnti. Rischio di essere coinvolto in troppi giochi al massacro e di vedermene addossata la colpa. Per mia fortuna ho le spalle larghe, larghissime, e rimango in attesa di nuove opportunità, come sempre ispirate al più totale disinteresse.
        So cosa vuol dire passare - anche in fretta! - dal "tesoro" al "noioso" sulla bocca dei falsi e posso chiudere con un secondo aforisma del grande filosofo tedesco: "Non che tu mi abbia ingannato, ma che io non ti creda più: questo mi ha scosso". In una parola, mi facevo più sciocco. E invece anch'io, finalmente...
 
                                 Piero Visani


lunedì 24 giugno 2013

La santità

      Per quanto ci sia molta gente che mi vuole santo, credo che, in ultima analisi, declinerò l'offerta. E non solo e non tanto per la mia virulenta ostilità al cristianesimo, ma anche e soprattutto perché - tra i tanti ruoli che avrei pensato di assolvere in vita - quello di santo, per di più di "santo laico", è decisamente uno di quelli che mi si attaglia di meno.
       Del resto, per uno che ostenta la propria "simpatia per il diavolo", la santità è un'opzione possibile, ma non proprio probabile.
       Devo solo trovare qualcosa con cui divertirmi. Ho fatto parecchio esercizio forzato di virtù, negli ultimi anni, e ora sento un formidabile desiderio di vizio, che poi è la mia naturale forma di virtù. Del resto, facendo riferimento al mio fantastico maestro Friedrich Nietzsche, io dico, con lui: "Meglio essere pazzo per conto proprio che savio secondo la volontà altrui".
        Dunque in questa fase sono "pazzo per conto proprio", ma non pentito o solitario o triste o ripiegato su me stesso. Sto valutando a quali nuovi obiettivi puntare, e come. Ho chiuso parecchi libri che erano alle mie spalle e che, più che altro per debolezza, erano rimasti aperti. Ma ora la "bestia bionda" è di nuovo pronta a fare sentire il morso dei suoi denti molto acuminati. Per mordere la vita, null'altro che la vita. Voglio vivere, non vegetare. La santità può attendere. E la sanità - quella mentale - attenderà ancora di più. Rimarrò "pazzo" per conto mio. "Pazzo" ma vivo. Molto meglio che savio (e ragionevole) ma morto.
       Amante sempre, amico mai.
       Inutile sempre, utile mai.
       Irragionevole sempre, ragionevole e razionale mai.
       Ribelle sempre, borghese mai.
       Mi piacerebbe morire libero e auspicabilmente vituperato. Cercherò di riuscirvi. Garantisco il mio massimo impegno in entrambi i sensi.
 
                                 Piero Visani
 
                                 


