sabato 20 giugno 2015

Arianna

Premessa:


Nel febbraio scorso, l’amico S.V. – commentando molto negativamente il bestseller pseudo-erotico "Cinquanta sfumature di grigio" - sfidò l’amica A.C. e me alla stesura di un racconto erotico, sostenendo che fare qualcosa di meglio dell'originale non era poi così difficile. Il guanto di sfida venne raccolto da entrambi - anche se a me cadde di mano, e ci ho messo circa quattro mesi a ritrovarlo… - ed ora eccoci qui. Oggi viene pubblicato il secondo di questi nostri racconti, nei giorni successivi il terzo e ultimo.
Ipotizzo la possibilità di commenti goliardici. Personalmente me ne dolgo, perché ritengo l'erotismo una delle pochissime cose serie e al tempo stesso piacevoli esistenti al mondo.
Ringrazio gli amici di essersi cortesemente fatti ospitare sul mio blog.

                                        Piero Visani






ARIANNA, di S. V.


Facendo il verso in più di un senso alla Tetralogia wagneriana. :)

LA VIGILIA 
Il treno ad alta velocità si tuffa impetuosamente nella galleria buia e spalancata. 
La luce all’interno del vagone pare tremolare, forse si spegne per un attimo impercettibile. 
Quando si riaccende, Arianna, che sta riesumando nella sua mente l’ultimo incontro con Alberto, apre gli occhi e vede per la prima volta veramente l’uomo che le siede di fronte. 
Capelli neri, età indefinibile, una bocca piccola ma espressiva, le grandi mani che escono dai polsi della giacca un po’ spiegazzata reggono il libro che sta leggendo. Alza subito la testa, sbatte le palpebre e la guarda con penetranti occhi grigi. 
“Tengono la temperatura sempre un po’ bassa, non trova?”. Sul volto del suo compagno di viaggio c’è l’ombra di un sorriso, e Arianna, in effetti vagamente infreddolita, ha l’impressione che gli occhi che la scrutano ammicchino per un istante verso i capezzoli che stanno tendendo la stoffa della sua camicetta. Si china un po’ in avanti, e appena un paio di secondi dopo tira con le mani i bordi della giacca a coprire il seno generoso, reso più evidente dalla vita che è rimasta sottile come sempre malgrado il paio di chili che ha messo su, deplorevolmente, durante la sua trasferta. 
Imbarazzata più dalla sua reazione troppo ovvia che dalla battuta del suo dirimpettaio chissà, forse era solo un tentativo casuale di fare conversazione, Arianna mormora educatamente qualcosa e si alza. Non sapendo dove altro andare, si dirige verso il vagone ristorante, intanto che il treno sferraglia imperturbabile. 
C’è poca gente. Mangia in fretta, svogliatamente e senza far molto caso al sapore di ciò che sta masticando, un piatto di prosciutto crudo, accompagnato da un po’ di acqua gasata. E’ stata via quasi tre mesi. Ritorna ad evocare la scena in cui Alberto prima che partisse le ha suggerito di non stare neppure a richiamarlo al suo ritorno. 
“Volevo dirtelo da un po’, non credo di essere davvero interessato a portare avanti questo rapporto. Sei simpatica, appassionata, gentile, ma ho l’impressione che lo saresti con chiunque. E sei sempre completamente passiva. Non hai alcuno spirito di iniziativa, ti limiti a lasciare che le circostanze o gli altri decidano per te. Sei stata così anche con me, e all’inizio la cosa forse mi è piaciuta; ora non mi basta più”.
E aveva aggiunto: “Anche questa partenza improvvisa. D’accordo, tua sorella ha avuto un incidente, avrà bisogno di assistenza per mesi, e tu ormai sei un’infermiera diplomata. Ma per quello che le serve davvero poteva bastare il misantropo idiota con cui vive; oppure potevano assumere qualcuno, senza bisogno che accettassi la loro intimazione a trasferirti nel posto dimenticato da Dio dove hanno scelto di abitare”.
Rivede l’espressione decisa e persino malignamente soddisfatta con cui le è stato fatto questo discorso, ma anche il viso di una persona di cui non ha mai smesso di sentire acutamente la mancanza per tutto il tempo trascorso da quel giorno.
Ora però sta tornando alla sua città, e con essa ad una pagina nuova della sua vita.
Ripensa a lungo a colui che le ha poc’anzi rivolto la parola, e cerca di capire se le piace, se mai potrebbe succedere qualcosa con un uomo come lui. Si accorge che ha perso addirittura l’abitudine a questo tipo di considerazioni. Di sicuro però qualcosa, senza che sappia bene cosa, l’ha colpita.
E’ trascorso più tempo di quanto pensasse, il servizio ai tavoli è finito da un bel po’, il treno sta entrando in stazione ma vedendola assorta nei suoi pensieri l’hanno lasciata da sola dove si trovava, nessuno l’ha disturbata.
Quando ripassa dal suo posto lo sconosciuto si è già allontanato. Prende la borsa con le poche cose che si era portata dietro, scende e si avvia verso il taxi che la riconduce ad un appartamento vuoto ed immutato, e ad un sonno senza sogni. Prima di addormentarsi ha un senso di solitudine. Ma finalmente dopo i mesi passati a dormire a casa e nella camera della sorella anche di privacy.

