giovedì 27 giugno 2013

Una vita sprecata

      Il concerto di Paul McCartney a Verona, due giorni fa, si è concluso con il canto di The End, pezzo che è posto in conclusione del mitico LP Abbey Road, dei Beatles, e che contiene la ben nota strofa:
 
And in the end
The love you take
Is equal to the love you make
 
      Magari fosse così! Quanto vorrei che fosse così! Ma non è assolutamente così.
      Ho passato la mia vita a cercare di amare, con partecipazione e intensità, donne diverse. Se mi fosse tornato un decimo (voglio largheggiare...) di quello che ho dato, penso che sarei un uomo felice. E invece...
       Quanto mi sono speso, quanti entusiasmi ho versato, quanta passione ho cercato di trasmettere, con il risultato di trovarmi ad essere un'aquila che cercava di insegnare a volare alle galline.
       Non pensate che sia un giudizio negativo o insultante. Niente di tutto questo. Le donne che ho incontrato io - non le donne in generale, odio le categorizzazioni - erano quasi tutte soggetti tellurici, esseri al più volitanti, non volanti. E io ho profuso tonnellate di amore per loro, e cosa ho ricevuto in cambio? Meglio lasciar perdere...
       Ho conservato, molto ben custodite, le lettere che ho scritto in tempi lontani, le mail che ho mandato in tempi più vicini. Ogni tanto ne leggo qualcuna e con piacere mi riconosco, riconosco me stesso, il mio diluvio di passioni. Poi vado a leggere le risposte o le lettere e le mail che mi arrivarono dalle donne che ho amato e noto come molte assomigliano, per trasporto, a certe comunicazioni dell'Agenzia delle Entrate: freddamente burocratiche, intrise di un senso di fastidio che forse, ora che le leggo ex post, emerge ancora più nitidamente di quanto non apparisse all'epoca in cui furono scritte.
        Se ci fosse un motivo per condannare irrevocabilmente la mia vita - e, ahimè, c'è - questo consiste nel fatto che essa è consistita in un lungo percorso di amori non ricambiati, di passioni sterili o meschine o grette o ricambiate con il bilancino. Ho buttato via tutto me stesso, in quelle storie, e gli unici ricordi belli che mi rimangono sono quelli di alcune storie di sesso, di cui almeno posso ricordare il corpo di lei, teneramente allacciato al mio per qualche momento, talvolta neppure troppo breve, di autentica felicità, di puro trasporto, di prosa che diventa poesia.
         Ma il resto? Regali, fiori, gesti gentili, attenzioni, ristoranti. E in cambio? In cambio niente. Non pensate che in cambio mi attendessi sesso. Non sono quel tipo di uomo. In cambio mi attendevo un incontro di anime privo di preclusioni, cioè che poteva anche diventare incontro di corpi, ma senza forzature, cogenze, obblighi. A condizione che ci si parlasse, fittamente, che ci si scambiasse molto di sé, che si ponesse rimedio a solitudini tramite il dialogo.
         Ho accumulato solo disastri e quello che mi fa più male non sono i risultati, ma aver visto ogni volta buttato via - talvolta freddamente, talaltra con fastidio, talaltra ancora con stizza - il mio desiderio di comunicare. Come se fossi il più orribile, il più fastidioso, il più repellente degli uomini.
        Ne ho preso atto. Probabilmente lo sono davvero. Avrei potuto farmi venire un complesso d'inferiorità, ma non credo sia quello il problema. Più semplicemente, ho capito che non serve comunicare con chi non vuole comunicare, che non serve cercare di amare chi non vuole essere amato, che non serve dialogare con chi rifugge il dialogo, che non serve cercare l'incontro di anime con chi non la possiede, un'anima.
         Ecco perché penso che la mia sia una vita sprecata. Non perché sia stata sprecata in sé, ma perché mi è toccato di viverla nel mondo dei morti (e, più ancora, delle morte). L'ho capito tardi, ma l'ho capito. Del mio amore per le cose, per i libri, per i dettagli, per le culture, per il dialogo, per le conversazioni intelligenti e stimolanti, non interessava niente ad alcuna. Ero e sono fastidioso. E forse, per molte, un uomo intelligente e colto resta un ossimoro vivente, di cui non può fregar loro di meno. Dove sono i soldi, la stupidità programmatica, la superficialità che le fa ridere, la "cannetta" che le rende allegre, il disimpegno che maschera un'incultura profonda? In effetti, io granché di tutto questo non lo posso dare. Non sono peculiarità che posseggo, non in misura "soddisfacente", quanto meno.
          Prendo atto, ma non per questo cambierò. Starò un po' di più da solo, ma certo non pentito. Del resto, per me una vita privata degli affetti, degli stimoli intellettuali e culturali, dello spirito, del sesso, della gioia di vivere, altro non è che una morte anticipata. Non mi farò rinchiudere in quella gabbia. Continuerò a ricercare il piacere, in tutte le sue forme. Ma il piacere vero, quello del pathos e della partecipazione, non quello della superficialità e dell'oblio. Non ho bisogno di dimenticare o dimenticarmi, io. Anzi, ho molta stima di me.
 
                              Piero Visani
 

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