Un fiume in piena

       L'immagine di un fiume in piena mi è molto cara. In effetti mi considero tale, sempre pronto ad esondare. Rimproverato per questa mia caratteristica, ribadisco che io non sono abituato a rimanere negli argini. Io esondo, naturalmente. Se questa mia caratteristica non piace, è bene lasciarmi perdere. Ma io negli argini non rimango.
       E' fin troppo facile arguire che tutto ruota intorno al concetto di argine? Chi lo stabilisce? E perché? E con quale diritto? E perché io sarei tenuto a riconoscerlo? Forse perché quello "arginato" è l'unico modo in cui si è deciso di relazionarsi con me? Il piccolo problema è che non l'ho deciso io, che si tratta quindi di una decisione non condivisa. Perché dovrei farla mia? Pro bono pacis, per educazione, perché così si usa negli ambienti "dabbene"? Ma io sono naturalmente "dammale", ergo?
         Che senso ha cercare di relazionarsi con me a rate? Che senso ha assegnarmi a una categoria? Che senso ha pormi dei limiti, degli ALT e via restringendo? Io sono un fiume in piena, ergo non sto programmaticamente negli argini e, quando ne ho voglia, esondo.
         Inoltre, non accetto neppure di essere sopportato, di essere oggetto di quei giudizi per cui "sì, ogni tanto esonda, va fuori dagli argini, ma in fondo è bravo. Dunque tolleriamolo". Eh no, non mi faccio tollerare da nessuno, non mi faccio rinchiudere in una situazione o in una condizione "a dispetto dei santi". Non voglio limiti neppure nell'accettazione: nessuna accettazione condizionata...
         Soprattutto, detesto di finire "negli album di famiglia": "sì, ci abbiamo provato, ma era un carattere difficile..." e la tua foto, la classica foto da lapide tombale, viene appiccicata, con lo sguardo naturalmente ebete che ne traspare, nei classici "ritratti di famiglia in un interno". No, quelle soluzioni da "amarcord" non fanno per me. Io voglio il cartello da "nemico pubblico n° 1", voglio la dannazione eterna, la cancellazione da tutto e da tutti. Volevate una fetta di me, la classica fettina per stomachini delicati? Sorry, solo vendite all'ingrosso, niente vendite al minuto. Volevate una parte? Faccio in modo di negarvi anche il tutto. Perché dovrei essere come volete voi? E quello che penso e voglio io conta nulla, sempre nulla?
          Che io sia dannato, è la condizione più bella. Una fossa comune, dove non c'è nemmeno un nome, nel bel mezzo della terra vera, non in qualche galleria di ritratti, magari "rivivificabili" per convenienza...
           Morto, proprio morto, cancellato dalla memoria. Ma ben vivo nel ricordo, perché personalità come la mia non si dimenticano mai. Ricordano agli altri tutte le loro meschinità e le loro forti inibizioni. Quanto sono noiosi, infatti, i perbenisti, con le loro mezze voglie, le loro mezze vite, le loro mezze idee, le loro mezze (in)culture. Residui di sé medesimi. Residui del nulla.
 
                                 Piero Visani

Cogne

       Rapida puntata a Cogne per la cena di compleanno di mio figlio Umberto. Come sempre la sede è lo splendido ristorante "Lou Ressignon" di Elisabetta Allera e del fratello.
       Benché io sia stato in vacanza molto di più a Courmayeur che a Cogne, la progressiva degenerazione della prima in un "vippaio" di quarta serie mi ha portato a simpatizzare sempre più con Cogne, dove la frequentazione è più riservata, l'esibizionismo pressoché inesistente e i vip (o presunti tali...) in genere non vengono.
        Personalmente i luoghi, e in particolare i luoghi di vacanza, mi dicono poco, perché l'unica vacanza che io ami è il viaggio. Tuttavia ci sono posti come Varigotti e Forte dei Marmi, al mare, e Courmayeur e Cogne, in montagna, dove ho passato molte, moltissime estati. Forse anche troppe...
        Non ho ricordi particolari di questi luoghi di vacanza, a parte forse Varigotti, dove ho avuto qualche amorazzo adolescenziale. Forte dei Marmi e Courmayeur mi sono cari perché vi ho cresciuto mio figlio, mentre Cogne è una scoperta più recente, legata a un certo modo rilassato di fare vacanza.
        La verità è che non amo granché le vacanze, mi annoiano nel profondo, a meno che non si tratti di viaggi per conoscere nuovi Paesi, nuove culture e nuove persone. La vacanza come riposo mi infastidisce e, in genere, le mie vacanze sono essenzialmente delle lunghe performances sportive, dedicate al tennis, alla corsa, alla mountain bike.
       Non cerco nulla in vacanza, tanto meno cerco il riposo o "l'aria buona". Non so che farmene di entrambi. Non mi sento mai stanco e mi piacerebbe tanto "vivere pericolosamente", ma non mi è consentito dal mio prossimo. Così, visto che le vacanze mi offrono al massimo di vegetare, io in genere mi rifiuto di farle, tanto vegeto già anche troppo.
       Penso che, se proprio dovessi fare una vacanza stanziale, la mia preferita sarebbe un sabba, cioè l'incontro tra il demonio e le streghe. Come demonio mi rendo immediatamente disponibile. Ma le streghe, le streghe dove le trovo? Si accettano candidature. Qualsiasi cosa, pur di sottrarmi alle tonnellate di noia che mi procurano le solite borghesucce perbeniste e astinenti. Sapendo di trovare solo loro, ormai preferisco dedicarmi sempre e comunque al lavoro. La vita da morigerati - il gelatino, la passeggiatina, la gitina - mi fa vomitare. Preferisco lavorare. Odio la virtù, vera o forzata che sia. Il lavoro almeno è vero. La vacanza perbenista è divertimento per inibiti e frustrati.
 
