venerdì 14 marzo 2014

Il valore dei contrappesi

       Ho passato una parte significativa della mia vita, in gioventù, a combattere la "minaccia comunista". Io la percepivo come tale e, per aprirmi gli occhi su chi fosse il "nemico principale", dovetti attendere di leggere i primi saggi degli ideologi della "Nouvelle Droiite" francese.
       Quelle letture cambiarono il mio ordine di priorità, nell'individuazione e definizione del nemico, ma non posso negare che, quando tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta il sistema sovietico collassò, per un attimo pensai che la situazione politica generale sarebbe migliorata.
       Errore gravissimo, per un ormai quarantenne: privo di nemici, il liberalcapitalismo, da quel giorno, ha dato il peggio di sé (e in sé, peraltro, racchiude tutto il peggio possibile...) e ha avviato la costruzione di una società dominata dal pensiero unico e dal "totalitarismo dolce".
       Mai realmente ostile allo Stato, quanto meno non dal punto di vista ideologico, proprio vivendo in una società che si definiva liberaldemocratica ho preso ad odiarlo, perché dello Stato ho sentito un peso che in precedenza non avevo mai percepito: invasivo, intrusivo, voleva sapere tutto di me, della mia famiglia, delle mie scarse proprietà, di quello che facevo, del perché e del per come.
       Così si è sviluppato in me un odio totale per lo Stato, odio che è diventato sempre più feroce e attivo man mano che quello Stato che mi aveva lasciato sopravvivere più o meno in pace per oltre mezzo secolo, ora, nella più libera delle società, nel "migliore dei mondi possibili", da me voleva solo obblighi, "corvées" e adempimenti fiscali.
       Siccome sono solito perdere e morire, ma non farlo senza combattere, ho preso tutte le precauzioni possibili immaginabili nella mia lotta contro il Leviatano: mi sono spogliato di ogni proprietà, ho cambiato vari tipi di lavoro, mi sono votato a una "guerra di movimento", e naturalmente asimmetrica, in cui la lotta potesse concludersi con la "sconfitta del vincitore" (e naturalmente il vincitore designato non ero certo io...).
       E' stato in quel conflitto senza speranza, ma combattuto con assoluta ferocia da entrambe le parti, che ho compreso l'assoluto valore dei contrappesi: man mano che il liberalcapitalismo mostrava il suo vero volto, che è quello di un totalitarismo feroce e oppressivo, non meno dogmatico e assolutista di altri, mi sono reso conto che occorreva creargli dei contrappesi, di modo che avesse nuovamente paura di qualcosa, che non si dovesse solo preoccupare di trasformare i suoi sudditi in schiavi (di cittadini - notoriamente - proprio non si parla...).
       Non ci spero molto, ma ho continuato su quella strada: morirò libero e povero, ma non schiavo. Troverò un'isola, possibilmente deserta, dove non sentirò più parlare di qualcuno "che vuole il mio bene", che "sta lavorando per me", che mi vuole privare perfino dei quattro soldi che ho in tasca perché "l'Europa ce lo chiede".
Morirò - questo è certo - ma non da servo. Senza compromessi, cercando alleati se ne trovo e fuggendo il più possibile lontano da qualsiasi forma statale, da qualsiasi pubblico potere, da chiunque voglia dirmi che cosa devo fare e perché, naturalmente "per il mio bene". Sarò lupo nei boschi. Solo, ma in un ambiente che conosco bene e dove sicuramente non dovrò soltanto subire...

                                                         Piero Visani

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