martedì 31 dicembre 2013

Voci

     Restano poche ore prima della fine del 2013. Non credo agli eventi epocali e tanto meno alle date di svolta. Credo anzi che la vita sia un lungo continuum, dove le svolte significative siano poche, sovente eterodirette, magari dal caso, dalla sorte, dalla fortuna.
       Proprio perché credo in tale continuità, e nella prevalenza della quotidianità sugli stanchi riti della festa, desidero rivolgere il mio reverente pensiero, oggi, a quanti mi consentono di sentirmi vivo tutti i giorni dell'anno, e non solo nelle "feste comandate".
       In particolare, in un momento storico in cui la comunicazione interpersonale è ridotta allo scambio di banalità, fatte salire alla bocca ed emesse come "strisce dialettiche" precostituite, gestite da un computer forse efficiente, ma dotato di un'intelligenza molto artificiale e invero poco brillante, vorrei esprimere il mio sentito ringraziamento a chi, nel corso di quest'anno come dei precedenti, mi ha ascoltato e parlato; ha avuto la pazienza di prestarmi attenzione e di concedermi la propria; mi ha fatto la cortesia di farmi sentire essere umano e non oggetto inanimato; HA COMUNICATO con me.
       Non sto pensando a persone specifiche, maggiormente degne di interesse rispetto ad altre, ma a tutte quelle che, magari anche per poche frasi fuggevoli, sono state attente a quel che dicevo loro.
       La parola è l'essenza della comunicazione, pur senza esserne l'unica componente, ma la mia vita non è stata fortunatissima, da questo punto di vista, poiché sono incorso spesso in silenzi e/o mutismi. Il 2013, per contro, è stato un anno di dialogo e - anche se qualcuno potrà stentare a crederlo - anche il blog e Facebook mi hanno aiutato in tal senso. Ne sono assai lieto, perché io credo fortemente nel valore della parola, scritta o parlata, e credo che intorno al Logos sia possibile edificare nuove realtà, nuove amicizie, nuove esperienze, nuove forme di vita, nuove empatie.
       La parola consente di ovviare alla superficialità dei rapporti umani odierni, consente di capire ed essere capiti, di penetrare menti e cuori.
       La mia costante attenzione per "l'altro da me" - attenzione che i superficiali non vogliono riconoscermi o che scambiano improvvidamente per logorrea o grafomania - non è nulla di diverso che un impegno estremo a capire, a intavolare relazioni vere, a sostituire al chiacchiericcio il fecondo scambio di concetti profondi. Senza voler violare sfere private, ma con la curiosa conoscenza di conoscere l'altro, di trarne arricchimento tramite uno scambio profondo e fruttifero.
      Esco da questo 2013 con qualche successo, in questo campo, e con un po' di gioia in più, dopo tanti silenzi. Esco dopo aver perduto forse tutto, ma non me stesso, come sempre; e la mia volontà di fare, di comunicare, di costruire, ricercare, sperimentare, non risulta affatto sminuita, anzi.
       Ho seguito me stesso, lungo questo percorso, e non mi sento per nulla in solitudine. Certo, le porte che mi sono state chiuse in faccia sono state innumerevoli, ma non intendo recriminare o cercare colpevoli, che peraltro neppure esistono. Non è obbligatorio che il mio modo di vivere denso, speculativo, riflessivo, attento a ogni benché minimo dettaglio, sia condiviso. Come sempre, mi sono proposto e - come sovente accade - ho suscitato reazioni diverse, dall'indifferenza al fastidio, dall'interesse alla condivisione, dalla curiosità alla noia. La grande novità del 2013 è che, in più di un'occasione, e ovviamente a livelli e con intensità molto diverse, la mia parola non è caduta nel vuoto, ma ha trovato orecchie attente e stimolato risposte. Non necessariamente positive, ma partecipi, dialettiche.
       Sotto questo profilo, sono molto contento del mio 2013. Avevo timore di scivolare progressivamente in un monologo sempre più autoreferenziale e invece è accaduto esattamente il contrario, ciò che è andato dal di là delle mie più ottimistiche previsioni. Ho parlato, bene e molto, con tutti coloro che mi volevano parlare, e ho capito che, se avevo un problema, questo non era dato da una mia incapacità relazionale, come incominciavo a temere, ma semmai dalla mia incapacità di trovare soggetti relazionali. Problema ovviato. Grazie, 2013!