                      Piero Visani
 
                  

domenica 23 giugno 2013

La super-bufala

      Una delle più fantastiche fole che circolano sulla sessualità è quella per cui, mentre quella maschile sarebbe puramente ormonale, quella femminile sarebbe psicologica, da coinvolgimento sentimentale e psichico.
        Premesso che le storie di vita non sono un dato scientifico, ma meramente esperienzale, posso dire che le mie mi conducono in tutt'altra direzione e mi inducono a pensare che la sessualità femminile, alla stessa stregua di quella maschile, nasca da stimoli organici, non psicologico-cerebrali.
         La mia personale esperienza mi dice infatti che mi è capitato un discreto numero di volte un incontro meramente fisico-sessuale, dove gli stimoli di entrambe i partner avevano palesemente quella motivazione di base. Tutte le volte che ho puntato invece sul sentimento, la cerebralità, il coinvolgimento psicologico, personalmente sono andato in bianco, anche in bianchissimo.
          Naturalmente, non intendo farne una legge, anche perché è possibilissimo che lo scrivente, come seduttore sentimental-intellettuale, sia un totale sconforto. Però, io credevo (e credo) che quello fosse il mio forte, mentre come seduttore fisico-estetico-narcisistico mi considero abbastanza modesto e non particolarmente convincente.
           Devo procedere a una nietzscheana "inversione dei valori", almeno per quanto mi riguarda? Forse sì, ma me ne dolgo, perché io sono attaccatissimo alle mie capacità di seduzione intellettuale, al mio accostarmi alle donne - specie a quelle belle e pazze - in forma assai diversa dagli altri maschi, alla mia capacità di capirle, di farle sentire uniche (e non solo di farle sentire, perché per me davvero tali sono). Tutte le donne che ho accostato in questa forma (non tantissime, ma di alto livello) hanno riconosciuto questa mia capacità di penetrare il loro animo. Ma, quanto al corpo, meglio lasciar perdere... Forse che sono stato scambiato per un terapeuta della loro psiche? Ma quante volte il terapeuta di classe giace con la paziente? Non è del tutto insolito; forse non propriamente deontologico, ma certo non insolito, e io non amo le regole... O forse perché, avendo avuto l'ambito privilegio di penetrare il loro animo, il resto era considerato molto meno importante da penetrare e dunque quantité négligeable?
          Ogni tanto, quando ho voglia di ridere un po', mi pongo questi interrogativi, cui non riesco a dare risposta, anche perché quella situazione invero spiacevole mi è capitata con alcune delle 4-5 donne che più mi sono piaciute. Non sono ancora riuscito a trovare una risposta, ma gradirei riuscire a farlo, perché in fondo quella condizione mi ha procurato molto dolore e parecchia insoddisfazione. Con tutta probabilità, per certe donne i terapeuti sono asessuati. Dovrò cambiate tattica. Peccato, a me piaceva così tanto, la sentivo una modalità d'azione così peculiarmente mia: il seduttore dell'anima (sì, va beh, ma non solo...).
 
                          Piero Visani

Un Viagra al femminile?

