martedì 30 giugno 2015

Caso di scuola

       E' la classica situazione marxiana: "non abbiamo nulla da perdere, se non le nostre catene". E allora vediamo di togliercele.

                       Piero Visani

L'accettazione dell'esistente


       E' un qualcosa che ci viene buttato in faccia ad ogni piè sospinto, allo scopo di mostrarci che non esistono alternative e che quella che ci viene offerta è l'unica soluzione possibile.

       Per ragioni caratteriali, fin da bambino, ogni volta che mi dicevano "o mangi la minestra o salti dalla finestra", io ho sempre scelto il volo...
       Qualche ammaccatura, anche grave, c'è. I mestieri che ho fatto sono un discreto numero e continuano a salire, ma quella che proprio non ho mai digerito è "l'accettazione dell'esistente". Ogni volta che me la sbattono in faccia, sono colto da una furia iconoclasta che è la peculiarità caratteriale che sento più mia e che amo di più. Ovviamente mi riesce difficile entrare in sintonia con coloro i quali, ogni tre parole, devono ricordarti che occorre "tener conto della situazione esistente". Io di norma, di fronte al lievitare di tali atteggiamenti, sento crescere in me la più bella affermazione del mio album di famiglia, mai rinnegato peraltro: "me ne frego"!

                             Piero Visani

Irrazionalità


       E' parola che oggi si legge e si sente dappertutto. Mi rianimo. Poiché l'unica razionalità che conosco è quella che ha provocato - a me come a tanti altri - inenarrabili danni, quando sento parlare di razionalità "entsichere ich meinen Browning" (cioè, con libera traduzione, "tolgo la sicura alla mia pistola").
       Di razionali ne ho conosciuti tanti, in vita mia, e, nei loro confronti, mi limito a dire: "se li conosci, li eviti". Vengo da una cultura assolutamente irrazionale e ne vado fiero. Alle "civiltà" create dagli economisti, cerco di sottrarmi come posso.
       Delle loro fulgide capacità percettive, ho già scritto "ad abundantiam" nello "stato" di cui sotto: "Burocrazie e 'amici fragili'"
       Verrà la morte, e avrà i loro occhi, ma loro - che sono così razionali - mi diranno che è vita... Per mia fortuna, sono nato e morirò irrazionale.

                           Piero Visani

Burocrazie e "amici fragili"...

       Sono certo che, se una madre disperata di due figli "suicidatisi" per crisi da Eurolager dicesse a un burocrate del medesimo, con aria distrutta:
"Lo sa che io ho perduto due figli",
sicuramente si sentirebbe rispondere:

"Signora lei è una donna piuttosto distratta."

      Questo è il livello di comprensione (aspetto su cui insisterei, molto di più che sulla sensibilità...) delle burocrazie e delle eurocrazie.
      Come sempre, la capacità del poeta è quella di riassumere un dramma di ignoranza, incomprensione e incomunicabilità in due righe, due semplicissime righe.
       Ma con l'arte non si governa - ci diranno. E' vero, invece con le burocrazie non si governa e si muore. Differenza assolutamente positiva, se capisco bene, vero...?

                              Piero Visani

lunedì 29 giugno 2015

Apologo


       C'è un gruppo di bambini ricchi, un po' supponenti, felici della loro condizione e poco o punto disposti a condividerla con altri. Ti sopportavano - è vero - se servivi soprattutto a pagare, tacendo, i loro sudici giochetti.
       Appena cercavi di giocare un po' di più e un po' meglio, si preoccupavano di metterti di lato, di modo da non consentirti di "disturbare i manovratori".
       Ora li vedi sinceramente preoccupati e ti chiedi: "ma davvero saranno preoccupati per me? Ho mangiato fino a ieri vagonate di guano, nugoli di miei amici e fratelli si sono suicidati perché non riuscivano a reggere al gioco sporco e ai "sacrifici" richiesti da questi bravi bambini, e ora li vedo preoccupati, preoccupati della mia sorte. Come mai?".
       Fino a ieri, che guazzavo nel guano, se ne fregavano bellamente di me. Ora, invece, sono preoccupati. A me questa cosa della loro preoccupazione mi fa godere, intimamente ed esteriormente. Mi dicono che non solo starò male, ma starò addirittura peggio, se non farò quello che loro mi dicono di fare. Ma il fatto è che vederli preoccupati, interessarsi a me e alle mie scelte, non considerarmi - per un attimo - "quantité négligeable" e mucca da mungere, mi riempie di gioia fin quasi all'orgasmo, per non dire oltre. E' vero che gli stercorari, di norma, non hanno emozioni, ma a me pare che un po' di paura ce l'abbiano e che giochino freddamente sulla mia, per farmi fare, una volta di più, quello che vogliono loro.
       Non lo farò, non ho niente da perdere, io. Mi hanno già preso tutto. Mi restano da perdere solo la dignità e l'onore. Quelli non li perderò mai. Per ora, mi limiterò a votare "no", ma farei loro molto di peggio.
       Crollerà tutto - dicono - Nessuna paura, sono crollato già da tempo, per colpa di questi bei "tutori" e nessuno si è preoccupato per me. Non moriremo insieme, non pretendo tanto, ma cercherò di farvi soffrire. E' quello che mi resta.
       Il bello della politica è che l'essenza del politico è la contrapposizione amico/nemico. Loro sono i miei nemici, da sempre. Sono perdente, ma non vinto.

                                        Piero Visani

Il vero obiettivo


       Trovo alquanto singolare insistere sugli aspetti economici della questione ellenica. La legnata che occorre dare all'Eurolager è puramente, esclusivamente e felicemente politica. Costerà cara? Probabilmente carissima, ma sarà una lotta da uomini liberi, non un tramonto da schiavi. E sarà pedagogica, perché indicherà una via agli europei. Poi, ovviamente, se ne può fare una questione economica, ma il primo e più felice atto di GUERRA è il rifiuto della metapolitica del NEMICO (non dell'avversario, del nemico).

              Piero Visani

Vacanze

       Non ho mai avuto "smanie per la villeggiatura", nemmeno da bambino. Ho incominciato a chiedermi molto presto che cosa ci facessi al mondo, figurarsi se potevo preoccuparmi delle vacanze.
       Non ho mai amato il mare, tanto meno la montagna, e soprattutto non ho mai amato la vacanza nella italianissima accezione di assenza, assenza da tutto e tutti, soprattutto da se stessi.
        Ho conosciuto gente che ha girato tutto il mondo rimanendo chiusa in resort dove faceva la stessa vita di spiaggia che avrebbe potuto fare a Santa Margherita o a Forte dei Marmi o a Rimini o dove preferite. Mai curiosa di nulla e di nessuno, totalmente autoreferenziale.
        Ho sempre amato il viaggio. Non il turismo, il viaggio.
       Finché ho potuto, ho viaggiato molto, spesso anche per lavoro. Poi, come molti, sono incappato nei diffusori di virtù e notoriamente ho dovuto consegnare loro quei quattro soldi che avevo messo da parte per me, per la mia famiglia, per farla divertire un po' con i frutti del mio lavoro.
       Lo "Stato etico" (non quello gentiliano, che comunque non mi ha mai entusiasmato, ma quello dell'etica mafiosa, bancaria e finanziaria) ha preteso da me che gli pagassi ogni forma di "pizzo", ovviamente per il "bene comune"..., e, a partire da quel momento, le vacanze sono diventate un ricordo del passato e un miraggio del futuro.
       E' ormai dal 2008 che non faccio più vacanze, e non credo che ne farò mai più. Anche perché, per carattere, io non sono disponibile a fare le vacanze residuali che mi sarebbero concesse, quelle nella pensioncina "da Pina" e misurando "virtuosamente" che cosa spendere dei due euro che uno Stato bastardo e affamatore mi ha lasciato per queste spese "superflue". Questa soddisfazione - agli affamatori di Stato, quelli che predicano tanto bene e razzolano tanto male - non gliela darò mai. Le vacanze da Germania Est, quelle da regime di Willy Ulbricht, quelle preferisco non farle. Le vacanze octroyées, quelle à la Luigi XVIII, non le faccio proprio. Io non mi adatto, non mi adeguo, non vivo come mi dicono di vivere. Sto chiuso nel mio eremo, consapevole che non verranno tempi migliori e che, se verranno, non verranno certo per me. Ma non intendo vivere le "vite degli altri". La vita è la mia e ne faccio quel che voglio. Per me, le decrescite - specie quelle procurate con il furto a carico della collettività - sono tutte infelici.
       Coltivo amorevolmente il mio odio. Lo affino, lo affilo. Mi preparo. Studio. Non so se "pagheranno caro", se "pagheranno tutto". Non mi faccio illusioni. Penso che a pagare caro e tutto ci sarò io e tanti altri disgraziati come me. Tuttavia, l'odio che mi porto dentro è una splendida ragione e compagna di vita, che io nutro amorevolmente. Se proprio dovessi dire, non mi vorrei come nemico, perché un tempo - è vero - la mia concezione della guerra prevedeva il fare prigionieri. Ora, non lo prevede più.