                        Piero Visani

Narcotici mediatici

       Non c'è niente di più fastidioso, quando uno sportivo incorre in un grave incidente, che leggere i "pistolotti" che in fretta e furia emergono dalle redazioni dei media o dalla penna "ispirata" di qualche noto "maitre à penser": "un campione che per tutta la sua vita sportiva aveva corso sul filo del rasoio, evitando di incorrere in incidenti troppo gravi, e che ora, per un destino cinico e baro, lotta tra la vita e la morte, travolto dalla sua passione per la velocità".
       Odio queste cose fin da bambino. Odio le santificazioni dei defunti e le lacrime di coccodrillo sui potenziali morituri. Odio che dicano che cosa una persona avrebbe dovuto fare nella vita.
       Michael Schumacher ha sempre amato la velocità - questo appare scontato - ed è diventato quel che è diventato proprio grazie al suo amore per la medesima, oltre che a straordinarie doti tecniche. Se poi tale amore ha continuato a coltivarlo anche nella sua vita privata, che male c'è?
       Nulla, però, nell'universo mediatico è mai NEUTRO ed ecco che parte l'offensiva intesa a "pascere subiectos", la cui ratio è la seguente: "Vedete cosa succede ad andare sopra le righe, a cercare di essere diversi? Si rischia. Magari si muore".
       Si mette cioè in moto il meccanismo di controllo sociale, che consiste nel valorizzare le vite da pecora a fronte di esistenze diverse: "vedete: avete poco o nulla, guadagnate poco o nulla, però siete vivi! A correre sul filo del rasoio, per contro, si rischia, e molto. Dunque accontentatevi..."
       Non ho mai tollerato l'osceno moralismo che sta dietro a tutto questo: nessun reale interesse o partecipazione per il campione in difficoltà, solo l'ennesimo tentativo di fare stracco perbenismo e di diffondere controllo sociale, invitando la gente a non nutrire passioni, a non correre dietro ai propri sogni, a rendersi conto che talvolta si può toccare la cima, ma poi magari anche il fondo, l'abisso.... E dunque, per naturale reazione, a contentarsi di una stracca quotidianità, di soddisfazioni sempre più magre, di sogni che siano "naturalmente proibiti", à la Fantozzi.
       Nella "civiltà dei divieti", era evidente che - per naturale escalation - si sarebbe arrivati al "divieto di vivere secondo coscienza", nutrendo passioni e sogni non ordinari, ammessi, "politicamente corretti".
      Ho amato la velocità da sempre, fin da ragazzo, e la amo tuttora. Ho sempre adorato le scariche di adrenalina che essa dà, come queste ti penetrino nel profondo, come ti conferiscano un senso di onnipotenza, di assoluto, di capacità di andare oltre lo Spazio e il Tempo. L'ho sempre coltivata da solo, con rispetto per i miei cari e per il mio prossimo, ma perché dovrei non amarla? Se, nel praticarla, avessi incontrato la morte, avrei preso atto del fatto che era un'opzione possibile. NEL FARLO, MI SAREI RESO CONTO CHE MI ERO SAPUTO RISERVARE UNA LIBERTA' SUPREMA, LA LIBERTA' DI SCELTA, CIOE' PROPRIO QUELLA CHE I "LIBERTARI" MI NEGANO. Il fatto è che io ho sempre diffidato di chi mi dice che vuole il mio bene. Se mi dicesse che vuole il mio male, mi sentirei più tranquillo. Tra i nemici, gli ipocriti sono i più pericolosi...

                                      Piero Visani


lunedì 30 dicembre 2013

Futura

A volte ci si imbatte in frasi che è come se fossero state scritte non da altri, ma da noi. Naturalmente io l'avrei scritta con minore maestria - questo è certo - ma l'idem sentire è totale. Uno si sente meno solo al mondo, sapendo che qualcun altro l'ha già guardato con gli stessi nostri occhi...
"Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell'impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente."

Manifesto del Futurismo
Le Figaro, 20 febbraio 1909


Piero Visani

La rinuncia

       La mia vita è all'insegna della rinuncia. Se intendessi dargliela vinta, mi suiciderei. Ma sono un combattente. Vedremo come andrà a finire. Una cosa è certa: non mi scoprirete mai a scrivere che bisogna accontentarsi. Se fosse, sarà il giorno in cui mi suiciderò... Con buona pace di quelli - troppi - che mi invitano a farlo (accontentarmi, non suicidarmi...). Chi si contenta gode - è vero - ma da onanista, lo ricordi...

                        Piero Visani

venerdì 27 dicembre 2013

So' soddisfazioni - 2

Siccome il mio animo si fa fortemente pervadere dalle atmosfere natalizie, è da qualche ora che mi sto chiedendo quanto segue: ma se allo "stato" di ieri dal titolo omonimo a questo aggiungessi una dedica tipo "Canzone per un'amica", di Francesco Guccini, apparirei troppo crudele...? Beh, di me tutto si può dire meno che io abbia paura delle mie azioni o delle loro conseguenze o delle eventuali ricadute sulla mia testa. Dunque la dedica parte, poi può arrivare o meno. Le strade - si sa - sono pericolose, anche per me.

                                   Piero Visani

giovedì 26 dicembre 2013

So' soddisfazioni

Una delle massime soddisfazioni di questo 2013, peraltro tutt'altro che avaro di eventi positivi sul versante personale, è per me quella di aver fatto piazza pulita di alcuni spettri, equivoci, "comedies of errors", "vite a credito" assai simili a "morti a debito" e via in questo crescendo di "vitalismo tombale"... Per riprendere e parafrasare a modo mio l'immagine hegeliana testé citata, "ho perso niente, e tanto meno me stesso"! Spiacente per chi avrebbe voluto altrimenti, e ci ha pure provato discretamente a lungo a cercare di farmi "perdere"... Non mi lascio, anzi raddoppio...

