sabato 3 agosto 2013

Summertime

      L'aria sulla collina torinese, in questo primo sabato d'agosto, è satura di umidità, densa, immobile. Impegni pressanti di lavoro mi trattengono a casa e ne sono assolutamente lieto. Odio il concetto di vacanza, inteso come assenza. Amo la vacanza come "percorso di formazione", itinerario del corpo e più ancora dell'anima, esplorazione, conoscenza, tentativo di proiezione della mia finitezza verso l'infinito.
       Tra poco andrò a giocare a tennis con mio figlio, piccola distrazione settimanale che, a queste temperature, diventa una specie di addestramento militare. Questo accresce il mio desiderio di giocare. Qualunque cosa mi ponga una sfida, amo affrontarla. Dirò dopo, quando sarò "andato oltre", se mi è piaciuta o meno, oppure, se nessuno me lo chiederà, mi atterrò a un mio principio classico, che amo molto, quello del never explain, never complain. Rimarrà una valutazione tra me e me. Privatissima, da condividere solo con quale privilegiato/a (un)happy few.
       Qui, anche se è casa mia, mi sento in the middle of nowhere, ma non perché mi senta a disagio o non la ami. Più semplicemente (o in forma più complicata...) è perché talvolta mi sento un real nowhere man, sitting in his Nowhere Land, making all his nowhere plans for nobody.
       Non ho un desiderio di "altrove", per la verità, quanto meno non geografico-fisico, semmai spiritual-concettuale. Mi piacerebbe alla follia vivere in un mondo dove scambiarsi sensazioni, parlare di contenuti, trasmettersi un sospiro, un sorriso, una corrispondenza di amorosi sensi, fosse ancora possibile, e non fosse invece un universo frequentato di soggetti costretti a cercarsi con la lanterna di Diogene.
       Mi sento immerso in un mare di aridità e, anche se in questi giorni ho avuto la fortuna di ritrovare una persona a me infinitamente cara, non è facilissimo riempire i miei vuoti esistenziali, i miei desideri, le mie voglie. Del resto, non sono un soggetto contemplativo; o meglio, lo sono moltissimo, ma amo far discendere dal pensiero l'azione. E invece sono perennemente bloccato, stretto dai mille nodi delle costrizioni del vivere, costrizioni che più correttamente andrebbero definite del "non vivere".
      Rex, uno dei miei gatti, mi guarda con aria interrogativa. L'ho chiamato così perché, oltre ad essere splendidamente rossiccio, è un gatto maschio adulto dall'aria soavemente sovrana. Mi ignora spesso, ma io lo amo comunque, forse perché sono naturalmente portato a solidarizzare con chi trasuda tanta classe e signorilità. E poi è dannatamente silente, non miagola e non infrange la sfera incantata e al tempo stesso calda al punto da risultare febbrile di questo immobile sabato d'agosto.
      Poi mi coglie il timore che, più divento vecchio, più divento contemplativo, e allora corro a cambiarmi e a provare la tensione dell'accordatura delle racchette. Del resto, contemplazione e vitalismo convivono in me, che sono una (im)perfetta sintesi di contrari. Sarà per questo che ho così difficoltà nei rapporti umani e sono in fondo così solo. Sono sincretico, non di parte. Cerco di apprendere il mestiere di vivere, ma non ci sono mai riuscito. E mi strazio quotidianamente da solo. Senza cercare, o ricevere, grandi soccorsi. Così è la vita.
 
                                   Piero Visani
 

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