sabato 15 giugno 2013

L'eterno ritorno

      Quando, nel febbraio 2011, cominciai a frequentare con una certa assiduità una persona, divenne prestissimo chiaro in me che ero in presenza di una classica situazione di "eterno ritorno". Una situazione che nella mia vita si era creata un certo numero di volte e che, nell'ultimo caso da me riconosciuto, risaliva al 1982-83: una persona splendida, un incontro splendido e la certezza - assolutamente scontata per chi, come me, è cresciuto leggendo le opere di Friedrich Nietzsche - che: "In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte" (Frammenti postumi, 1881-1882).
       Ricordo nitidamente la profonda emozione provata nell'incontrare un'anima eccellente [non scrivo "o che allora a me pareva tale", perché sarebbe riduttivo e offensivo: SO di NON essermi sbagliato], forse eccellentissima, e di aver avuto tale fortuna dopo quasi trent'anni da un incontro precedente.
       Quasi non credevo ai miei occhi. Faticavo a pensare che fosse vero, che potesse essere vero. Quanto è avvenuto dopo mi ha confermato che era assolutamente vero e che ero in presenza di un fenomeno di "eterno ritorno". La combinazione di cui sopra si era ripetuta e, non a caso, aveva assunto le stesse caratteristiche precedenti, lo stesso movimento, dapprima lento nello sviluppo, poi accelerato, poi velocissimo: donna eccellentissima; manifestazione di palese affinità elettiva; tentativo di svilupparla; blocco e arresto del tentativo stesso; incomprensioni; tentativo di gestire il blocco; fine rapida e miserevole del tutto.
        Gli psicologi sostengono che potrebbe trattarsi di una self-realizing prophecy, ma a mio parere si tratta di un'interpretazione incompleta e insoddisfacente, perché proietta tutto sull'Io, dimenticando il Noi.
        Per contro, io ho vissuto il tutto come un caso classico di "eterno ritorno" e l'ho interpretato e gradito alla stessa identica maniera, mi ha dato le medesime sensazioni molto forti, ha avuto una protagonista eccellente esattamente come nel 1982-83. Si è concluso alla stessa identica e disgraziata maniera per le medesime ragioni: un Oltreuomo che incontra un'Oltredonna, venendo bloccato nel primo caso da considerazioni di carattere sociale e, nel secondo, di carattere personale. E naturalmente, se all'Oltreuomo e all'Oltredonna si toglie l'"oltre", si finisce per cadere nella piatta normalità, nelle piccolo storielle borghesi che ovviamente borghesemente finiscono.
       Non starò certamente a piangere sul latte versato: io avevo nitida davanti a me l'intera situazione e ho cercato di giocarla al meglio. Se, a distanza di trent'anni, è finita allo stesso modo della precedente, è quasi certamente perché si è trattato di un classico caso di "eterno ritorno". C'è un dolore infinito, certo, che attiene all'unicità dei protagonisti, che non si trova facilmente, anzi è terribilmente difficile da trovare. Ma c'è altresì il fatto che l'Oltreuomo nietzscheano non si lascia sconfiggere da niente, nemmeno dall'evidenza.
        E' chiaro che, se gli spazi temporali saranno i medesimi, il mio prossimo caso di "eterno ritorno" mi vedrà protagonista intorno ai novant'anni... Molti desisterebbero. Io no. Non so certo dire se sarò ancora vivo. Di sicuro sarò molto vecchio e sessualmente "tramontato" (per usare un eufemismo). Ma l'Oltreuomo, nell' "eterno ritorno", cerca quello slancio di vita che - nel finito - può conferirgli un incredibile senso di infinito. Quando uno prova quelle sensazioni, come io le ho provate pochi anni fa, è come se facesse un salto indietro nel tempo, è come se si abbeverasse alle sorgenti della vita e ne ritraesse linfa e al tempo stesso infinite scariche di adrenalina. Non vorrete certo che manchi a un simile appuntamento? Se non ci arriverò, ricordatemi pensando che, comunque, quell'appuntamento l'avrò cercato, lo stavo cercando, lo sto cercando. Non mi preoccupa minimamente la distanza temporale: soffro moltissimo la banalità del quotidiano, ma le grandi imprese mi stimolano, sempre. Inoltre, fa quasi tenerezza pensare che, dopo avere perso gli "eterni ritorni" precedenti, io marci fidente verso il prossimo, anche se è a poco meno di trent'anni da oggi. Ma anche questo è conforme a un mio credo: "Vivi come se dovessi morire domani, pensa come se non dovessi morire mai" (Julius Evola).
      Lo so, sono patetico. A me piace essere patetico, significa "generatore di pathos". Non assomiglierò mai a Mario Monti o ad Angela Merkel. Devo preoccuparmi?
 
                                               Piero Visani
 

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