       Leggo su alcuni quotidiani italiani, accompagnata ovviamente dalle solite considerazioni moralistiche, che si starebbe preparando un Viagra al femminile, che di fatto dovrebbe fungere come accentuatore di libido.
         Non dovendo ancora - finché dura... - fare uso di quello maschile, sono però lieto di apprendere la notizia di cui sopra, perché, invece che fare costosi regali destinati a mandarmi comunque in bianco, potrò sempre optare per pastigliette (mi immagino saranno rosa, non blu...) che possano fungere da acceleratrici, o accentuatrici, o quant'altro...
        Sono uno di quei milioni di italiani di sesso maschile che, nel corso delle loro (nel mio caso nutrite) peregrinazioni all'estero, hanno sempre avuto il piacere di incocciare nella classica one night stand e, nel caso in cui la cosa fosse più seria, non ci hanno messo alcuni anni per condividere (o non condividere...) un giaciglio con l'amata di turno (mediamente 2-3 uscite al massimo).
         Ma sono altresì uno di quei milioni di italiani maschi che, se devono uscire con qualche connazionale, hanno bisogno di portare con se un avvocato e un sensale, in quanto niente di niente - né regalini, né affetto/amore, né cenette costose in ristoranti esclusivi, né generose offerte di bottiglie di vini pregiatissimi - può suscitare nelle medesime un minimo di libido, nemmeno un contratto pre-matrimoniale (e io non avrei alcuna intenzione di firmarlo).
         Tra le tante sfortune che mi sono toccate, c'è anche quella di essere nato nel Paese delle sante, o delle lesbiche, o delle virtuose a tassametro (diconsi tali quelle che alzano il prezzo di sé medesime sempre un po' al di sopra della tua offerta, per cui a un certo punto l'asta - in tutti i sensi... - cade, perché ovviamente ti piacerebbe, sì, ma non vuoi svenarti..., anche perché che meritino davvero ce n'è solo una ristretta minoranza). Purtroppo, dentro i patri confini mi sento come Freak Antoni, quando afferma: "Si dice che una volta toccato il fondo non puoi che risalire. A me capita di cominciare a scavare...".
         In effetti, un tempo compensavo viaggiando parecchio, ora che viaggio di meno, complice anche la disastrosa situazione economica, dovrei rassegnarmi alla condizione eunucoide in cui mi vorrebbero costringere le "care" connazionali, ma io non amo né le repressioni né i ricatti, per cui me la cavo decentemente comunque, complice anche la mia naturale capacità di seduzione e, quando proprio mi dice male, me la cavo con le mercenarie, donne alle quali va il mio pensiero reverente e benedicente. L'etèra, questo simbolo imperituro dell'eterno femminino, al suo meglio!
          Ma devo confessare che l'idea di un Viagra al femminile mi attizza. Quando sarà commercializzato, me ne porterò sempre qualche pastiglietta dietro, ma la offrirò in maniera onesta, non subdola. Non sono persona da inganni siffatti. Anzi, penso che le vergini, se intendono rimanere tali, fanno benissimo a rimanervi. Godranno di vite "divertentissime", queste fantastiche dee dell'astinenza, o delle amicizie (quanto profonde?) femminili. Contente loro... Io - posso garantirlo - troppo a lungo in astinenza non sono mai rimasto.
 