                         Piero Visani

Le idee forti

      Una delle caratteristiche più drammaticamente negative dei periodi di decadenza è il venir meno di "idee forti", di quelle idee, cioè, che possono cambiare il destino dei popoli. C'è molta agitazione a livello politico, ma poca o punta a livello metapolitico, perché l'agenda setting dei temi su cui la nostra attenzione viene quotidianamente sollecitata è in mano alle ideologie dominanti e ai "poteri forti" che le diffondono, per cui, nel bel mezzo di una crisi epocale della vecchia Europa, si sentono slogan e parole d'ordine la cui pochezza è addirittura miserevole.
     Dappertutto esistono forze di opposizione, più o meno consistenti, ma disperante e tragica è la loro pochezza politica e soprattutto culturale, visto che sono al cento per cento inserite nel mainstream politico-culturale e non paiono non dico avere voglia di distaccarsene, ma neppure rendersi conto che vi sono immerse fino al collo e spesso ben oltre il collo. Le indicazioni di carattere politico che ci vengono in questa fase sono, nella maggior parte dei casi, equiparabili al tentativo di curare una polmonite con un'aspirina, dicendo nel contempo al malato "non ti preoccupare, non è niente, è un semplice rialzo febbrile".
       Sicuramente è un problema, un problema di statura politica. Il pluridecennale rifiuto di dare un benché minimo rilievo al merito e la costante preoccupazione di selezionare sempre e soltanto degli yesmen (o yeswomen) ha prodotto effetti devastanti proprio in quelle forze che alla cultura dominante avrebbero dovuto opporsi e invece l'hanno fatta propria, respirata, sussunta, fino al punto di diventare più realiste del re. Gente che ha imparato ad edulcorare qualsiasi affermazione, qualsiasi concetto; che parla usando i codici comunicativi del nemico e neppure se ne accorge. Gente che ritiene che fare politica sia ottenere una poltroncina e che, quando ha avuto la fortuna di occupare una poltrona ha avuto una sola preoccupazione: omologarsi alla cultura dominante. Non dico che lo abbia fatto apposta, non credo si sia trattato di viltà, ma di semplice, TOTALE insipienza,  da perfetti idioti.
       Qualcuno ritiene che le "selezioni alla rovescia" del personale politico facciano male solo agli altri: no, fanno male a tutti e, se guardate le derive che hanno investito la Destra e la Sinistra italiane, nessuno può certo cantare vittoria. A Destra, nella Destra parlamentare, il Nulla, come sempre, più di sempre. A Sinistra, Matteo Renzi che diventa il segretario di quello che fu il partito comunista...
      Su questo fondo, si affronta la tragedia di un continente, spazzato dalla Storia nel 1945 e mai più capace di farvi ritorno da protagonista, con i pannicelli caldi proposti da politicanti, di quelli che, di fronte a una tragedia epocale, dicono che ci salveranno con qualche riforma che loro affermano essere di struttura, e che non è nemmeno definibile come tale.
       "Sprezzanti del ridicolo", ci indicano vie di uscita che non esistono e in cui loro stessi, per primi, non credono. Escono alla ribalta come topolini partoriti da una montagna di dolore, insoddisfazione e sofferenza qual è quella in cui è immersa l'Europa attuale, e ci gettano in un'ulteriore costernazione per la loro totale mancanza di statura politica e culturale, di pensiero, di "idee forti", di volontà di combattimento e di vittoria. Qualcuno sembra addirittura voler contrabbandare la sua personalissima "strategia per la pensione" (quella sì molto ben concepita e articolata) in una "strategia della tensione" di cui conosce a malapena il nome e non certo i significati.
       Uomini piccoli alle prese con una catastrofe continentale, tutti follemente attaccati all'idea che con la miopia, l'ottusità e la cattiva rimasticatura di qualche slogan datato si possa andare da qualche parte. NESSUN SOGNO, NESSUN SLANCIO, NESSUNA MITOPOIESI. Quasi che ci si potesse impegnare in grandi battaglie, in conflitti epocali per la sopravvivenza dell'identità e della cultura europee come un giorno si lottava - che so io - per la scala mobile. Nani che non hanno neppure capito che senza i sogni, i sogni politici e metapolitici, non si destano entusiasmi e non si va da nessuna parte. Eppure, nel momento in cui molti popoli europei stanno perdendo tutto, in termini materiali, i grandi sogni, i grandi progetti sarebbero le uniche proposizioni che potrebbero avere ancora grandi capacità di mobilitazione, specie se accompagnati da comportamenti coerenti. L'Europa muore perché è piccola, vecchia, stanca, in qualche caso ancora ricca, e perché colpevolmente persuasa che le tragedie della Storia possano finire in commedia. Non è mai stato così, non lo sarà neppure questa volta. Occorre, più che mai, UNA RIVOLTA IDEALE.