                               Piero Visani




"Polemos patér panton"

       Giorno dopo giorno, a volte più in fretta a volte lentamente, ci avviciniamo verso quella situazione fondamentale, verso quella bella resa dei conti che non dovrebbe piacere ad alcuno, perché gronda di lacrime e sangue, ma che talvolta arriva proprio perché alcuni - delle lacrime e del sangue degli altri - se ne sono fregati e se ne fregano bellamente.
       Si possono costruire cattedrali - sulle iniquità, le ingiustizie, le disuguaglianze, le ruberie - ma poi, a un certo punto, la resa dei conti arriva.
       Nessuno la attende con piacere, perché è tragica, però uno pensa: "ho ingollato tonnellate di guano, di ingiustizia e di iniquità, fino ad oggi, vuoi vedere che magari riuscirò a restituirne una minima parte. Mi costerà la vita? Può darsi. Ma quella che facevo prima era definibile come una vita? Era umano il mio ruolo di terminale silente di tutte le porcate a carico mio e di altri?".
       E ci si comincia a chiedere: "ma io ho qualcosa da perdere?" E quando la risposta diventa un convinto "no", allora ha inizio il divertimento. Perché le rese dei conti, le vendette, le "collere dei buoni" sono puro divertimento, sono quello che serve a dare sfogo a tutte le sofferenze che si sono provate.
       Cambierà il mondo? Assolutamente no. Si cercherà solo di dilatare "verso l'alto" il circuito della sofferenza. Obiettivo modestissimo, ma chiaro.

                        Piero Visani

I momenti storici


       I momenti storici non hanno scritto sopra che sono tali, non hanno l'etichetta. In genere la loro natura si scopre a posteriori, ma credo sia facile invece comprendere che, se il popolo greco dirà con un referendum all'Eurolager dell'alta finanza quello che deve dirgli, cioè no, allora quello sarà un momento storico.

       Non sarà facile, certo, ma conoscete momenti storici facili? Però la soddisfazione di dire "no" a una camarilla di ladri, affamatori e bastardi, quella vale una vita. Una vita in piedi, da uomini, non da schiavi dell'alta finanza e delle banche.

                           Piero Visani

domenica 28 giugno 2015

La solitudine

       A volte, ci si sente molto soli e terribilmente incompresi. Sono momenti difficili, ma - a ben guardare - sono anche i migliori, perché sono quelle circostanze di vita in cui si può fare conto solo su se stessi.
       Non sono stato mai molto capito, in vita mia, e - a partire dai 14-15 anni - me ne sono fatta una ragione. Mi sono messo sulla difensiva, ho parlato con me e me, ho sperato per un po' che la situazione potesse cambiare, poi ne ho preso atto e ho costruito la mia vita su quella constatazione.
       Oggi sono molto più sereno di un tempo e so che, in definitiva, posso fare conto solo su me stesso. La mia alterità rispetto al mondo che mi circonda è talmente forte che sarei un illuso a pensare che le cose possano essere diverse o andare diversamente.
       Sono introiettato in me stesso. Non rifiuto certo il contatto con il mondo esterno, ma so bene che mi riserverà delusioni e questo, in definitiva, mi succede di continuo in quanto non rientro in alcun canone, non sono classificabile, non sono inseribile in qualche catalogo. Sono naturalmente fuori, un outsider per scelta.
       Non mi costa poco, ma è tutto quello che mi resta, e ne vado fiero. Ormai credo che l'incomprensione e la solitudine servano moltissimo a definire la mia identità. Poi naturalmente cerco spesso di uscire da questi confini, ma, in un modo o nell'altro, tentano sempre di rispedirmici dentro. Ne prendo atto, e vado avanti. Se avessi cercato consensi, alla mia verde età, li avrei già trovati. Ora non li cerco nemmeno più. Questo aumenta i miei livelli di sincerità. E questo giova alla mia identità, anche se ovviamente non mi procura troppi amici.

                                 Piero Visani

sabato 27 giugno 2015

Ideologie di vita... e di morte


       Ci sono ideologie che sono spacciate da secoli come ideologie di vita, ovviamente a scapito delle ideologie "di morte" (quelle "brutte e cattive", quelle che ti raccontano la realtà invece che le favolette edificanti per bambini scemi).

       Tutto bene, tutto ok. L'unico problema è che le ideologie "di vita" non proteggono in alcun modo dalla morte; semmai, si limitano a cercare di esorcizzarla o, se sono più audaci, di negarla, ma poi la morte arriva comunque, perché la vita non è una commedia, è una tragedia. Insegnare il senso del tragico, invece che cercare di occultarlo, ci renderebbe tutti più preparati ad affrontare la vita. Ma in Europa piace così: si nasce e ci si vede attribuire un codice fiscale (l'unica cosa che interessi della nostra identità di uomini: quella tributaria...), poi comincia la lunga tiritera delle "corvées": scolastiche, universitarie, lavorative, pensionistiche, mortuarie.
       Pare che sia un paradiso, mentre è il massimo dell'inidentità: non è vivere, è PAGARE perché qualcuno viva al posto nostro: i potenti.
       E' la massima delle TRAGEDIE, è la tragedia assoluta, ma a noi raccontano che è COMMEDIA, COMMEDIA LIBERTARIA.
       Fantastico "storytelling", non c'è che dire! Chapeau a chi lo ha inserito in milioni di cervelli (vuoti).

                                      Piero Visani

La guerra


       La guerra è stata espunta dalla cultura europea, dopo il 1945, per ovvi motivi e anche per ovvi interessi americani, salvo esservi reintrodotta - durante la guerra civile jugoslava - perché faceva comodo a Washington.
       Ora, l'immagine di qualche poveretto ucciso su una spiaggia tunisina mentre si godeva le vacanze (uno dei nostri nuovi "miti"...) in bermuda e panza d'ordinanza, dovrebbe indurci a riflettere su come siamo ormai un continente di "cadaveri in cattiva salute".
      Come tutti coloro che si fanno pregio di esportare il pacifismo (e talvolta anche la pace, nel secondo caso a forza di bombe...), siamo già morti, nonché destinati - come tutti quelli che non vogliono avere un esercito proprio (vedere a tale proposito gli andamenti della spesa militare in Europa) - ad averne uno altrui, che ci domina (e, in effetti, come Stati clienti della NATO ne sappiamo già qualcosa...).
        Il benessere ha costi molto elevati, politicamente parlando, e non deriva mai da alcuna forma di Welfare, perché quest'ultimo esiste in economia (ammesso e non concesso che esista). La politica è "sangue e merda": dalla seconda siamo sommersi; del primo, dobbiamo decidere che cosa fare e, per ora, ne versiamo abbondantemente a titolo gratuito, come ascari degli USA o inermi bersagli di tutti coloro che ci odiano. 
      Ci hanno raccontato per decenni la favoletta che il mondo si sarebbe piegato alla nostra ragionevolezza. Non è così. Il mondo non è mai stato popolato da agnelli, solo da iene (non scrivo lupi perché è un predatore che stimo moltissimo, un predatore consapevole, decisamente preferibile a milioni di agnelli sciocchi e inconsapevoli. Non per nulla, persino il "politicamente corretto" animalista a tutela dei lupi si spende pochissimo...). In un mondo del genere, non è la nostra politica a essere inadeguata, lo è soprattutto la ridicola metapolitica irenica di cui ci facciamo portatori. E' e sarà il nostro canto funebre.

