domenica 22 giugno 2014

Jealous guy

       Fin da bambino, cioè da quando ho cominciato a interessarmi di soldatini e guerre, per poi passare all'uniformologia, alla storia militare, alla strategia e infine alla polemologia, sono sempre stato convinto che la vita e la guerra abbiano molti punti in comune, a cominciare dal fatto che la più parte di ciò che in esse accade è noia, per poi essere sostituito da fasi - in genere brevi - di purissima adrenalina.
        La mia vita, quanto meno, è stata così, nel senso che, tra le mille cose che ho fatto e le non minori esperienze che ho vissuto, solo poche hanno avuto un valore elevatissimo per me, mentre le altre sono tutte connesse alla quotidianità e alla gestione della medesima.
        Questo vale anche  per gli amori, gli incontri personali: molti assolutamente ordinari, alcuni di grande valore, per me. E quando dico per me non intendo che fosse la stessa cosa per la mia controparte di dati momenti e circostanze. Dico per me, e magari solo per me, non per lei. Persone che mi hanno colpito nel profondo e alle quali mi sono dedicato con impegno e passione assoluti.
        La cosa peggiore che potrei fare - io ritengo - è chiudere questi libri. E' vero, sono nella mia biblioteca e non sulla mia scrivania, ma dovrei buttarli via solo perché mi hanno dato (o tolto...) qualcosa? Sono i "classici" della mia vita, sono il senso ultimo del mio passaggio su questa Terra. Dovrei bruciarli o cessare di leggerli? Ogni tanto li apro, li vado a sfogliare; cerco pagine che mi abbiano emozionato nel profondo, e ve ne sono. Non recrimino né rimpiango mai. Guardo con occhio distaccato, da storico. Immagino i tradizionali "what if scenarios" (esercizio classico da amante della strategia), ma so bene che sono pagine chiuse.
        Sono pagine chiuse per volontà altrui, dunque chiusissime, perché io - per mia natura - non chiudo mai niente, se prima non si chiude CON me. Poiché ciò, nella quasi totalità delle mie esperienze di vita, è avvenuto per volontà altrui, non ho nulla da dire o da recriminare. Ho preso atto, talvolta con dolore o con rabbia, o con entrambi, ma ho preso atto.
       Quello che mi piace andare di tanto intanto a ricordare è la passione personale che vi ho profuso, perché il farlo mi serve a caricarmi. Faccio tutto con passione e vedere quanto ho partecipato alle poche storie di vita che mi sono realmente interessate mi dà la misura di me, del mio esistere, del mio essere uomo. Non voglio tornare indietro, desidero semplicemente riconoscere me stesso nel mio passato, perché è il mio passato che dà senso al mio presente e al mio futuro. Voglio essere certo di avere fatto tutto nel migliore dei modi, profondendo tutto me stesso, voglio essere certo NON di non avere sbagliato nulla (non sono sicuramente immune da errori), ma di avere fatto le cose con dedizione, amore, partecipazione, passione, apertura, volontà di dialogo, disponibilità.
       Non si può essere gelosi del passato di una persona, non ci si può chiedere se siano storie chiuse o meno. Nel mio caso, lo sono sempre, perché, se così non fosse, probabilmente in una certa misura sarebbero ancora aperte. Io non chiudo mai, per mia natura, l'ho già scritto. Chiudo con chi mi ha buttato via, perché - anche se talvolta ne ho sofferto - rispetto le scelte altrui. E anche perché - orgoglioso e narciso come sono - non mi piace granché sentirmi rifiutato. Tutto molto semplice. Prendo atto e vado a cercare chi mi apprezzi. Per quanto possa sembrare singolare, qualcuna c'è.

                           Piero Visani




                                     

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