                     Piero Visani
























mercoledì 25 dicembre 2013

Carisma

       Una fonte assolutamente affidabile mi riferisce che una terza persona le ha detto di me che sarei un soggetto "altamente carismatico". Trasecolo, non per il piacere della positiva valutazione, ma perché non me la sarei minimamente attesa da chi l'ha fatta.
       Siamo alle solite: ondeggio tra giudizi altamente elogiativi, al limite del apologetico, e condanne inappellabili, pronunciate senza nemmeno concedermi il beneficio delle attenuanti generiche. Forse è il destino di tutti coloro che hanno una personalità alquanto spiccata, ma certamente è un destino singolare, che stupisce per la sua intrinseca mancanza di razionalità: gli entusiasmi sono troppo accentuati, le condanne troppo inappellabili.
       La mia vita è posizionata tra questi due estremi e l'aspetto che forse mi colpisce di più è che tale si sia mantenuta - immutata - nel corso del tempo. La mia immagine è cambiata raramente e, quando ciò è avvenuto, ho subito due destini non troppo difformi: o sono precipitato dall'alto verso il basso, e da persona stimata sono diventato un essere spregevole; oppure sono stato come "ibernato", per cui chi mi aveva conosciuto e mi aveva attribuito un determinato ruolo, avrebbe preteso di mantenermi in quel ruolo per il resto della mia "carriera di attore", non tenendo minimamente conto del fatto che io amo cambiare teatro, scena, pièce e autori con una certa frequenza, tendendo sempre ad "escalare", cioè a partire da un determinato livello, per quanto parziale, fino a diventare TUTTO.
       Mi è successo raramente, ma mi è successo e non so se questo positivo approccio olistico sia frutto del carisma che mi viene sovente riconosciuto, quello stesso carisma che, a quanto pare, allontanerebbe invece da me altri soggetti.
       Ho riflettuto tanto su tutto questo, talvolta fino a consumarmi negli interrogativi irrisolti, ma poi ho desistito: non aveva senso che io mi dannassi l'anima per cercare di farmi capire, se non mi si voleva capire. Ora vivo alla giornata e mi dedico interamente e con amore a chi ricambia le mie attenzioni. Non intendo più recriminare su dialoghi che non ci sono stati. Se non ci sono stati, è perché non si voleva che ci fossero. Questo è quanto.
 
                                      Piero Visani

And so this is Christmas

OK. Pratica evasa. Esaurita. Anche quest'anno il Natale è passato e posso tornare a occuparmi di cose di maggiore interesse, per me. Sento questa festa più o meno come una zanzara in una notte d'estate. Conosco il valore dei riti e anche i molteplici usi che possono farsene..., ma detesto i ritualismi, comunque intesi. Però so che sono importanti per "pascere subiectos", ma io - per mia fortuna, credo - sono un "Johhny Reb"...
 
                      Piero Visani
 

domenica 22 dicembre 2013

2013

      La mia vita è un percorso. Non solo la mia, ovviamente, ma io posso dire di averla sempre intesa lucidamente come tale, fin dall'adolescenza.
       Come in tutti i percorsi, si incontrano persone, si fanno esperienze, si passano momenti di solitudine e altri di frenesia.
       Riservo molta attenzione a tutte le persone che incontro, poi con alcune tendo ad avvicinarmi, con altre a mantenere un atteggiamento neutro, con altre ancora a distaccarmi.
       Con le persone cui mi avvicino, amo sviluppare il dialogo, che tanto più è intenso quanto più mi piace. Sotto questo profilo, se il 2012 è stata una catastrofe, saltuariamente confermata anche nell'estate 2013, quest'anno si è dimostrato ben diverso, come se quello che a me pareva un gigantesco credito nei confronti del destino avesse ottenuto un insperato premio.
        Non intendo fare considerazioni di carattere personale, ma ci sono poche cose più gradevoli di passare dai mutismi al Logos. Non ho nulla contro i mutismi, se non un po' di insofferenza verso la sostanziale viltà che li permea. Se si dà fastidio a qualcuno, è opportuno che questo qualcuno te lo faccia notare, più o meno garbatamente, di modo che ci si possa togliere elegantemente di torno. Il mutismo è un po' sgradevole, ma ovviamente ognuno ha il diritto di scegliere le soluzioni comunicative che preferisce.
        Stupisce, a volte, pensare che si possa ritenere di essere muti nella comunicazione personale e dialettici in quella impersonale, ma, anche in questo caso, non si può pretendere che tutti condividano la mia visione olistica dell'esistenza.
         Sul tema, in queste pagine ho abbondantemente "ricordato con rabbia", ma da tempo per mia fortuna sono oltre. Ho lasciato che la mia esistenza fluisse, ho accentuato - se possibile - la mia disponibilità al dialogo e, per una volta, sono stato sontuosamente premiato.
       Ne sono ovviamente molto lieto e, al tempo stesso, vedo riconfermata da questi comportamenti - dalla massima chiusura alla massima apertura - la mia natura di uomo non banale, non a basso profilo, non ordinario, non prevedibile. Mi presento per quello che sono, avanzo la mia proposta olistica, augurandomi che possa essere accettata. Se non lo è, prendo atto. Tuttavia - e su questo credo di essere sempre stato molto chiaro - non voglio essere e non sarò mai "un uomo a metà", uno che va bene per certe cose e non per altre. Se non vado bene per qualcosa, non vado bene per niente. Giusto togliermi di torno: i ruoli residuali mi sono estranei e fastidiosissimi. Ma non ho rimpianti: ogni esperienza porta con sé un carico di aspetti positivi e negativi. Persone che ho conosciuto e perfino amato ormai non sono altro che un ricordo, più o meno sbiadito, ed è giusto che sia così. Quando ci si accorge che si ha a che fare con soggetti che non tengono a noi, è giusto reciprocamente sparire, in modo da eliminare rapporti faticosi, imbarazzi, contrasti, difficili coabitazioni, tensioni, attriti.
       Facendo tabula rasa, magari non ci si ricorderà con piacere, ma neppure con rabbia. La danza delle occasioni perdute è un tipo di ballo alquanto praticato e, alla fine, lascia in bocca un totale senso di incompiutezza e un terribile desiderio di sostituirlo con un'assoluta compiutezza. Magari, con un po' di fortuna, quando uno meno se lo aspetta, la compiutezza arriva e allora va via perfino il desiderio di guardarsi indietro, perché chi ci capisce ci illumina alla perfezione sui limiti e le chiusure di chi non ci voleva capire. E se ne prende atto. Infine placati.

