giovedì 11 settembre 2014

Le unioni indissolubili


       Le unioni politiche sono come i matrimoni religiosi, a quanto pare. Uno ci convola - nel caso della Scozia, fattore non propriamente trascurabile, a forza... - e poi non può uscirne più e deve dannarsi l'anima per "divorziare"...
       Il mondo - ci dicono le vestali della democrazia - deve essere aperto, globalizzato, dinamico, occorre sapersi spostare da un punto all'altro del medesimo, essere "flessibili". Ma se io, in un accesso di flessibilità, dico: "fermate il (vostro) mondo, voglio scendere!", allora - apriti cielo! - scatta la litania dei no: "no, non si può, dobbiamo restare uniti, ma perché te ne vuoi andare, non stavi bene con noi?" (e quest'ultima è in genere la domanda che più fa adirare).
       Intorno al 1860, gli Stati del Sud degli Stati Uniti, consapevoli del fatto che la deriva assunta dall'economia statunitense di quegli anni li stava molto danneggiando sotto il profilo economico, decisero di secedere dall'Unione in base alla rivendicazione dei loro diritti di libertà.
       Avevano liberamente aderito ad un'unione - gli Stati Uniti - ma ora non la ritenevano più conforme ai loro interessi e scelsero di andare per la loro strada. Furono richiamati a forza e ancora oggi la colossale balla dello schiavismo viene citata tanto per occultare la macroscopica violazione dei diritti degli Stati.
       La bandiera confederata e quella scozzese si somigliano, con la loro croce di Sant'Andrea, così come comune è l'anima celtica, come certificato da importanti saggi storici, ma le affinità non si fermano qui.
       Quello che ci si chiede, ad esempio, è il perché di queste unioni indissolubili: l'Atto di Unione del 1707, fu in realtà un'annessione forzata, che la Scozia dovette accettare "obtorto collo". La disunione potrebbe invece venire da un referendum popolare e, stante la diversissima natura dei due eventi, rimane confermata la tesi che in democrazia dicesi democratico ciò che viene imposto a tutti dai ceti dominanti.
       Il Regno Unito è stato oggetto, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, di un'immigrazione insana e incontrollata, che ha snaturato la sua stessa identità, ma nessuno ha battuto ciglio, perché acquisire forza lavoro a bassissimo costo faceva comodo alle classi dirigenti dell'epoca. La secessione scozzese depriverebbe invece la Gran Bretagna di territorio e risorse petrolifere, e manderebbe un segnale fortissimo al Galles e all'Irlanda del Nord (dove il diverso tasso di natalità tra cattolici e protestanti non lascia scampo alcuno ai secondi, in caso di consultazione popolare).
       C'è infine un ultimo aspetto: se si vogliono evitare - all'interno del "lager UE" - tensioni sociali di portata così forte da non poter più essere gestite in forma non cruenta, l'unica possibilità è quella di concedere ai popoli di smontarla con le consultazioni popolari dall'interno, ritornando per il momento a "piccole patrie" gestite il più possibile dal basso, senza rappresentanze autonominantesi tali.
       Il referendum scozzese ci insegna dunque moltissime cose e la posta in gioco è ben più alta di quanto appare. E' un esercizio di sovranità popolare diretta ed è naturale che i democratici di tutto il mondo non lo amino. Loro sono per un tipo di potere strutturato à la marchese del Grillo: "io so' io e voi nun siete..." etc. etc.
       Il referendum del prossimo 18 settembre può mettere in luce che la democrazia attuale è la sintesi di oligarchia e totalitarismo plebiscitario. Non è opportuno farsi illusioni, ma è utile approfittare di ogni occasione per evidenziarlo.

                           Piero Visani

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