                           Piero Visani

Tunisi 2015



       L'Occidente celebra i suoi stracchi riti vacanzieri, sempre uguali, magari un po' più ristretti di un tempo, più per "beati possidentes", visti i costi e la disponibilità di denaro che c'è in Europa.
       Prosegue, tutto soddisfatto, la fuga dalla Storia che ha iniziato nel 1945 e che è così bella, così comoda, per cui non vale certo la pena di interromperla.
       Sfortunatamente, nel corso di certe fughe si incontra anche chi nella Storia è immerso fino al collo, e ne nasce "un sano confronto". Gli esiti sono scontati e a volte anche molto grotteschi, nella forma. "Eppur si muore", paiono dire certe immagini: eh già, ve lo eravate dimenticati, o vi bastava che qualcuno, il solito 'Grande Fratello', andasse a somministrare la morte in giro per il mondo, a titolo oneroso e talvolta anche gratuito?
    La guerra del futuro sta assumendo contorni anche esteticamente imbarazzanti, ma è già cominciata e non ne saremo protagonisti, ma ovviamente - con la cultura che abbiamo voluto respirare - vittime.
      Per citare il maestro Battiato, "il giorno del Giudizio non vi servirà l'inglese", e nemmeno il buonismo, il politicamente corretto, il Welfare e la vita assistita dalla culla alla tomba. All'ultimo passo, quello tombale, se non ci avrà già pensato il fisco a casa vostra, provvederanno altri, con tanto amore...
 
                 Piero Visani

venerdì 26 giugno 2015

Alcune precisazioni su aspetti giuridici della Guerra Civile americana

       Come in tutti i conflitti, le ragioni dei vincitori hanno sempre la meglio su quelle dei vinti. Tuttavia, poiché proprio in questi giorni - sull'onda del gesto criminale di un folle - negli Stati Uniti stanno avendo luogo reazioni inconsulte e tutte tese a criminalizzare il ruolo della Confederazione sudista, deliberatamente schiacciandola su un'immagine infondata e negativa che assolutamente non le è propria, vorrei precisare quanto segue. Se si guarda alla storia americana, non è difficile notare che, in caso di guerra, il potere esecutivo si è sempre mostrato incline a cercare di acquisire tutti i poteri che gli era possibile acquisire, affrancandosi al tempo stesso da qualsiasi forma di restrizione da parte del potere legislativo e giudiziario [cfr. J. MARGULIES, Guantanamo and the abuse of presidential power, New York, Simon & Schuster, 2006, p. 13].
       Nel 1861, ad esempio, il presidente Abramo Lincoln sospese l'Habeas Corpus (una norma tipica del sistema anglosassone di Common Law, intesa a impedire gli arresti e le detenzioni di cittadini nel caso in cui fosse impossibile formulare, a loro carico, precisi elementi di accusa; cfr. A. ENGLISH FRENCH, Trials in Times of War. Do the Bush Military Commissions Sacrifice Our Freedoms?, in "Ohio State Law Journal", Vol. 63: 1225 (20)), autoconferendosi il potere di arrestare i cittadini "sleali" (vale a dire i simpatizzanti della Confederazione Sudista), senza consentire loro di appellarsi ai tribunali per ricorrere contro il loro arresto [cfr. M. M. MATTHEWS, Restoring the Imperial Presidency: An Examination of President Bush's New Emergency Powers, 23 "Hamline J. Pub. L. & Pol.Y.", 455, 465 (2002)].
       La Corte Suprema degli Stati Uniti - vale a dire il massimo organo giuridico del Paese - ritenne che questa gestione del potere da parte del Presidente fosse incostituzionale [cfr. Ex parte Merryman, 17 F. Cass. 144, 149 (C.C.D. Md 1861) (No. 9,487). John Merryman era un secessionista del Maryland, uno Stato rimasto nell'Unione, ma dove la presenza di simpatizzanti della Confederazione era molto consistente, il quale era stato arrestato per aver compiuto atti di violenza a carico delle forze dell'Unione], basando la propria valutazione sul fatto che solo il Congresso aveva il diritto di sospendere l'Habeas Corpus e che, con tale decisione, il presidente stesso era andato al di là dei poteri conferitigli in tempo di guerra [peraltro resterebbe sempre da stabilire - ed è una questione non da poco - se un conflitto civile possa essere considerato una guerra].
       Lincoln, tuttavia, fidando di poter contare sul favore popolare, ne ignorò la decisione. Due anni dopo, il Congresso autorizzò analoghe future sospensioni dell'Habeas Corpus, senza stabilirne direttamente la legittimità, ma limitandosi di fatto a condonare le precedenti decisioni del Presidente [cfr. R. RAIMOND, The Role of Indefinite Detention in Antiterrorism Legislation, in "Kansas Law Review", vol. 54, 2006, p. 518], dopo che quest'ultimo aveva spiegato di essere stato costretto ad agire come aveva agito per proteggere il Paese in un momento di gravissima crisi, in cui era messa a repentaglio la sua stessa esistenza.

2. Per dirla con la celebre affermazione di Carl Schmitt, l'unica cosa che emerge con chiarezza da tale questione è che "sovrano è chi decide sullo stato di eccezione", e il presidente Lincoln riuscì ad esserlo. Ma affermare che, nel farlo, egli non abbia proceduto a numerose forzature del dettato costituzionale, è un autentico falso, visto che egli si mise addirittura in rotta di collisione con la Corte Suprema.
       Per non parlare del fatto - il più decisivo di tutti - che, in uno Stato federale come gli USA, dunque basato su un patto (foedus) di adesione a una struttura comune, sicuramente esisteva il diritto dei singoli Stati contraenti di secedere dal medesimo, nel momento in cui tale struttura comune non era più ritenuta in grado di garantire i diritti e gli interessi dei singoli Stati. Ed è proprio la questione della legittimità del diritto alla secessione che, ancora oggi, non può che ribadire la fondatezza delle tesi degli Stati del Sud.
       Tutto ciò non muta ovviamente una virgola della vicenda storica, ma chiarisce - una volta di più - che l'unica forza realmente decisiva, nella storia umana, è quella delle armi, non certo quella del diritto.

                                             Piero Visani








giovedì 25 giugno 2015

Politicamente corretto


       Fin da quando andavo a scuola, in genere quando mi dicevano di fare una cosa che non condividevo, di norma facevo l'esatto contrario. Ho continuato a fare così per tutta la vita e non avrò lapidi alla memoria né necrologi esaltanti,...ma neppure rimpianti.
       Saluto dunque la nuova ondata di "politicamente corretto" nata in questi giorni negli USA sulla scia del gesto insano di un pazzo criminale, con quella che è e sempre sarà la mia risposta: "Steady on the colors", a difesa di un anelito di libertà e indipendenza talmente forte da rimanere ancora oggi radicato nel cuore di tutto un popolo e dopo aver dato vita, senza averne né le strutture né la cultura, ad uno degli eserciti più valorosi del mondo. "Sic semper tyrannis!".

                                     Piero Visani




Cercavi giustizia e trovasti... la legge!


       Credo che sia assodato che, dopo gli economisti, i ragionieri, i geometri e i medici, al vertice delle mie simpatie vengano i legulei. Ma il modo con cui giustificano le loro puttanate (la volgarità è d'obbligo, con i fini pensatori...), quello è inarrivabile.
      Si farebbe molto prima a dire giustizia politica e asservimento al potere. Tutti li rispetteremmo di più, in base al principio manzoniano per cui "il coraggio, se uno non ce l'ha, non se lo può dare". Oppure che, se deve leccare le terga al potere, inevitabilmente la lingua se la deve tingere di marron.
E invece no: ermellini e toghe per interventi da portineria: i diritti sono acquisiti, ma da oggi. Ieri, era un altro giorno. "Gone with the wind"...
      Io non devo riscuotere nulla, a livello personale, sono un povero "untermensch" di lavoratore autonomo, ma vestire queste cose da "diritto", mi fa pensare al massimo al tennis, e in quel campo preferisco i (man)"rovesci".
       Irresistibile - meglio di qualsiasi Maurizio Crozza - è la seriosità con cui ci ammanniscono queste "meraviglie". Ecco, trattare così i propri simili (neanche poi tanto simili, vista la differenza di redditi tra noi e loro) è razzismo purissimo: politico, culturale e biologico. Altro che "negri", neri e "nigger". Quelli siamo noi, come non capirlo?

                                   Piero Visani

Vuoti

       Camminare nel vuoto e verso il vuoto non è granché divertente, ma - a quanto pare - è quello che ti è toccato di fare. Stringi i denti, ti parli, raccogli tutte le tue forze, ti impegni a fondo e sai bene che non mollerai. Hai un codice etico e lo rispetti.
       Senti che alcuni segnali fisici ti lievitano dentro e non sono tutti necessariamente positivi. Sorridi e vagamente sogghigni. Uno degli aspetti più stimolanti dell'inferno che ti circonda è che ogni giorno che passa è un giorno di meno nella tua fuga dall'incubo, e che ti serviranno meno tempo e meno risorse per completare il tuo itinerario.
       Non resterà né coscienza né memoria di te, e sarà giusto così. Sarai tornato nella terra aliena da cui provieni, e sarai ignoto sia qui sia là. Acquisirai in via sostanziale il tuo già riconosciuto valore formale di verme.
       Guardi in faccia tutto questo e ti illumini: è una gran bella sfida, e a te le sfide sono sempre piaciute.