                                       Piero Visani

venerdì 20 dicembre 2013

Occhi nella notte

       Serata di incipiente inverno. Il sole del pomeriggio ha ceduto il posto a una notte fredda e gravida di foschia. Non è propriamente nebbia, ma vista e suoni sono come compressi, ovattati.
       La distanza che l'auto deve percorrere è molto breve, ma pochi chilometri sono sufficienti ad accentuare la sensazione di spostamento non nello spazio, bensì nel tempo.
       Tratti di aperta campagna non illuminati da una luce e soffusi di nuvole bianche che si alzano lentamente dal terreno.
       Basta un attimo e luci fioche diventano la piazza di un paesino. Un parcheggio semivuoto, un silenzio assordante. Un ristorante deserto come tutto il resto, ma che da inizialmente algido si trasforma progressivamente in un luogo dell'anima, delle nostre anime.
       Non c'è un motivo particolare che determini la trasformazione, o forse sì. Siamo seduti di fronte, come raramente ci accade e scopro che i suoi occhi sono due fari nella notte. L'avevo già notata, ovvio, l'intensità del suo sguardo, ma non così, non in questi termini.
       La serata si scalda, il vino accende l'atmosfera e quegli occhi diventano sempre più ardenti, mi fissano, mi trapassano, mi bruciano, mi devastano. Non li avevo mai visti, così e mi scopro a chiedermi se sia frutto di una mia distrazione o della situazione che si è creata.
       Accuso un leggero imbarazzo, nel profondo del mio animo, ma in breve esso si trasforma in una piacevole sensazione di scoperta, che poi diventa emozione intensa, frutto del fatto che le cose che non scopriamo di primo acchito, ma in un secondo tempo, possono diventare una spiacevole sorpresa, o una fantastica rivelazione. Tale è per me: quegli occhi sono sonde, emettono raggi laser che sembrano volermi vivisezionare, indagare in ogni più remoto recesso della mia psiche e del mio animo.
       Scopro una nuova persona, forse la scopre anche lei. Non l'avevo vista così, fino ad ora, non così compiutamente. Sono in difficoltà con me stesso, come impaurito dalla mia scoperta. Ma è solo un attimo. Poi tutto si trasfigura, capisco, ne prendo atto e mi accingo con gioia a "cambiare di livello", come direbbe un accanito cultore di videogiochi.
       La cena prosegue, i toni si affinano, le schermaglie si fanno più ironiche, rarefatte, complici. Uscendo, tutte due siamo perfettamente consapevoli che NON siamo più le due persone che erano entrate nel ristorante meno di due ore fa. E la prospettiva non ci spaventa certo, anzi...

                      Piero Visani

Apolide dell'esistenza

Da bravo "apolide dell'esistenza", non amo per nulla le feste - né natalizie né di alcun altro genere - che per me sono uno dei più evidenti "non luoghi" esistenziali. Le trascorro in genere lavorando e scrivendo, osservando - da "entomologo umano" quale mi considero - ciò che mi succede intorno e, se e quando ci riesco, riflettendo in silenzio sulla vacuità e l'insensatezza della condizione umana. Ho sempre fatto così e ancora non ho trovato un buon motivo per cambiare...
 
                                      Piero Visani
 
 

Troppo bella!

Riprendo questa splendida frase dalla recensione che Sebastiano Caputo ha fatto, su "L'Intellettuale dissidente", del libro di Diego Fusaro, "Minima Mercatalia":

“Nessun pastore e un solo gregge! Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali: chi sente diversamente, se ne va da sé al manicomio” scriveva Nietzsche – “l’apolide dell’esistenza” come lo ha soprannominato Massimo Fini – in Così parlò Zarathustra. Sensibilissimo sismografo della crisi di un’epoca e di una cultura, quella occidentale, Nietzsche annunciò prima di tutti gli altri la morte di Dio, affermazione simbolica del processo storico di eclisse del trascendente, del tramonto di tutti i valori-guida, i principi, le regole e fini di un Occidente che attraverso un “laicismo scientista” (Fusaro) ha distrutto ogni residuo metafisico e religioso sostituendolo con il monoteismo del mercato. Teologia santificata da un nuovo clero auto-definitosi “democratico” – in realtà “oligarchico-crematistico” (Fusaro) – che urla a gran voce: “non avrai altra società all’infuori di questa!”.