PRIMA GIORNATA 
Arianna apre gli occhi. E’ sveglia, e un po’ in ritardo per il primo giorno di lavoro. Scalcia il lenzuolo, si alza dal letto. Sfila la camicia da notte, un regalo del suo perduto amante, non senza notare una volta di più quanto sia un po’ ridicola da usare per dormire da sola, e si infila sotto una doccia fresca per finire di svegliarsi. Intanto che si insapona rapidamente cerca di fare il conto di quanto tempo è passato dall’ultima volta a passare sul suo corpo sono state le mani di Alberto, e sente che il ricordo della sensazione sta diventando sempre più fisico.
Ma non c’è tempo per rimuginare. Si infila la prima cosa che le capita e nell’aria frizzante del mattino si reca verso la clinica dove è previsto che prenda servizio. Si fa riconoscere dalla reception, chiede indicazioni, e dopo aver attraversato un dedalo di corridoi arriva di fronte alla porta giusta.
Una infermiera bionda la accoglie sulla soglia sorridendo. Sembra che sia appena uscita dal parrucchiere e stia andando ad un cocktail, e la fa sentire fuori luogo con i suoi capelli ancora umidi, senza trucco, e quasi trafelata. Alta, con un fisico atletico che si indovina sotto il camice, per la verità abbastanza attillato, ha un atteggiamento esuberante e un po’ troppo energico che è in evidente contrasto con il carattere riservato e l’aria remissiva o titubante che assume così spesso Arianna. “Buongiorno, mi chiamo Sonia. Piacere di conoscerti, e benvenuta tra noi”. La voce da contralto è formale, ma emana genuina cordialità, come la stretta di mano che le offre. Arianna immagina che debba avere quattro o cinque anni più di lei.
“Prima di tutto, lascia che ti mostri la tua postazione”. Nell’anticamera in cui entrano, di fianco alla porta, c’è una sedia dattilo, e davanti a questa una scrivania sovrastata da un terminale, un telefono, e un dispositivo con due grossi led, uno verde ed uno rosso. Sul lato opposto, oltre ad un paio di stampe insignificanti appese al muro, un armadio con delle mensole, ed un breve corridoio che si apre su due stanze. Una è un bagno dove Arianna si cambia subito scivolando fuori dal vestito e abbottonandosi in fretta il camice, occupato solo dai sanitari e da un grande lavabo. L’altra è una stanza con una poltrona, un lettino imbottito con lo schienale inclinato che ricorda quelli degli psicanalisti, e un tavolo appoggiato al muro con sopra un piccolo schermo ed un lettore video. “Questa è quella che io chiamo la tua stanza dei prelievi”, esclama la donna ridacchiando, e aggiunge: “Vieni, ora ti presento il responsabile, il dottor Storchi”.
L’ufficio del dottore è poco lontano. “L’emergere recente di alcuni nuovi dati di laboratorio ci ha portato a ritenere che la molecola oggetto della sperimentazione in corso possa influenzare significativamente la motilità degli spermatozooi dei soggetti maschili che sono stati coinvolti nella ricerca, e che sino a qualche mese fa assumevano quotidianamente il principio attivo. Il finanziamento è esaurito, e non c’è più tempo, ma il piccolo campione di partecipanti della sperimentazione che abbiamo potuto contattare e che ha accettato di eseguire gli esami necessari può consentirci di ottenere i risultati preliminari utili a promuovere ulteriori approfondimenti; ed è inutile sottolineare l’importanza per noi di portare a termine con successo anche questa imprevista fase supplementare del progetto”. La voce del dottore è la versione maschile di quella di Sonia, calda, persuasiva, sicura di sé; ma la sua preoccupazione, intanto che si strofina le tempie brizzolate, è evidente, così come il suo carattere ambizioso e inflessibile.