                               Piero Visani

martedì 23 giugno 2015

Sadismi finanziari - 2


       Scrive l'amico Stefano Vaj - invero con molta benevolenza - che il mio precedente post sui "sadismi finanziari" starebbe diventando addirittura "virale" in Rete. Ritengo sia una cortese sovrarappresentazione, la sua, tuttavia mi premeva sottolineare quanto sia tragico che, quando "le Borse e i mercati esultano", la gente pianga e guardi al futuro dei propri figli (a quello proprio, infatti, non guarda nemmeno più, ci ha già rinunciato) con autentica angoscia, un'angoscia che serra la gola.
       Da polemologo, vedo in tutto questo la premessa di terribili sciagure: in effetti, esaurita la fase dei sacrifici e dei conti in ordine, quando la gente avrà constatato che i soldi che le sono stati prelevati a forza con gabelle varie sono serviti soltanto a ingrassare i "beati possidentes", comincerà necessariamente una fase nuova, la fase della resa dei conti, ed è alquanto miope (od ottimistico) pensare che tale fase sarà meramente economica.
       Questa è anche la ragione per cui non sono ostile all'immigrazione: sono disperati, proprio come noi, ma sono giovani, sono alla ricerca di un futuro (non a quella di un passato...), hanno un elevato tasso di natalità e vengono da culture guerriere. Per me, se scelgono il mio stesso obiettivo, sono già miei fratelli.

                       Piero Visani

Sadismi


       Appena il governo Tsipras promette lacrime e sangue ai greci, con stipendi da 300 euro mese e costi europei, le Borse del Vecchio Continente decollano e "l'euforia dilaga"... Da vecchio e mai pentito fautore di Louis-Antoine de Saint-Just (uomo sufficientemente illuminato da prendere le distanze dalla classe sociale da cui proveniva), mi chiedo DOVE dilaghi tale euforia. 
       Mi viene anche in mente che, mentre i combattenti dei vari eserciti si scannavano con onore a Waterloo, un certo David Ricardo (lascio a voi approfondirne origine, mestiere e inclinazioni...) si faceva un patrimonio speculando alla Borsa di Londra sugli esiti della battaglia, usando metodi tipici dell'insider trading e della manipolazione di mercato. E' passato alla storia come un grande teorico dell'economia liberale, relativamente alla quale troppo raramente si parla "di che lacrime grondi, e di che sangue"...

                    Piero Visani

lunedì 22 giugno 2015

Notti magiche

       I dintorni di una stazione ferroviaria ai confini del mondo. Vicinissima, per la verità, ma al tempo stesso ai limiti del mondo conosciuto.
       Il solito degrado, la solita umanità dolente, i soliti volti carichi di dolore che i pochi privilegiati della sempre più ristretta genia dei beati possidentes fingono di non vedere.
       Qualche decina di metri e lo scenario muta radicalmente: ristoranti, negozi, autentiche isole su cui si affaccia, per ora semplicemente curiosa (in futuro probabilmente invidiosa e magari pronta a tutto...), una moltitudine dolente, in fuga verso terre promesse che neppure sa se reali o artificiali.
       Alcune cene da privilegiati, in un clima da fine della Belle Epoque, con i nostri pensieri che affondano nel vino, che ad esso fanno riferimento per gioire nel carpe diem, che è quanto maggiormente ci gratifica.
       Poi le fughe in auto nella notte, piccoli spostamenti nello spazio che si dilatano in enormi spostamenti nel tempo e nel posizionamento sociale, per cui dai luoghi del degrado più totale si passa, in meno di mezz'ora, nei paradisi dorati del capitalismo finanziario.
       Guardiamo con curiosità, per qualche momento più o meno lungo ci illudiamo di partecipare a una condizione di privilegio che sappiamo non essere nostra, ma che ci piace condividere per una sera, se non altro perché ci trasporta dalla realtà al sogno, ci mette di fronte a itinerari che forse, con premesse diverse, avremmo magari anche noi potuto compiere, ma purtroppo non abbiamo compiuto.
       Poi la gioia di quella autentica festa mobile si dilata, gli obiettivi si fanno più ambiziosi, gli itinerari si complicano e si articolano. Si sale, si scende, mentre la notte ci scivola intorno.
         I dialoghi, dapprima intensi e spesso gioiosi, si rarefanno. Le parole si sospendono. Non parliamo più, i silenzi si fanno dominanti. Forse ci stiamo ponendo le stesse domande, forse ci stiamo chiedendo "che cosa stiamo facendo qui?", mentre i chilometri scorrono.
       I paesaggi mutano di continuo, le città ricche di luci, di storia, di parti delle nostre stesse vite fuoriescono dalla loro dimensione reale e diventano simboli, metafore, mentre ciascuno di noi corre dietro al filo dei propri pensieri, preoccupato solo di cogliere la magia di quelle notti e di farla propria, di stringerla saldamente a sé, di non lasciarla più.
       L'auto è un microcosmo, lanciata in un varco spazio-temporale entro il quale fluiscono rapide le nostre vite precedenti e anche la nostra esperienza del momento, che forse vorremmo durasse ancora a lungo, o forse non finisse mai.
       Sono strade strette, ricche di curve e il calore amico delle sere di inizio estate induce a chiudere gli algori dei condizionatori ed a lasciare spazio all'aria tiepida e vagamente umida della notte.
       Parte una musica rilassante, in sottofondo, per dare una colonna sonora a un'atmosfera che solo di quello ha ancora bisogno, perché per il resto è pregna di tutto e nulla le manca.
       Siamo in movimento da un punto A ad un punto B, ma sappiamo benissimo che non è così e che altre sono le strade che stiamo percorrendo e altri i viaggi che stiamo compiendo. A parte la musica di sottofondo, nessuno parla, ma il silenzio non è irreale, semmai è iper-reale: parlano le cose, i luoghi, i sentimenti, le emozioni, i ricordi, la ricerca spasmodica di altre vite.
       Quando infine arriviamo a destinazione, se così la possiamo chiamare, usciamo con una certa pena dal nostro tunnel spazio-temporale, ben consapevoli - peraltro - della profondità e dell'intensità dell'esperienza vissuta. Se la vita ha un significato, probabilmente esso è tutto qui, in queste notti di fuga e di ritrovamento, in queste esperienze letteralmente "di confine", dove tutto è sottratto all'ordinarietà, dove tutto ha un senso che è solo ed esclusivamente per noi, è totalmente nostro, non ceduto - volontariamente o meno - ad alcun altro. Notti magiche.

                                      Piero Visani





                                   

domenica 21 giugno 2015

Scritture non... sacre

       Quanto si porta di se stessi, nello scrivere? Dipende ovviamente dalle diverse individualità. Per quanto mi riguarda, moltissimo e infatti ritengo lo scrivere un esercizio catartico, ma pure dolorosissimo.
       Al tempo stesso, le parti di testo in cui trasportiamo e trasponiamo noi stessi sono in genere le più convincenti, perché sono quelli a più forte contenuto esperienziale e ci riempiono di flash back che talvolta forse vorremmo si trasformassero in flash forward, per disegnare un futuro che potesse essere auspicabilmente diverso dal passato.
       Lo scrivere di sé è un'attività psicoanalitica per eccellenza e non a caso viene consigliata in molte terapie, perché in parte costringe a fare i conti con ciò che è stato, non potendo ovviamente indicarci come fare i conti con ciò che sarà.
       La mia personale ricetta al riguardo consiste nel mettere in tutto ciò che scrivo un po' di me e quelli che mi conoscono più o meno bene probabilmente individuano facilmente quelle parti. Il resto è uno sfogo al mio personale dolore esistenziale, che è grande. Ne deduco che il mio scrivere sia in definitiva un esercizio, ma ancora non so se terapeutico, o masochistico...


                                         Piero Visani

Alternative

       Vedere un po' di persone guardare al cristianesimo come alternativa, per di più "spirituale", è una delle cose che mi diverte di più e maggiormente mi induce al buonumore: il masochismo e la disperazione collettiva hanno veramente fatto passi da gigante, se si arriva a questo.