Come soggetto che si sente da decenni un "apolide dell'esistenza", vorrei fare anch'io come il mio maestro Nietzsche e avviarmi - in quanto "diverso" - al manicomio, poi mi sovvengo che hanno eliminato pure quelli... Non mi resta che una banca, o un supermercato, o il suicidio... Però mi fermo: ai "monoteisti del mercato" non vorrei "regalare" la mia vita. Che almeno essa abbia un prezzo, e vediamo chi dovrà pagarlo...
                        Piero Visani
 

giovedì 19 dicembre 2013

L'impresa di Alessandria d'Egitto (19 dicembre 1941)

Nelle prime ore del 19 dicembre 1941, esattamente 72 anni fa, i "maiali" (siluri a lenta corsa) guidati dalle coppie di incursori De la Penne - Bianchi, Marceglia - Schergat e Martellotta - Marino, riuscirono a penetrare nel porto di Alessandria d'Egitto, dove erano alla fonda alcune grandi unità della "Mediterranean Fleet" britannica, e - con un'azione di incredibile audacia - riuscirono a danneggiare pesantemente le corazzate QUEEN ELISABETH e VALIANT, più una petroliera.

A parere di chi scrive, si trattò del momento forse più alto della partecipazione italiana al secondo conflitto mondiale e fu un'azione tipicamente "italica": pochi uomini valorosi, spesso ai margini di pesanti strutture burocratiche, decisi a fare molto più del loro dovere con atti di incredibile audacia, determinati- come ha scritto un noto storico navale quale Giorgio Giorgerini - a "PENSARE L'IMPOSSIBILE, TENTARE L'INOSABILE, INCALZARE LA FORTUNA".
La pedagogia di massa nazionale, dopo il 1945, vuole che si esaltino solo gli "uomini piccoli", con i risultati che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi. Io credo invece che, per far crescere un popolo, occorra dargli esempi grandi, in ogni campo. Gli autori dell'impresa di Alessandria d'Egitto furono uomini grandi e tennero alto il nome della loro Patria, la cui storia non è fatta soltanto di reiterati 8 settembre, ma anche di molti altri momenti di assoluta grandezza.
E' bene che le giovani generazioni sappiano. Si può essere grandi, se solo si vuole, e non c'è popolo più sfortunato e schiavo di quello "che non ha bisogno di eroi". Dovrà infatti accontentarsi delle iene, e magari pure ammirarle e pensare di doverle imitare...

                    Piero Visani




sabato 14 dicembre 2013

Parlami di te


Inizio mattinata all'insegna dei ricordi. Avevo 16 anni, nel 1966. Il Festival lo vidi in televisione, ma andavo spesso a Sanremo, dove mio padre all'epoca lavorava. Quella canzone mi colpì, al punto che è un'esortazione che ho successivamente rivolto a tutte le donne che ho incontrato nella mia vita; con esiti alquanto alterni, ma tant'è... E' facile esortare, molto meno ricevere ascolto... Ma quell'esortazione non l'ho mai messa da parte: per metà di sangue valdostano, come tutti i montanari ho la testa durissima. Il problema è che molte mie interlocutrici hanno interpretato quest'ultima affermazione come una confessione che la mia testa, oltre che dura, fosse anche vuota. Cose che capitano...