Entrambe le cose lasciano Arianna un po’ intimorita, intanto che ritorna al suo posto con Sonia, che le spiega: “C’è pochissimo da fare, non succede mai niente, ma non ti consiglio di farti beccare con il telefono in mano, a leggere il giornale o mentre lasci la tua postazione non presidiata, anche perché non ti dicono nemmeno a che ora hanno appuntamento le persone che hanno accettato di venire. In verità, però, rischi soprattutto di morire di noia; ma questa mattina ti farò compagnia per un po’, anche per mostrarti la procedura”.
In realtà, il primo soggetto si presenta dopo neanche dieci minuti di chiacchiere insignificanti tra le due ragazze. Cosa sorprendente, è in pantaloncini, maglietta e scarpe da fondo. Con il respiro un po’ pesante e un vistoso contapassi al polso, è ovvio che non aveva alcuna intenzione di mancare la frescura mattutina per il jogging e che alla clinica è venuto correndo.
Sonia mostra ad Arianna come registrarlo, munirlo di una provetta (in realtà è un contenitore grande circa quanto un bicchiere da liquore, con un tappo di plastica azzurro), e condurlo nella “stanza dei prelievi”.
Sonia gli spiega, in modo cortese ma impersonale: “Quando è pronto a consegnarci il campione, può schiacciare questo pulsante. Sulla scrivania dell’infermiera si spegnerà il led rosso che si è acceso quando lei ha chiuso la porta, e si accenderà quello verde. Sino a quel momento lei non sarà disturbato. Se le fa piacere, mi dicono che nel lettore sul tavolo c’è un disco con dei video del genere che può immaginare, ma io non li ho mai visti”.
Non passa molto tempo che il led verde si accende, e Arianna viene gentilmente incoraggiata a ritirare il campione. Esita un attimo, ed entra nella stanza. Il visitatore è già in piedi, e le porge subito il contenitore pieno per un terzo di un liquido lattiginoso, ma le chiede con la voce alterata se può attendere un minuto prima di tornare in anticamera. Arianna mentre allunga la mano per prenderlo non può fare a meno di scorgere il profilo del pene ancora in vistosa erezione attraverso la stoffa leggera dei pantaloncini. In pochi istanti, il soggetto finalmente si rilassa e rientrano nell’anticamera dove li aspetta Sonia.
“L’essenziale, non appena ritirato il campione, è etichettarlo e riporlo immediatamente nella parte refrigerata dell’armadio. Dopo puoi registrare il completamento delle operazioni con tutta calma”, conclude l’istruzione l’infermiera più anziana.
Il secondo paziente non si fa attendere, e non potrebbe essere più diverso dal primo. Questa volta è un ragazzo biondo con un’aria da dandy annoiato, in un abito di lino nero leggermente gessato, con una cravatta a disegni cachemire, lunghe ciglia. Arianna ora deve fare da sola.
