martedì 27 gennaio 2015

Confisca esistenziale

       Il peso del totalitarismo si comincia a sentire per gradi. Lo so che nell'immaginario collettivo la visione classica è quella dell'arrivo di migliaia di miliziani che si dedicano ad attività repressive, ma nella realtà non è così.
       Il totalitarismo è semmai una progressiva confisca di spazi di libertà, che un tempo ciascuno di noi occupava a proprio piacimento e che ora gli sono stati espropriati.
      Per qualunque cosa io faccia, c'è qualcuno che pensa per me, che mi dice cosa devo fare e come dovrei farlo, che mi dà consigli di cui non sento il bisogno. Vivo - mi dicono - "nel migliore dei mondi possibili", ma non mi sono mai sentito tanto male come adesso. Nulla è più mio, e non sto parlando di soldi (che non ho mai avuto in misura significativa). Sto parlando di una vita che in fondo, per lunghi periodi, è stata assolutamente mia e che ora mia non è più, sacrificata di fronte a innumerevoli altari, ad idola che non ho mai conosciuto, non conosco e non intendo conoscere.
       E' una confisca esistenziale, quella di cui mi sento vittima. Mi sento deprivato di tutto, persino della capacità di decidere delle mie azioni e, se continuo ad esercitarla, è solo perché non ho alcuna intenzione di mollare.
       Sento "dotti, medici e sapienti" parlare di ciò che mi manca, dei pericoli cui sarei esposto, delle tutele che mi sono state offerte, ma a me manca la vita, il suo sapore. Non ho bisogno di narcotici, io, ma vorrei poter gustare i frutti dell'esistenza, non i surrogati dei medesimi. Vorrei essere vagamente libero, non il meccanismo di un ingranaggio infernale. Vorrei provare qualche gioia residua, ma cosa mi resta?
      Questo totalitarismo un tempo detto "dolce" a me tale proprio non pare. Mi pare solo un modo - perfettamente riuscito - di uccidermi mentre ancora vivo (o fingo di...).
       Non è il massimo attraversare la fase finale della propria esistenza sperimentando tutto questo, avendo chiara consapevolezza che ti è stato tolto tutto, e che nulla tornerà. Mi concedo un ultimo hobby, che certamente non avrò modo di praticare io: coltivare un odio profondo per chi mi (ci...) ha ridotto così e tenerlo ben vivo dentro di me, cercando di insegnarlo e di trasmetterlo a chi abbia voglia di ascoltarmi. Per questo scrivo, soprattutto in privato, con tanto fervore: mi piace pensare di riuscire a dare un mio piccolo contributo alla formazione di chi dovrà - se e quando potrà - vendicare la confisca esistenziale di cui sono stato oggetto. La vendetta è un sentimento che mi supporta nei momenti più bui. Non porta da nessuna parte, non offre vantaggi particolari. Porta in un unico posto, quello in cui voglio esserci: il posto della vendetta. Non ho nulla da perdere e nulla - ovviamente - da guadagnare. Punto solo al "soffrirete anche voi!". Sorrido già adesso, in perfetta solitudine, al solo pensarci. Il mio personale motto è sempre stato Nemo me impune lacessit. So bene che non è e non sarà così, però il solo cercare di coltivarlo è un fuoco interiore che non solo mi fa stare in piedi, ma mi riempie di feroce passione.

                            Piero Visani



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