sabato 21 marzo 2015

I neo-militaristi

       E' una simpatica genia, quella dei neo-militaristi. Preoccupati oltre ogni dire dalle "orde barbariche" che si affollano ai "sacri confini della Patria" (delle altre orde, quelle ben inserite all'interno dei confini medesimi, nessuna parola, ça va sans dire...), da qualche settimana inneggiano alla "flessione dei muscoli" contro ISIS e sodali.
        Loro fingono di ignorarlo, ma sono i legittimi eredi di coloro che ci hanno sollazzato, per decenni, con frasi del tipo "mancò la fortuna, non il valore". Sul fatto che il valore non sia mancato, nel secondo conflitto mondiale, si può certamente convenire. Quanto alla "fortuna", siamo ai problemi di sempre: una guerra non è una partita di calcio, ma un confronto supremo nel quale occorre entrare con tecnologie avanzate e una precisa "cultura del conflitto". Mi chiedo quindi come possa sperare in tutto questo un Paese come l'Italia, modesto "ascaro" della NATO, le cui spese militari rappresentano una percentuale risibile del PIL, e che fa sorridere, quando mostra denti che non ha.
       Al di là di questo aspetto, c'è tuttavia ben altro, c'è il fatto che, per fare la guerra, occorre una "cultura del conflitto" che a me non pare proprio che in Italia esista, anche  all'interno delle Forze Armate. Ho vissuto in prima persona, da consulente esterno, questa epocale trasformazione e l'ho vissuta per poco meno di un ventennio, non certo per qualche mese. Ho visto la cultura del "pacifismo militare" (dovrebbe essere un ossimoro, ma da noi non lo è...) diventare uno strumento di carriera, di avanzamento a buon mercato, perché quanto più ci si mostrava pacifisti, negatori della stessa professione che si stava svolgendo, seguaci della Comunità di Sant'Egidio e dei luoghi comuni cristiani sul tema della guerra, tanto più si guadagnavano stellette. E - per quel che devo constatare - ancora oggi nulla è cambiato e l'orientamento di fondo rimane sempre quello: i "soldati di pace", i militari "crocerossine", i "bravi ragazzi" che vanno a salvare i poveri migranti sui barconi o i bambini iracheni e afghani.
       Ora mi chiedo una cosa: in quanto tempo i neo-militaristi pensano che questa "cultura militare" da operetta possa essere sostituita da una cultura militare di tipo tradizionale, in cui coloro che svolgono la professione delle armi ne siano fieri e non cerchino di occultarla dietro qualche éscamotage che la delegittimi nel momento stesso in cui la vorrebbe giustificare? Si pensa forse che sia una transizione facile e indolore, quella dal "militare crocerossino" al "combattente"? Si deve SOLO negare un settantennio di politica militare post-1945, con tutti gli annessi e connessi, e voglio vedere che cosa succederà quando arriveranno le prime e massicce perdite (italiche, quelle altrui saranno giustificate con le solite tiritere sui "nemici dell'umanità". Riflettere sugli altrui è facile, sui propri è più scomodo...). Occorre ricordare che il combattimento di fanteria in ambiente urbano è un incubo che spaventa eserciti ben più agguerriti del nostro, e che - nell'ultimo conflitto nella striscia di Gaza - ha fatto 66 morti israeliani in meno di due settimane.
       Suvvia, fare i pacifisti costa molto meno e fa più immagine: due piccioni con una fava... Se ne è tenuto brillantemente conto solo per sette decenni, vorremmo cambiare proprio ora, e come? Volendo utilizzare una classica metafora calcistica, è un radicale mutamento di modulo (tra l'altro - e la notazione non è da poco - del tutto precluso agli "ascari" della NATO, che possono solo servire, non sviluppare politiche proprie), che richiede di cambiare filosofie, comportamenti, giustificazioni. In una parola, passare dalle photo opportunities con i bambini iracheni e afghani a quelle con i "tagliagole" morti, uccisi dai membri di uno strumento militare serio, che non si vergogna di quello che fa, se e quando lo deve fare.
       E' una rivoluzione copernicana, per le nostre Forze Armate, per la nostra classe politica (politica...?), per l'Italia tutta: la attendo fidente: ho uno spiccato senso dello humour...

                                              Piero Visani