                             Piero Visani

Il totalitarismo dolce

       E' ufficiale. Da domani vivremo in uno Stato di totalitarismo "dolce" (dolce...?), nel senso che tutti i nostri conti, le nostre spese, i nostri movimenti di denaro saranno controllati. Vivremo nella più liberale e libertaria delle democrazie occidentali, il totalitarismo stalinista o nazista, sceglie te voi quello che preferite. La nostra vita economica sarà controllata in dettaglio. Il trionfo della libertà...
        Leggo già i commenti soddisfatti: così non ci sarà più evasione! Ah, i poveri ingenui!! Ce ne sarà più di prima. Quando si cerca di salvarsi? Quando si è con le spalle al muro. Prima magari si piega il capo, ma, quando si approssima l'ora della morte, allora ciascuno sceglie le vie di fuga più diverse, o comunque le tenta.
        I moralisti italiani - che abbondano, peraltro - sono soliti rifilarci addosso la geremiade per cui la virtù fiscale sarebbe sufficiente a ripianare il bilancio dello Stato, quasi che quest'ultimo fosse stato svuotato dagli evasori e non da una classe politica tra le più cleptocratiche del mondo e della storia umana. Come chiunque non sia totalmente idiota è facilmente in grado di capire, se in Italia tutti avessero pagato regolarmente le tasse, da sempre, il Leviatano statale si sarebbe ingollato cifre molto superiori a quelle che è comunque riuscito ad ingollarsi e la nostra crisi finale sarebbe cominciata molto prima, perché molto prima ci sarebbe stato in giro meno denaro. Ora che non ce n'è e che il fisco si abbatte implacabile (o quasi) su tutti, meno ovviamente che sulla casta, voi vedete un gran miglioramento? Io vedo che, come Paese, stiamo morendo con i conti in ordine, come quegli arzilli vecchietti che il lunedì fanno un check up approfondito, l'esito è fantasmagorico ("ha novant'anni, ma il suo fisico ne dimostra settanta") e il giorno dopo muoiono di arresto cardiaco provocato dalla gioia per la loro straordinaria condizione di salute, elevando una lieta prece (ex post, ovviamente, ex-post..) ai "miracoli" che riesce a fare la medicina allopatica, per una volta talmente olistica da prenderti non solo i soldi, ma anche la vita...
        Come ha scritto Henry David Thoreau, "Non c'è odore più cattivo di quello emanato dalla bontà corrotta: è l'umana e divina carogna che lo produce. Se sapessi con sicurezza che un uomo sta venendo da me per farmi del bene, correrei a mettermi in salvo".
        E' una specie di "avviso ai naviganti" quello che rivolgo a tutti: ci vogliono uccidere, economicamente e umanamente, per farci del bene. Attiviamoci per far loro del male. Presto e bene.
 
                     Piero Visani
    
   
 

Ci vuole un fisico bestiale

     Non so se, per essere come sono io, ci voglia un fisico bestiale. Però posso garantire che ci vuole un animo bestiale. La capacità di resistere a tutto e a tutti. Di non piegarsi.
     Il lavoro fortunatamente non mi manca, nonostante questi momenti terribili, e per il resto faccio appello a me stesso. Mi viene talvolta da sorridere a pensare che, se tutto fosse andato "come doveva andare", oggi sarei un perfetto "barboncino da salotto", di quelli da esibire nelle feste comandate. Un "fantastico amico", stimabile "come uomo, come maschio, come intellettuale". In pratica, un patetico burattino per simpatiche inibizioni borghesi. Ero stato in scena, con i miei fili e anche senza, per un periodo sufficientemente lungo, e lo spettacolo stava diventando stancante tanto per il burattinaio quanto per il burattino.
      Stavo entrando in quella categoria di eunuchi professionali che, quando telefonano, vengo accolti a colpi di "Bubi carissimo, come stai? Che piacere sentirti!" Ero stanco di "baci di Giuda" [evocativo, no, come nome...?] sulle guance e di gente che "teneva moltissimo alla mia amicizia", specie se mi toglievo rapidamente di torno. Meglio accontentarli, no?
      Ho fatto le mie scelte e ora sono un innominato e innominabile. Me ne dolgo, ma occorre tenere conto di una distinzione fondamentale: mentre nella seconda versione suscito un ribrezzo profondo in altri, nella prima purtroppo lo susciterei in me. E, dovendo fare una scelta, l'ho fatta. Essendo privo di una dimensione sociale, e dei relativi interessi, ho scelto la tutela della mia "orribile" identità.
       Credo sia tutto chiaro.
 