                                                    Piero Visani

Blog "Sympathy for the Devil" - Classifica dei post più letti (21 Maggio - 20 Giugno 2015)

 Il periodo 21 Maggio - 20 Giugno ha confermato una tendenza generale alla stabilità, anche se le visualizzazioni sono ormai arrivate a 55.000. Questa impressione è confermata dai non troppi mutamenti che si sono avuti al vertice della classifica dei post maggiormente visualizzati dal pubblico, con una sola ma molto significativa eccezione:
  1. It's just like starting over, 569 (=) - 11/12/2012
  2. Non, je ne regrette rien, 235 (+5) - 29/12/2012
  3. Un'evidente discrasia (in margine ai fatti di Parigi), 195 (+3) - 8/1/2015
  4. Quantum mutatus ab illo!, 169 (=) - 20/05/2013
  5. Non sarà il canto delle sirene 135 (+23) - 06/08/2014 
  6. Tamburi lontani, 124 (+3) - 9/1/2015
  7. Elogio funebre del generale August-Wilhelm von Lignitz, 120 (+1) - 29/01/2014
  8. La rivolta di Pasqua (Dublino, 1916), 103 (+1) - 31/03/2013
  9. Umberto Visani, "Ubique", 102 (=) - 19/04/2013
  10. Le donne accoglienti, 100 (+2) - 15/03/2013
  11. Gli aggiustamenti "borghesi", 99 (+2) - 05/02/2014
  12. American Sniper, 95 (+2) - 05/01/2015
  13. La verità è sempre rivoluzionaria, 95 (+2) - 21/03/2013
  14. Storia della guerra - 14: L'esercito di Federico il Grande, 93 (+5), 19/10/2013
  15. Storia della guerra - 16: La guerra franco-indiana, 91 (+1) - 23/10/2013
  16. Storia della guerra - 19: L'ascesa dell'impero napoleonico, 91 (=) - 31/10/2013.
       La vera novità di questo mese è che il post "Non sarà il canto delle sirene" non solo ha proseguito la sua apparentemente inarrestabile ascesa, che lo ha portato a passare dalla settima alla quinta posizione nella classifica generale, ma ha quasi raddoppiato il ritmo della sua crescita nel mese in esame, passando dalle + 16 alle +23 visualizzazioni.
       Non ci sono stati altri incrementi davvero significativi, ma ha fatto la sua comparsa in classifica Storia della guerra - 14: L'esercito di Federico il Grande, che ha superato di slancio le altre due puntate di Storia della guerra che la precedevano.
       Per finire, le visualizzazioni sono salite a circa 55.000 e i post a 1.751, il che ha fatto lievitare a 31,4 il numero medio di visualizzazioni a post, in crescita rispetto al 31,1 del mese precedente.

                                              Piero Visani




Liberazione

Premessa:


Nel febbraio scorso, l’amico S.V. – commentando molto negativamente il bestseller pseudo-erotico "Cinquanta sfumature di grigio" - sfidò l’amica A.C. e me alla stesura di un racconto erotico, sostenendo che fare qualcosa di meglio dell'originale non era poi così difficile. Il guanto di sfida venne raccolto da entrambi - anche se a me cadde di mano, e ci ho messo circa quattro mesi a ritrovarlo… - ed ora eccoci qui. Oggi viene pubblicato il terzo e ultimo di questi racconti, il mio.
Ipotizzo la possibilità di commenti goliardici. Personalmente me ne dolgo, perché ritengo l'erotismo una delle pochissime cose serie e al tempo stesso piacevoli esistenti al mondo.
Ringrazio gli amici di essersi cortesemente fatti ospitare sul mio blog.