                                 Piero Visani

Conflitti asimmetrici

Il manicheismo è una delle "epidemie concettuali" che vengono sempre più abbondantemente diffuse nella società contemporanea, e dalla quale è sempre più difficile restare immuni, specie se gli strumenti interpretativi su cui si può contare non sono amplissimi... Secondo una logica di pretta derivazione statunitense, abbondantemente diffusasi anche da noi, "i buoni" sono tutti buoni e i "cattivi" sono tutti cattivi. Sfumature sono impossibili. E, in mancanza delle medesime, la percezione e la comprensione della realtà si fanno più complicate.
Dato per scontato che nell'Europa meridionale stanno lievitando forme di insofferenza nei riguardi di un sistema politico-economico-sociale privo di qualsiasi progettualità che non sia quella di strangolare i cittadini comuni a vantaggio della triade euroburocrati- potentati finanziari - conventicole politiche e "misteriosofiche" di supporto, e dato per acclarato che un po' ovunque stanno crescendo le manifestazioni di insofferenza e di ribellione da parte delle vittime designate di tale sistema, da lì a poter legittimamente sostenere che siamo prossimi a una svolta ce ne corre.
Diciamo che stanno emergendo elementi e componenti interessanti, ma il mondo contemporaneo è quello della "virtualità reale" e della realtà virtuale, e, su questo sfondo, CHI è IN GRADO DI DIRE CIO' CHE E' VERO E CIO' CHE è FALSO, CIO' CHE E' SPONTANEO E CIO' CHE E' ARTEFATTO?
Nell'ondata di ribellismo generalizzato che si sta manifestando, quanti sono "rebels with a cause" e quanti lo sono invece "without a cause" e magari agiscono per conto di poteri forti, potentati, polizie, servizi più o meno segreti?
Alla fine, del resto, non conterà tanto quanto realmente sarà accaduto, quanto CIO' CHE VERRA' FATTO CREDERE CHE SIA ACCADUTO. E, ad occhio, tanto fra i protagonisti dell'esplosione ribellistica quanto tra l'opinione pubblica non mi pare che fini esegeti di questi fenomeni abbondino.
So già che mi sarà rinfacciata la PREVALENZA DEL FARE rispetto al PENSARE, ma vorrei sommessamente obiettare che quello che io sostengo è essenzialmente l'importanza del FARE DANNO (agli altri) piuttosto che correre il rischio di FARSI AUTOGOL.
In un conflitto asimmetrico - tale è infatti quello di cui si prospettano in questi giorni le prime avvisaglie - il rischio di cui sopra è formidabile, poiché l'intima essenza della guerra asimmetrica è "la sconfitta del vincitore". Attenti dunque a non vincere per conto terzi, non avendo neppure ben individuato la natura di tali terzietà o, all'inverso, a non trasformare un sistema politico ormai decotto nell'unica ancora di salvezza di quanti temono un salto nel vuoto che stanno già compiendo, e che finirà malissimo, ma di cui non si rendono conto, perché il sistema politico dominante è assai attento a cercare di occultarglielo.
Occorre un fine disegno strategico e pochi Masanielli, perché grave è il danno che può scaturire dal "regalare terre promesse a chi non le mantiene".
Le "terre promesse" ci possono essere, ci sono, ma sono frutto di lucidi disegni politici e della capacità di metterli in pratica. L'attuale ribellismo è comprensibile, ma il grossolano qualunquismo di cui si ammanta non mi pare che gli giovi granché.
                                   Piero Visani
 

giovedì 12 dicembre 2013

Mors loro, vita nostra

Un sistema di potere, per durare, ha bisogno di consenso. Consenso relativamente ampio, ben distribuito nella scala sociale, da vellicare periodicamente con elargizioni più o meno ampie. Non è un discorso idealistico, ma realistico. E' successo anche nella nostra disgraziata Italia, ed è servito a mantenere in piedi regimi e governi di diversa ispirazione.
Ma che succede quando tale redistribuzione cessa, o diventa un gioco autoreferenziale, ristretto a pochi soggetti, mentre il resto del Paese viene votato dapprima al declino, poi allo sconforto, successivamente alla povertà e infine alla miseria?
A quel punto occorre garantirsi un totale controllo mediatico, la solidarietà dei "poteri forti" e ovviamente quella dell'apparato repressivo, poiché, senza repressione, un sistema autocratico come l'attuale non sta e non può stare in piedi, quanto meno nel medio-lungo periodo, tanto più se vengono meno le sue fonti di legittimazione, visto che si scopre che non è formato soltanto da corrotti e da delinquenti politici, ma anche da criminali comuni, gente che froda a man salva denaro pubblico e che per questa ragione è oggetto di indagini della magistratura.
Da qui ad affermare che l'attuale regime politico possa cadere domani, ce ne corre, ma è innegabile che ha perso qualsiasi legittimità e qualsiasi credibilità, ed è diventato oggetto soltanto di rabbia e odio.
A mio parere, sono i due aspetti positivi che stanno lievitando, giorno dopo giorno, nel cuore degli italiani e - a differenza di quello che pensano molti miei simili - ritengo che siano due sentimenti altamente COSTRUTTIVI. Sono i sentimenti che ti spingono a distruggere per RICOSTRUIRE, che ti inducono a fare TABULA RASA per cambiare.
CAMBIARE: "come si cambia, per non morire", cantava qualche anno fa Fiorella Mannoia. E' quello che stiamo cercando di fare anche noi: ormai sull'orlo del baratro, dobbiamo chiederci - e molti ormai lo stanno facendo - quale vita dovrà essere sacrificata, la nostra, o quella di qualcun altro? Questa è la domanda che si stanno ponendo in molti, con crescente angoscia. Il sistema politico più stolido è quello che pone la gente con le spalle al muro. Gli italiani le spalle al muro ormai le hanno da tempo, ma possono ancora scegliere: o rassegnarsi alla fucilazione oppure alzare la testa...
Non mi faccio illusioni su rivoluzioni o quant'altro, però noto con soddisfazione che all'imperativo "Giù la testa!", lanciato da un sistema politico che ricorda le peggiori e più corrotte autocrazie, gli italiani stanno rispondendo alzandola almeno in parte, la loro testa: "Mors loro, vita nostra"...
                                                           Piero Visani
 