                                                        Piero Visani

sabato 22 giugno 2013

Il tempo è galantuomo

      La vita di una persona è fatta di scelte. Io ne ho compiute molte (beccandomi tra l'altro anche l'accusa di estremista, decisionista, etc.), attirandomi addosso - a voler usare un eufemismo - una valanga di critiche.
        Capisco bene e capisco tutto, ma, se dovessi dire di aver mai compiuto una scelta di cui mi pento (giusta o sbagliata che fosse), direi il falso. Ho sempre seguito quello che sentivo fosse giusto, conforme alla mia visione del mondo. E quello che mi conforta nelle mie scelte è che sono sempre stato coerente: i miei sentimenti non mutano, i miei orientamenti non mutano, le mie verità non mutano. Ho disegnato scenari, e questi scenari talvolta non hanno riscosso consensi, ma mai, neppure per un istante, si è rotta l'intima coerenza che fin dall'inizio li ha retti. Ecco perché posso essere accusato di tutti i mali del mondo, posso essere odiato, disprezzato. Ma qualcuno potrà mai dire che sono stato incoerente? Semmai si potrà dire che sono stato coerente fino all'autodistruzione, ma anche quella è coerenza, direi che è suprema coerenza, poiché io non ho mai voluto VIVERE A CREDITO, per gentile concessione di qualcuno o qualcosa. Volevo la mia vita, ovviamente frutto di una convergenza di valutazioni, non quella che mi si voleva imporre. Per tradizione, quando incontro un ALT io cambio sempre percorso e spesso anche meta. Chiaro, no?
        Non è il caso, quindi, di prendersela con me perché non sono rientrato all'interno di un disegno che non era il mio. Per l'appunto, non era il mio...
         Ho formulato una o più proposte. Non sono state accettate. Amen. Se dovessi odiare tutti coloro che non hanno accettato mie proposte, in questa vita, sarei saturo di odio. Invece sono solo saturo di noia, di mancanza di vita. Anche perché l'esperienza nasce solo da ciò che si sperimenta. Se non si sperimenta, cosa c'è da rimpiangere o da odiare? L'assoluto nulla. Dopo tutto, il riflesso speculare de "le rose che non colsi", sono "le vite che non vissi". O no...?
 
                                                Piero Visani

Buon Compleanno!

       Trent'anni fa, in una calda mattina di inizio estate, nasceva Umberto, il mio primo e unico figlio. Ricordo bene la prima volta che lo vidi, nella nursery di una nota clinica torinese. Erano nati 6-7 bambini in quei giorni e Umberto era l'unico maschio. Mia madre - sempre molto singolare nelle sue scelte cromatiche, e non solo... - gli aveva procurato, fra gli altri, un completino rosa (sic) e qualcuno, forse nella fretta, gli aveva messo proprio quello, per cui sembrava che nella nursery ci fossero solo bambine... Ma io avevo visto il suo profilo scansionato dall'ecografia e dunque lo avevo bene in mente, per cui lo riconobbi subito. Del resto, quelo profilo dai lineamenti delicati è lo stesso che ha ancora oggi.
       Ero contento di essere diventato padre, anche se forse un po' schiacciato dalla responsabilità, visto che avevo poco meno di 33 anni. Si apriva davanti a me un mondo ignoto e io già allora ero terribilmente a disagio nel mondo noto, per cui nutrivo molti timori.
        Ricordo mia moglie travolta dalla felicità, anche se la mattina del parto, che fu un parto cesareo, era ancora sotto l'effetto dell'anestesia e dei postumi dell'operazione (ma poche ore dopo, dando prova delle sue straordinarie capacità di ripresa, stava già benissimo) e ricordo il gran caldo che faceva in quei giorni.
        Non sapevo la vita cui sarei andato incontro. So che, da quel giorno, come tutti i padri cominciai a battermi perché quella di Umberto fosse migliore della mia.
        Non so se io sia stato un buon padre. Posso dire che ho provato ad esserlo.
        Posso dire altresì che ero devastato già allora dal malessere di vivere, ma i miei 33 anni non ancora compiuti mi davano un senso di speranza che ora ho completamente perduto.
         Credo che Umberto abbia cominciato a nutrire la sua passione per gli alieni in quegli 11 mesi successivi in cui, di notte, non dormiva praticamente mai e io gli davo il biberon, lo cullavo, lo stringevo al mio petto, cercavo di farlo dormire. Credo che, poggiato con la sua testolina sul mio cuore, abbia percepito nitidamente che nel mio animo batteva un cuore alieno e si sia innamorato di quegli esseri strani - venuti da altri mondi esattamente come suo padre - il cui unico, costante interrogativo, era (ed è): "che ci sto a fare qui...?".
          Si, Umberto ha percepito per via empatica che era figlio di una specie di E.T. e anche lui, da allora, sta cercando di phone home, phone home.
           Ma, caro Umberto, la nostra casa dov'è? Meritavamo di venire su questo pianeta di merda, con i suoi abitanti di merda? Con le loro abitudini schifose, le loro falsità, le loro meschinità, le loro verminosità? Io credo di no. E tu?
           Comunque farò di tutto per salvarti, per salvare almeno te. Ho provato a darti un'occasione. Non farmene una colpa. Io so che cosa penso davvero di chi mi ha generato, di chi mi ha portato qui. Se puoi, non condividerlo. Ne sarei lieto.
 