                                        Piero Visani



Liberazione

       Come può essere una località di montagna nel mese di maggio? Un mortorio: finita la stagione dello sci e non ancora iniziata quella estiva. Locali chiusi, negozi in ferie, serrande abbassate, pochissima gente in giro, tanto meno turisti.
       Contando proprio su tutto questo, mi ero recato nel mio appartamento di Courmayeur. Volevo scrivere qualcosa, in santa pace, onde rispettare le scadenze che avevo con i miei clienti. Facevo un mestiere particolare, il ghostwriter, e avevo parecchi committenti, e le loro commesse da completare.
       In realtà, l’appartamento di Courmayeur non era propriamente mio, ma di una mia ex che mi era rimasta amica anche dopo la conclusione della nostra relazione e con la quale, in definitiva, avevo mantenuto un buon rapporto, per circa un trentennio, forse più.
       L’appartamento era posto sulla circonvallazione, in un condominio piuttosto noto, caratterizzato anteriormente da un piccolo tratto di portici con negozi. Non era grandissimo, ma neppure piccolo, con le sue due camere da letto, un soggiorno e soprattutto – cosa a me molto cara – uno studiolo che dava sul cortile interno e garantiva la massima tranquillità per chi volesse scrivere immerso nel silenzio. Alice – la mia ex – me ne aveva concesso le chiavi qualche mese dopo che ci eravamo lasciati, quando, esaurite le reciproche tensioni, ci eravamo infine chiariti e avevamo convenuto che potevamo restare amici. L’intesa era che avremmo dovuto concordare tempi e modi di come usarlo, e lo avevamo fatto davvero, i primissimi tempi, poi Alice era pressoché scomparsa e, quando avevo tentato di contattarla, era stata gentile ma molto evasiva, per cui avevo smesso di cercarla e, ovviamente, anche di usare l’appartamento. In alternativa, utilizzavo la mansarda di mia sorella e mio cognato, nei pressi delle Terme di Pré Saint-Didier, a pochi chilometri dalla mitica “Courma”.
       Non è facile spiegare che cosa mi indusse, quel giorno di metà maggio, a pensare di utilizzare nuovamente quell’appartamento, per di più dopo essermi limitato ad avvertire Alice con una semplice mail (alla quale, peraltro, neppure avevo ricevuto risposta). Forse un insano desiderio di compiere un’incursione all’interno della sua vita, una vita che per me era diventata sempre più segreta e sulla quale, molto probabilmente, mi era sorta la curiosità di sapere di più.
       Arrivai nei pressi del condominio in un pomeriggio di pallido sole, a inizio settimana, e constatai subito come il paese fosse quasi deserto. Sapevo che l’appartamento aveva un posto auto, nel garage interno, ma non ne avevo le chiavi e non mi interessava usarlo. I parcheggi nei dintorni erano semivuoti e per di più in zona bianca, dunque gratuita.
       Avevo con me solo un piccolo trolley e il mio notebook. Null’altro. Volevo concentrarmi e lavorare, non fare vita mondana. E dove, poi…?
       Parcheggiai l’auto nelle vicinanze e raggiunsi a piedi il condominio. L’appartamento era al terzo piano e ci arrivai in ascensore. Tirai fuori la chiave e la introdussi nella serratura. Invano. Non mi pareva che la serratura fosse stata cambiata, per cui rimasi un attimo perplesso, poi ripetei il tentativo di aprire, con calma, cautela e circospezione. Nessun risultato. Molto sorpreso, rimasi interdetto un attimo, quando dell’interno dell’appartamento si levò una voce femminile vagamente stizzita: “Chi è?”.
       Rimasi profondamente sorpreso, ma risposi: “Sono Carlo”.
       “Carlo chi?” fu la risposta, direi inevitabilmente interrogativa, data la situazione.
       “Carlo Savini”.
       Un lungo momento di silenzio, poi la porta si aprì, dopo un marcato cigolio di serrature, come se si trattasse di una porta blindata, e comparve una donna assai alta, di circa 35 anni (almeno in apparenza), con indosso un maglione bianco e lunghi leggins neri.
       “Desidera?”, chiese lei con aria interrogativa e vagamente diffidente
       “Sono Carlo Savini, un amico di vecchia data della signora Vallenari. Per anni la signora mi ha concesso di usare questo appartamento, e un tempo lo facevo spesso. Poi ho smesso. Le avevo telefonato per comunicarle che sarei venuto qui oggi, ma non sono mai riuscito a trovarla, per cui mi sono limitato a inviarle una mail”. Era una mezza bugia, perché solo l’accenno alla mail era fondato, ma non volevo fare brutta figura, date le circostanze, e così colorii un po’ il mio racconto.
       La giovane donna, che fino a quel momento mi aveva squadrato con una certa diffidenza, sorrise e mi tese la mano: “Sono Eleonora Vallenari, la figlia di Alice. Lieta di conoscerla”.
       Le strinsi la mano, ma rimasi palesemente interdetto. Non avevo mai saputo che Alice avesse avuto una figlia, e da chi? Oltre tutto, vista la prevedibile età di Eleonora, il tutto doveva essere accaduto poco tempo dopo che ci eravamo lasciati.
       Non so dire se Eleonora colse o meno la mia sorpresa. Quel che è certo è che la giovane donna pareva pienamente in controllo di sé.
       “In verità, mia madre non mi ha detto assolutamente nulla. Da qui la mia sorpresa per un tentativo di scassinamento della porta…”.
      L’ironia era evidente e abbozzai un mezzo sorriso. Poi ovviamente dissi: “Mi spiace di averla disturbata. La saluto e mi trovo un albergo”.
       “Non ce ne saranno molti, aperti” - ribatté decisa Eleonora - “Per quanto mi riguarda, visto che ci sono parecchie stanze e considerati i suoi rapporti di amicizia con mia madre, lei può anche rimanere qui”.
       “Non mi pare il caso” – obiettai io. Ma Eleonora fu ancora più decisa: “Lei può stare al piano di sopra, io a quello di sotto. Saremo totalmente indipendenti. Io poi non credo che rimarrò qui molto. Devo tornare a Milano, a riprendere il lavoro”.
       La franchezza di Eleonora, così decisa e diretta, mi sorprese piacevolmente. Poco incline a mettermi alla ricerca di un hotel in una Courmayeur completamente fuori stagione, a poche ore dalla cena, decisi di accettare il suo invito: “La ringrazio, Lei è molto gentile. Non mi farò sentire granché. Mi metto al computer e scompaio”.
       La giovane donna sorrise: “Prego; allora faccia come se fosse a casa sua!”.
       Di nuovo riscontrai una certa ironia, nelle sue parole, ma erano palesemente frutto di una situazione vagamente surreale, per cui non diedi loro un gran peso.
      Mi sistemai rapidamente nella stanza del piano di sopra, che peraltro era la più grande delle due camere da letto dell’appartamento, corredata da un bel bagno padronale e posta immediatamente di fronte allo studiolo.
       Lavorai per alcune ore, con impegno, poi arrivò l’ora di cena e pensai che sarebbe stato il minimo invitare Eleonora al noto ristorante situato proprio al piano terra del condominio, che – come avevo constatato arrivando – era fortunatamente aperto.
       Scesi al piano di sotto, senza neppur modificare il mio abbigliamento, visto che per una cena in un ristorante di montagna, per quanto elegante, andava benissimo, e trovai Eleonora seduta nell’ampio soggiorno, intenta a leggere un libro.
       “Posso invitarla a cena per ovviare a questa mia indebita e indelicata ‘invasione di campo’?”.
       Sorrise sorniona, quasi come se se lo aspettasse: “Com’è gentile. La ringrazio, ma non mi pare il caso”.
      “Mi permetto di insistere”, esclamai io. “Potremmo andare qui sotto, senza sobbarcarci chilometri di strada. E’ un locale buono e di classe”.
       Eleonora annuì e mi chiese: “Devo cambiarmi o posso venire in questa mise alquanto a basso profilo?”
       “Non la definirei tale” – ribattei io – “anzi, se mi posso permettere, è un look minimalista che le dona molto”.
       Dopo aver profferito quella frase, mi accorsi che forse avrei dovuto essere più prudente, meno diretto, ma non diedi molta importanza alla cosa. Dopo tutto, Eleonora avrebbe potuto essere mia figlia e, in verità, non mi pareva di aver assunto, fino a quel momento, comportamenti che potessero essere definiti anche solo lontanamente ambigui.
        “D’accordo. Allora possiamo scendere anche subito. Sono le 8 e saranno sicuramente aperti”.
       In effetti, il ristorante era aperto e, sebbene fosse inizio settimana, non era vuoto, anzi aveva già un discreto numero di avventori.
       Forse scambiandoci per una coppia, ci fecero accomodare a un tavolo piccolo ma defilato e discreto, dove Eleonora ed io ci ritrovammo faccia a faccia, a guardare il ricco menù che ci venne prontamente presentato.
       Dopo varie proposte e controproposte, optammo entrambi per dei piatti di pesce e io pretesi di poterli esaltare con uno splendido Chardonnay Les Crêtes, a mio giudizio uno dei migliori vini di tutta la Val d’Aosta.
        Eleonora fece una timida obiezione sul fatto che a lei piaceva di più il rosso, ma convenne con me che lo Chardonnay, per l’abbinamento con il pesce, era decisamente più adatto.
       La cena fu un crescendo, quasi un crescendo rossiniano: partì lenta e circospetta, come era normale tra due estranei, ma poi – non so neanch’io per quale motivo – pian piano si accese e accelerò. Forse fu il vino, forse fu l’alchimia che si stabilì subito fra di noi, ma l’imbarazzo e la diffidenza iniziali vennero progressivamente meno.
       Fu Eleonora a fare il primo passo e a proporre di darci del “tu”, cosa che accettai senza problemi. Ma fu soprattutto il suo linguaggio del corpo a mutare: inizialmente era stata molto algida; gentile ma ripiegata su se stessa, estremamente sulla difensiva. Ora stava celermente cambiando e il suo comportamento si faceva sempre più amicale.
