martedì 3 giugno 2014

I pesi sull'anima

       Ogni tanto, i pesi che gravano sulla mia anima vengono inevitabilmente a galla. Vorrei che mi succedesse più raramente, ma in realtà mi accade sempre più spesso. Probabilmente sono gli anni che passano, le incertezze che aumentano, la necessità di ridiscendere ogni giorno in combattimento, sapendo che difficilmente se ne uscirà vincitori.
       Di tutte le vite che ho vissuto (e non sono state poche), non è questa la più divertente, anzi probabilmente è la più faticosa, quella caratterizzata solo da un'esigenza testimoniale, non certo dalla speranza. "Testimone" in greco antico si diceva marturos, e la sensazione è quella - senza dilatare il senso delle parole o annegare nella retorica, ma restando ben saldi nella realtà - di dover prima o poi diventare "martire" di me stesso. Forse è tutta la vita che lo sono, con consapevolezza più o meno spiccata, ma ora, anno dopo anno, la sensazione si fa più nitida.
       Il carico di ferite, di vario genere, è sempre più forte e ancora più forte è la sensazione di vivere una "vita a credito", ma forse il credito si sta esaurendo...
       In questi accessi di dolore, quel poco che rimane è il dialogo - intenso e partecipe - con quanti guardano al mondo con i miei stessi occhi, le mie stesse passioni, la mia stessa percezione della vita.
       Già molto selettivo per natura, lo sono diventato ancora di più dopo le varie delusioni cumulate nel mio percorso esistenziale e dopo vari tentativi di dialogo abortiti in silenzi, mutismi, ostilità, deprecazione, dannazione.
       Ora la mia ricerca di idem sentire si è fatta palese, direi ostentata, perché non ho più tempo per poter fare diversamente. Non intendo più imbarcarmi in alcun dialogo tra sordi, in cui lasciare che la mia passione esistenziale anneghi nell'indifferenza altrui. L'ho fatto e ne ho ricavato solo molto dolore, perso dietro al miraggio di riuscire a cambiare le persone con la mia passione, la mia eloquenza, la mia voglia di vivere, il mio entusiasmo o chissà che altro.
       La mia offerta ormai è esaurita, nel senso che non è più diretta a un pubblico potenziale, ma solo a chi capisco che ha desiderio e interesse ad ascoltarmi. Sotto questo punto di vista, posso dirmi estremamente fortunato, in quanto sono riuscito a garantirmi una più che soddisfacente dose di idem sentire.
        Mentre la società mi crolla brutalmente intorno, mentre si riduce pericolosamente il numero delle persone con cui sento di poter condividere qualcosa, la salvezza risiede nel colloquio con chi si pone di fronte al mondo con occhi affini ai miei e da me non vuole niente, a parte amore, affetto, dedizione, dialogo.
       Non è facile, per chi ha "il cuore di simboli pieno" come me, fare scelte di auto-isolamento o di selezione deliberata ed elitaria, ma, se queste scelte mi danno gioia, mentre le altre mi provocano solo disprezzo e dolore, devo necessariamente ricercare la gioia là dove so di poterla trovare, evitando di farmi scientemente massacrare. In fondo, "diventare ciò che si è e incontrare chi si è" è un atto di fondazione primigenio, il primo che ciascuno di noi dovrebbe fare non appena acquisisce una minima conoscenza di sé. Ho vagato a lungo - facendomi forte della mia intatta stima nel mio potere di persuasione - per territori diversi, uscendone sempre a pezzi. Ora so chi ho voluto cercare, chi sono riuscito a trovare e con chi intendo continuare a comunicare: con chi parla la mia stessa lingua e mi considera un uomo singolare ma apprezzabile, non un "mostro" repellente e pieno di strane chimere. Le chimere in realtà le ho e correrò loro dietro fino alla fine dei miei giorni, ma c'è chi ritiene questa una scelta encomiabile, mentre per altri è una noia e un orrore. Ho dato fiducia ai primi, per non accentuare troppo i pesi che - da sempre - mi gravano sull'anima e mi rendono così off limits per tanti soggetti.

                    Piero Visani


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