                                           Piero Visani

Turista per caso

       E' inabituale, per me, fare il turista per le vie di Torino. Credo che non mi capitasse più dal lontanissimo 1971, quando vennero a trovare la mia famiglia dei nostri cugini emigrati a San Francisco.
       Così, è stato divertente, oggi, fare da guida ad un amico romano in visita nella mia città. In effetti, per un residente quella del turista è una prospettiva insolita, cui non è abituato. Mi sono divertito e, a tratti, mi sono parzialmente tolto di dosso lo spleen che mi grava da tempo sull'animo.
       Abbiamo parlato molto, nel corso della giornata, di cose diverse, e quel parlare mi ha in parte alleviato tutti i pesi che mi gravano addosso. Ma anche guardare la mia città in una prospettiva non frettolosa, attenta ai particolari, mi è servito.
        Ho descritto luoghi, monumenti, atmosfere, e spero di aver suscitato nel mio interlocutore un minimo di empatia, cosa che in fondo credo mi riesca facilmente, quando parlo di Storia.
 
                         Piero Visani

venerdì 21 giugno 2013

Pensieri e parole

        Bella giornata, a cavallo tra lavoro e dialogo personale. Un vecchio conoscente ritrovato, pronto a diventare un nuovo amico.
        Parliamo di tutto e di più. Il professionale si incrocia al personale. E' un lettore del blog. Sa alcune cose di me. Altre le intuisce o le percepisce.
         E' molto bello, di tanto in tanto, fermare il tempo, bloccarsi nella cura degli affanni quotidiani e approfittare di questa sospensione temporale per dialogare con una persona di valore, che sa parlare ma sa pure ascoltare, che non dice banalità, che cerca di trasmetterti se stesso esattamente come tu cerchi di trasmetterti a lui.
         Mi dice alcune cose che mi colpiscono profondamente, poiché nota ciò che forse io avrei pensato che non si notasse e non si potesse notare. Per un attimo la cosa mi addolora, perché mi conferma che è grave, ma poi penso che è bello che riesca a far notare, a una persona che un po' mi conosce, ma che incontro a quattr'occhi per la prima volta, che sono vero, assolutamente vero e sincero. Vuol dire che almeno gli uomini riesco a convincerli, d'emblée. Con le donne, a quanto pare, mi è molto più difficile, naturalmente ammesso e non concesso che siano vere loro... Ma continuerò a provare ad essere persuasivo anche con "l'altra metà del cielo", sperando in migliori fortune.
            Grazie, caro Gianmarco, la tua venuta a Torino è stata addirittura terapeutica, per me. Ho provato empatia, che per me è la base di ogni cosa buona. E faremo cose buone, insieme.
 
                         Piero Visani