       Attribuii quella metamorfosi al vino, ma forse avrei dovuto essere più attento, meno superficiale. Quello che mi mise fuori strada è che, nello starle seduto di fronte, avevo incominciato a notare che Eleonora era una donna piuttosto bella e non priva di una sua classe. Il viso – è vero – era irregolare, ma fasciato da una grande cascata di capelli bruni permanentati, che le conferivano un’aria particolare, direi quasi étrange, e al tempo stesso estremamente sicura di sé. Tuttavia, quello che già aveva fatto colpo su di me era il suo fisico assolutamente da modella: un’altezza superiore a 1,75, gambe lunghissime e affusolate, bacino stretto, non un etto di grasso; il tutto per così dire sovrarappresentato da un’evidente consapevolezza della sua bellezza e soprattutto del suo fascino.
       Ho sempre avuto un debole, per la bellezza, e sono sempre stato sensibile al fascino femminile, specie se palesemente ostentato in mia presenza, con evidenti intenti seduttivi. È una mia debolezza – ne sono consapevole – che mi ha procurato molti più dolori che gioie, ma, meno di mezz’ora dopo che eravamo seduti in quel ristorante, già mi chiedevo se avevo voglia di resistere agli evidenti giochi di seduzione di quella giovane donna. La risposta che mi diedi fu chiarissima: non ne avevo alcuna. Capita raramente, nella vita, di incontrare una donna tanto vicina al proprio archetipo di femminilità e, se quella doveva essere una partita per una one night stand, avevo deciso di giocarmela fino in fondo…
       Con tipico intuito femminile, Eleonora capì che la sua strategia di seduzione stava avendo successo e, ovviamente, si sentì legittimata ad accentuarla. A partire dall’arrivo dei secondi piatti e fino al sorbetto alla vodka con cui concludemmo la nostra cena, i suoi comportamenti si fecero sempre più seduttivi: gestualità studiata, piccoli toccamenti delle sue dita alle mie, occhiate vagamente allusive, mano passata tra i capelli, per rovesciarli all’indietro. Per un uomo delle mia età, un assoluto déjà vu, ma anche una visione innegabilmente piacevole, e molto promettente.
       Rimaneva – è vero – un’abissale differenza di età, ma Eleonora non era certo una minorenne, anzi pareva una femmina alquanto navigata, che forse dimostrava meno anni di quanti avesse realmente. La mia mente, del resto, nel mentre mi preparavo mentalmente a un possibile rapporto sessuale (che, date le circostanze, non mi sentivo certo di escludere), stava già cercando di fare tabula rasa di qualsiasi prevedibile impedimento al coito. Una sorta di giustificazione preventiva, di cui peraltro la mia indole avventurosa non mi faceva sentire il benché minimo bisogno.
       La cena si protrasse più del previsto, tanto stavamo bene insieme e tanto le schermaglie di genere che avevamo intrapreso ci parevano divertenti e degne del nostro impegno. A un certo punto, tuttavia, ci parve preferibile uscire, onde evitare di rimanere gli unici clienti presenti all’interno del ristorante.
       L’aria, sotto quei brevi portici, era alquanto freddina, visto che si erano ormai fatte le 11, ma fu Eleonora a proporre di fare una passeggiata in paese, per “smaltire” – disse proprio così – la cena.
       Lo Chardonnay Les Crêtes aveva esercitato un innegabile effetto su di lei, che pareva molto “su di giri”, ai limiti dell’eccitazione gioiosa. Per alcune centinaia di metri mi camminò a fianco, urtandomi continuamente con il gomito, poi mi prese decisamente sottobraccio, lamentando che sentiva un po’ di freddo, sebbene sulla sua tenuta “da casa” avesse indossato un elegante caban nero.
       La traversata di Courmayeur, da un estremo all’altro della zona pedonale, non è particolarmente lunga, neppure nei due sensi, e per di più la nostra ricerca di un caffè in cui continuare la serata si rivelò vana. Tutti chiusi o in procinto di chiudere.
       Erano altre, tuttavia, le considerazioni che mi affollavano la mente, mentre Eleonora si stringeva sempre più a me. Aveva un seno in aperto contrasto con il resto del suo corpo, vale a dire decisamente più accentuato di quello che ci si sarebbe aspettato da una donna con le sue caratteristiche fisiche e, dal momento che indossava un maglioncino bianco molto scollato e non aveva certo chiuso il caban fino al collo, non potei fare a meno di guardarlo e di notarne le dimensioni importanti. Nulla di realmente sproporzionato al resto del corpo – sia chiaro – ma decisamente un seno che non ci si sarebbe atteso in una donna come lei. Mi sorpresi a pensare (amo molto le divagazioni…) che, se realmente avesse mai voluto fare la modella, in gioventù, con quel seno avrebbe avuto non poche difficoltà…
       Questa osservazione così ravvicinata mi fece notare anche altri due aspetti che avevo colpevolmente trascurato: il colorito insolitamente scuro della sua pelle, abbastanza anomalo per un’europea e come minimo frutto della pratica reiterata di qualche attività all’aria aperta; la presenza di un numero notevole di efelidi, che a prima vista parevano diffuse un po’ ovunque sul suo corpo.
       Si stava avvicinando la mezzanotte e non c’era altra opzione apparente che il ritorno a casa.
       Una volta rientrati nel palazzo, la porta aperta dell’ascensore ci si offrì davanti agli occhi e naturalmente la varcammo, per arrivare più comodamente al terzo piano, il nostro.
       L’ascensore era piccolo e stretto, in grado di ospitare non più di tre persone. Noi eravamo in due ma non eravamo ancora arrivati al primo piano che eravamo già diventati una persona sola, in quanto Eleonora mi si gettò praticamente addosso, travolgendomi con un bacio appassionato.
       Se dicessi che ne fui sorpreso, mentirei. Ciascuno di noi aspettava il momento opportuno per scatenare l’attacco. Eleonora mi batté sul tempo.
       Nello stringerla a me, notai che il suo corpo era davvero molto magro, ma al tempo stesso non privo di qualche piacevole rotondità nei punti strategici. Ancora più sorprendente fu la dolce corposità dei seni, i cui capezzoli aguzzi (avevo già notato, fin da quando mi aveva aperto la porta dell’appartamento, che non portava alcun reggiseno) mi diedero silente e al tempo stesso eloquente conferma che la giovane donna era in preda a una forte eccitazione sessuale.
       Ci volle un attimo ad aprire l’appartamento. Cercai di portare Eleonora al piano di sopra, nella stanza che mi aveva consentito di utilizzare, facendole presente che il letto era più ampio e dunque più comodo. Ma lei non volle sentire ragione e quasi mi trascinò nella sua stanza, dove il letto era certamente più piccolo, ma dove non c’era alcuna possibilità che la nostra tensione erotica venisse in qualche modo disturbata o distratta da fattori esterni.
       Non ci feci più caso, cessai di rivolgere la mia attenzione a questi fattori distraenti, e mi concentrai su Eleonora: in me si era acceso un forte desiderio di possesso e ora l’unica cosa che mi preoccupava era il poterla penetrare il più presto possibile, profondamente e irresistibilmente. Questa è sempre stata la mia mentalità, il mio modo di essere, anche se solo a partire da una certa età in avanti ero riuscito a esplicarlo compiutamente. E, da quando mi ero reso conto che, con molte donne, esso costituiva un fattore di vantaggio, piuttosto che di disturbo, avevo cominciato a praticarlo con sempre maggiore insistenza.
       Non ci spogliammo in qualche forma organica, se così si può dire, ma ci liberammo reciprocamente degli abiti quasi con furia, tanto era il desiderio che si era impadronito di noi. Io, tra l’altro, ero decisamente più vestito di Eleonora, la quale – come già accennato – sotto il pullover bianco non indossava niente e sotto i leggins portava un semplice paio di mutandine di pizzo nero.
       Il vederla completamente nuda mi turbò non poco, non per la bellezza in sé, che pure era notevole, ma per quel suo assoluto corrispondere al mio ideale estetico di femminilità, per quella sua forma fisica così completamente archetipica, ai miei occhi.
       Forse sarei stato più prudente, in altre circostanze, se non mi fossi trovato in un letto insieme al mio ideale estetico di femminilità. Mi era successo così raramente, nel corso della mia vita, che la cosa mi fece veramente perdere il mio autocontrollo, in genere assai spiccato.
       Un altro fattore che mi immerse in una dimensione onirica, molto più che reale, fu la sua capacità di gestire il suo corpo nudo con la stessa naturale eleganza con cui lo aveva gestito da vestita: era in preda a un evidente appetito sessuale, ma riusciva ad essere egualmente composta ed elegante.
      Last but not least, la sua vagina era ricoperta da un vello pubico molto scuro, che pareva frutto di attente cure, un fattore che ha sempre sollecitato la mia attenzione e solleticato i miei sensi, perché ho sempre pensato – non so se e quanto a ragione – che la cura di esso sia tipico delle donne che intendono farne uso, non divieto.
       Fortemente eccitato da questo effluvio di pensieri, ebbi un’erezione alquanto marcata e naturale, che facilitò ovviamente l’avvio e il pieno sviluppo del nostro rapporto sessuale. Eleonora si avvinghiò letteralmente a me, graffiandomi più volte la schiena, ma io stesso era in preda a una tale esaltazione da sentire solo una minima parte del dolore che mi veniva procurato.
       Abbastanza in breve l’eccitazione del rapporto si fece tale per cui sentii che avrei potuto avere un’eiaculazione da un momento all’altro e cercai di farlo presente a Eleonora, perché il nostro non era stato, fino a quel momento, un rapporto protetto. Ma lei spense il mio in fondo maldestro tentativo di avvertimento con una specie di urlo soffocato e al tempo stesso quasi implorante: “Vienimi dentro, vienimi dentro!”.
      Fu quello che feci, con intensità e risultato decisamente superiore alla mia media degli ultimi anni, in qualche modo condizionata dal lento ma inarrestabile declinare dell’età.