 

mercoledì 11 dicembre 2013

Sympathy for the Devil - Primo anniversario

       Giusto un anno fa, l'11 dicembre 2012, nel bel mezzo di un accesso di rabbia imputabile a un trattamento che non ritenevo di aver meritato, decisi che avrei sfogato le mie tensioni in un blog. Nacque così - con la rapidità di un lampo, come sono solito fare le cose io - un blog personale, al quale attribuii il nome di "Sympathy for the Devil", intendendo con ciò evidenziare il mio interesse per tutto ciò che non è ordinario, regolare, "naturalmente" buono, ma appartiene alla dimensione - per dirla con Konrad Lorenz - del "cosiddetto Male".
       Come ho già avuto modo di raccontare, il titolo che in origine avrei voluto attribuire al blog era "Sympathy for the (d)Evil, ma non mi venne accettato, forse perché troppo complicato e "culto".
       Ricordo bene che il primo post si intitolava "It's just like starting over", come una famosa canzone di John Lennon, e intendeva ovviamente evidenziare il mio desiderio e la mia ricerca di un "nuovo inizio", dopo un periodo di cocenti delusioni.
       Ora questo blog compie il suo primo anno di vita, forte di poco meno di 27.000 passaggi e oltre 920 post. Non amo i bilanci, ma indubbiamente mi corre l'obbligo di farne uno, se non altro perché a questo blog sono parecchio affezionato.
       Generato da un sentimento di rabbiosa frustrazione, frutto di un'incomprensione totale dalla quale mi sono sentito molto ferito, questo blog è andato avanti per parecchi mesi essenzialmente sulla scia di tale frustrazione, come una sorta di "regolamento di conti" ex post. Poi ha cambiato natura, man mano che cambiava la mia vita.
      Oggi, a un anno di distanza dalla sua nascita, credo di poter dire che questo blog:
  • mi ha aiutato a fare i conti con un trattamento orribile, falso e doppio, quale mai avevo subito in vita mia, e ad assorbirlo progressivamente;
  • mi ha consentito di approfondire tanti temi che mi sono cari, al punto che ci sono tutti gli estremi per la redazione di un libro, al quale sicuramente mi accingerò;
  • mi ha messo in contatto con persone nuove, amichevoli, disponibili e dialettiche, e in ciò ha compiuto il miracolo. Lo avevo iniziato per esprimere tutta la mia protesta e la mia collera contro le chiusure e i mutismi, e, man mano che quotidianamente lo curavo, mi ha fatto capire che il mondo non è popolato soltanto da soggetti interessati, falsi e doppi, ma anche da persone sincere, vere, lineari, dialettiche, aperte e affettuose.
      Questa piacevole constatazione mi induce a iniziare con soddisfazione il secondo anno di vita della mia modesta ma personalissima creatura, che resta testimonianza di una fase della mia esistenza in cui "ricordavo con rabbia". Ora ho smesso di ricordare e guardo avanti, ricco di nuove amicizie e di nuovi straordinari rapporti, tutti basati sulla sincerità e il dialogo. Ho molto sofferto, ma sono oltre e non ho più nulla da recriminare. Invitato brutalmente a prendere altre strade, le ho prese e ho scoperto che erano decisamente migliori e più interessanti delle vecchie... Grazie Blog!!
 
              Piero Visani

martedì 10 dicembre 2013

Sangue, sudore e lacrime

Dunque ormai è chiaro: il progresso produce disperazione, la democrazia produce populismi, il liberalcapitalismo produce disperati e il fiscalismo cuoce questa "sana" miscela a fuoco non propriamente lento.
E' bello - per chi lo ha sempre odiato dal profondo del cuore - vedere il fallimento più totale del sistema politico ed economico oggetto da sempre dei suoi strali. Ed è ancora più bello vederlo fallire senza guerre, ma compiendo ugualmente disastri, inducendo persone al suicidio, rendendo la vita di coloro che non sono "beati possidentes" non "un sogno lungo un giorno" ma un incubo che non accenna a cessare.
Giorno dopo giorno, migliaia di persone sprofondano nella povertà, senza uno straccio di prospettiva per sé o per i loro figli. Non ci sono più "domani che cantano", ma solo un presente che è orribilmente stonato e un futuro cui è meglio non pensare, perché potrebbe anche vederci vivere sotto i ponti...
Su questo sfondo, le nuove "Marie Antoniette" ci satollano con le loro promesse su svolte "dietro l'angolo", su riprese annunciate a dicembre di tutti gli anni e negate nel successivo mese di gennaio.
Una società morta e una classe politica ancora più morta della società cercano di sopravvivere a se stesse, non riuscendo neppure a immaginare la catastrofe che verrà. In effetti, per affrontare le catastrofi ci vuole una "cultura del tragico" che ci è stata sottratta da tempo, derisa, negata, ascritta a coloro che non sapevano nutrire ottimismo e ci sommergevano di "pensiero negativo".
Così, siamo più inermi che mai, in quanto la tragedia che stiamo vivendo, questa devastante "finis Europae", meriterebbe di essere affrontata virilmente, con senso del tragico, per l'appunto, "disertando in avanti" - per parafrasare Marinetti - mettendo cioè da parte tutto l'armamentario del "buonismo" che nulla risolve per entrare nella tragedia sapendo che tutto questo ci costerà sangue, sudore e lacrime, e sapendo che, entrandovi armati di tale consapevolezza, potremo forse uscirne vincitori. Nessuna garanzia, ma un fantastico salto nel vuoto, da coraggiosi. E' così difficile dirlo?
                                 Piero Visani