       Eleonora parve apprezzare molto l’abbondante flusso che la inondò ed ebbe a sua volta un orgasmo profondo, accompagnato da sospiri e lamenti, fortunatamente di intensità sonora relativamente contenuta.
       A mia volta, completamente svuotato, mi sentii di colpo quasi totalmente privo di energie e mi abbandonai su di lei, lasciando scivolare il mio viso sui suoi bei seni.
       Non è facile valutare quanto tempo rimanemmo in quella posizione. A me parve un periodo lunghissimo, durante il quale l’unica cosa che riuscii nitidamente a percepire fu che Eleonora chiuse progressivamente le gambe, con movimenti quasi impercettibili, probabilmente intenta a cercare di mascherare quanto le avesse allargate nel momento della massima acmé.
       Ad un certo punto, prese a carezzarmi amorevolmente la nuca, come se volesse in qualche modo ringraziarmi per il piacere che le avevo dato. La cosa mi fece piacere, anzi forse mi intenerì, e abbassò ulteriormente le mie difese.
       Passarono circa dieci minuti, forse più, poi Eleonora mi spinse dolcemente di lato, come se volesse liberarsi del mio peso sul suo corpo e alzarsi.
       Ovviamente la lasciai fare.
        “Tu pensi che io sia una donna strana?”, mi chiese a bruciapelo.
       “Dovrei?”, fu la mia risposta.
     “Intendo dire se pensavi che la serata si sarebbe conclusa così?”.
       “No di certo, inizialmente; poi però ho incominciato a sperarlo”.
       “Sperarlo…?”, esclamò lei con un vago sorriso di degnazione.
       “Sperarlo!”, confermai io.
       “Sei scaltro e ingenuo al tempo stesso” – commentò lei – “Hai colto l’attimo, ma avresti anche potuto mentirmi, fornendomi questa risposta a posteriori”.
       “Per quale ragione avrei dovuto?” – obiettai io – “la mia filosofia è sempre ispirata al carpe diem”.
        “Sai” – disse lei – facendosi di colpo molto seria, “io sono strana, molto strana”.
       “Una splendida dote!”, commentai io, tra il serio e il faceto.
       Eleonora non rispose: si alzò bruscamente dal letto, mostrandosi per un attimo in tutto l’assoluto splendore della sua nudità, e uscì dalla stanza.
       Rimasi vagamente interdetto, ma mi sentivo totalmente svuotato dopo quella fantastica eiaculazione, per cui rimasi adagiato nel letto e mi girai sul fianco, dando le spalle alla porta. Il forte scorrere di acqua dal bagno adiacente per certi versi mi tranquillizzò e mi sorpresi a pensare – con una certa ironia – come anche nei rapporti più intimi sia facile passare dalle fasi di “umano” a quelle di “troppo umano”… La riflessione mi divertì: da bravo narciso, mi immerse nell’autocompiacimento…
       Non so dire quanto tempo passò, forse un quarto d’ora, forse più. Non ci badai. Il mio animo era invaso da una piacevole sensazione, quella che deriva dall’aver appena posseduto, con estrema intensità, una donna che a me pareva di rara bellezza. Era tale constatazione a rendermi felice, poiché era forse una delle rarissime volte, nel corso della mia vita, in cui avevo potuto pienamente abbandonarmi al soddisfacimento estetico, e non solo a quello emotivo. A un soggetto come me, ossessionato dall’estetica, quella constatazione dava un senso di raggiunta completezza.
       Eleonora sgattaiolò all’interno della stanza e ritornò nel letto. Sentii il suo corpo nudo contro il mio, e me ne compiacqui. Ero girato sul fianco destro e mi sorpresi sentendola salirmi a cavalcioni e schiacciarmi a faccia in giù. La posizione era assolutamente invitante, per cui portai le braccia all’indietro e con le mani cominciai a carezzare le sue cosce allargate, facendole progressivamente convergere verso la vagina.
       Eleonora mi fermò con un gesto imperioso e mi disse: “Ho un’abitudine consolidata: chiunque mi scopa paga un pegno”.
       Rimasi vagamente sorpreso dalla volgarità del suo linguaggio, alquanto inabituale per lei, ma – visto che poco prima aveva accennato al fatto che era “strana, molto strana” – non ci feci troppo caso e chiesi ironicamente: “ah sì, e qual è?”.
      “Questa!”, fu la sua risposta, accompagnata da un rapido gesto con cui, approfittando del fatto che avevo entrambe le mani a pochi centimetri dalla sua vagina, me le ammanettò dietro la schiena.
       Rimasi alquanto sorpreso: non avevo sentito rumori metallici né avevo avuto un qualche sentore della situazione, visto che avevo costantemente voltato le spalle ad Eleonora. Tuttavia, non me ne preoccupai. Non ero nuovo a giochetti erotici di varia natura e un po’ di costrizione come dolce punizione per aver penetrato a fondo Eleonora mi pareva un prezzo assolutamente accettabile da pagare.
       La costrizione erotica, del resto, quando non è frutto di maldestri esercizi da repressi, rappresenta essenzialmente il consolidamento di un’asimmetria fattuale che non fa altro che dare rappresentazione simbolica a un’asimmetria psicologica: il Servant si concede al Master di fatto volontariamente, alla ricerca di simbolismi e aperture reciproche che sono essenzialmente intese a sviluppare e potenziare intimità e complicità.
     Eleonora diede subito prova di non essere in alcun modo digiuna di tali meccanismi e, sapendo che ero impossibilitato a reagire, cominciò a sottoporre il mio corpo a ogni tipo di trattamenti, dal semplice massaggio ai tentativi di vera e propria penetrazione. La maestria con cui si muoveva mi lasciò interdetto, ma non avevo alcuna volontà, prima ancora che alcuna possibilità, di farla smettere. E mi sentivo incredibilmente bene, in quella sensazione di totale abbandono a lei. Ero svuotato di pensieri e, dopo la forte eiaculazione, anche di energie. Lasciavo che facesse tutto lei, limitandomi ad ansimare quando la sua carica erotica si faceva maggiormente irresistibile.
       Quella situazione di beatitudine venne rotta, dopo una decina di minuti, dalla voce di Eleonora, la quale, sempre stando a cavalcioni o sdraiata su di me, mi chiese bruscamente: “per quale motivo lasciasti Alice, mia madre, tanti anni fa?”
       “E’ lungo da spiegare, Eleonora” – risposi – “Ci furono incomprensioni”.
       “Perché non le rispondesti mai, quando ti scrisse che era incinta?”.
       Rimasi assolutamente sorpreso da questa domanda, che mi apriva scenari che assolutamente non conoscevo e non mi parevano in alcun modo credibili: “Ti sbagli profondamente, Eleonora. Alice non mi ha mai scritto di essere incinta, tanto meno mi ha chiesto aiuto, altrimenti certo non glielo avrei rifiutato. Abbiamo avuto alcuni aspri confronti, poi ci siamo chiariti, poi lei è progressivamente scomparsa del tutto”.
       “Lo sai che sono tua figlia?”
       Questa affermazione mi colpì come una staffilata. Cercai di raddrizzarmi, di girarmi verso Eleonora, ma non ci riuscii, ammanettato com’ero e con tutto il peso del suo corpo a gravare sul mio.
       “Cosa stai dicendo, cosa stai dicendo? Alice non mi ha mai detto di essere incinta, al termine del nostro rapporto”.
       “Non te lo ha detto perché non voleva dirtelo, perché non si fidava di te, perché aveva capito che le avresti procurato solo guai e dispiaceri, ma era incinta di te, e io sono tua figlia. Se poni mente all’anno in cui vi siete lasciati, il 1980, e all’età che ho io, 35 anni, i conti tornano”.
       Ho una mentalità molto diversa dalla media, e di certo sono alquanto cinico, per cui non rimasi inorridito, ma si fece largo nel mio animo una considerazione mia tipica: dopo tutto, nel mio ricco patrimonio di esperienze una relazione incestuosa, un rapporto sessuale con una figlia, mi mancava e - che fosse vero o no quello che Eleonora mi stava raccontando - la situazione era realmente intrigante. Non capita a tutti, del resto, di vivere situazioni del genere…
        Non mi venne in mente nulla di meglio che fare dell’ironia: “E quale sarebbe, a questo punto, il senso di tutta questa messa in scena che tu e probabilmente tua madre avete ordito?”
       La risposta di Eleonora fu pronta, precisa, netta, inequivocabile: “Perché abbiamo deciso di ucciderti e mamma mi ha detto che questo sarebbe stato il modo più semplice per farlo”.
       Per un attimo, ma solo per un attimo, pensai a un atroce scherzo a mio carico, ma Eleonora si abbandonò sulla mia schiena, affiancò il suo volto al mio, schiacciato sul cuscino e mi riservò uno sguardo carico d’odio, che mi lasciò pochi dubbi su quello che mi attendeva.
       “Hai ingravidato mia madre, non ti sei mai più fatto vedere e io sono cresciuta senza un padre, quanto meno senza un padre naturale. Sei un uomo odioso, cosa credi di meritare?”.
       Avrei potuto abbozzare una linea di difesa, avrei potuto cercare di dissuaderla, avrei potuto dirle che non sentivo di avere le colpe che lei e sua madre mi attribuivano, ma ero già da qualche anno alla ricerca di una via d’uscita da un mondo e da una vita che erano fatti di infelicità, tristezze, insoddisfazioni, insuccessi, disastri personali e professionali.
       Aveva ancora un senso, per me, vivere? No, nessuno. La via d’uscita che Alice ed Eleonora mi offrivano era la migliore, la più soddisfacente, la meno “normale” cui potessi ambire. Nudo, ammanettato, in posizione ridicola, ma al tempo stesso al culmine di un’avventura vera e di un rapporto incestuoso che, come exit strategy da una vita sbagliata non era neppure male, e per nulla banale.
      Dissi ad Eleonora: “Fai quello che devi fare, allora” e con quel poco di movimento che mi era concesso alle mani le penetrai con alcune dita la vagina, titillandogliela a fondo.
      Quello che avvenne dopo non mi interessa e, a quel punto, non aveva più alcun significato per me. Da tempo cercavo la mia liberazione da una vita che odiavo. Eleonora, molto graziosamente, me la procurò. Se c’è un’estetica della morte, devo ammettere che quella soluzione mi piacque.

                                                   P. V.