Dopo aver debitamente caricato il suo codice identificativo nel terminale, gli illustra il procedimento, e sforzandosi di sorridere lo accompagna nel corridoio. Il dandy dà un’occhiata quasi di compatimento al lettino ed allo schermo e chiede ad Arianna con tono petulante: “Ma non c’è uno specchio in questo posto?”. Arianna trasecola e guarda verso Sonia, che alza gli occhi al cielo ma annuisce. “Beh, c’è uno specchio in bagno”, risponde Arianna. Il dandy ispeziona il grande specchio, più simile in effetti a quello del bagno di un albergo di lusso che di un ambulatorio, e pare trovarlo di suo gusto, chiudendo seccamente la porta dietro di sé.
Ancora qualche minuto, ed è lui stesso che emerge dal bagno, reggendo la provetta che consegna debitamente ad Arianna per la sua immediata refrigerazione e catalogazione, intanto che Sonia si allontana, fiduciosa che l’allieva abbia imparato la lezione.
Il resto invece della mattina Arianna lo passa a guardare fuori dalla finestra il viale che conduce alla clinica. Il tempo scorre ancora più lentamente di quello che le era stato prospettato. Per non rimettersi a suscitare i soliti ricordi dolorosi, ripensa a ciò è successo dal suo arrivo.
Pensa al jogger con la voce arrochita e il pene prepotente, puntato contro di lei, a malapena coperto. Quando ha preso il contenitore è arrivata a pochi centimetri dal toccarlo. Pensa al ragazzo biondo in crisi di narcisismo, ed immagina la scena dietro la porta chiusa del bagno. Lo vede lasciar cadere la giacca, slacciarsi lentamente la cravatta, sbottonare ed aprire la camicia, con gli occhi puntati sulla sua immagine allo specchio. Cintura e pantaloni sono già aperti: si massaggia una volta il ventre piatto, e mentre la destra si abbassa nelle mutande l’altra mano corre in alto sul petto sotto la camicia semiaperta…
Arianna scivola un po’ in avanti sulla sedia, rovescia la testa indietro ed accavalla strettamente le gambe, mentre il camice le sale un po’ lungo le cosce e le dita imitano la mano immaginaria del ragazzo biondo scivolando tra i bottoni del camice alla ricerca del capezzolo...
“Ma cosa stai facendo?”. Arianna sobbalza alla voce canzonatoria di Sonia, ferma sulla porta e sopraggiunta silenziosamente alle sue spalle. ed arrossisce violentemente intanto che si radddrizza e cerca di riassettarsi senza darlo troppo a vedere. Ma si tratta evidentemente di una domanda retorica, perché l’altra non sta ad attendere una improbabile risposta, ed aggiunge subito scherzosamente: “Dato che proprio ora è finita la nostra mattinata di duro lavoro, se ti fa piacere ti porto a mangiare qualcosa”. Incurante di cosa davvero ne pensi Arianna, la prende sotto il braccio conducendola verso la caffetteria.
Il locale è dal lato opposto del labirinto, ma il cibo non è male, ed Arianna è affamata, di proteine come di contatto umano. “Ho passato tre mesi quasi senza parlare con nessuno, a parte sentire i lamenti di mia sorella per le conseguenze dell’incidente. Ma mi ha distrutto soprattutto non vedere più la persona con cui stavo da quasi due anni prima di partire. E’ stato il periodo più meraviglioso della mia vita. Avevo molto tempo libero, ma lo passavo ad occuparmi di lui, e facevamo l’amore quasi tutti i giorni. Dopo una storia come questa, a restare tanto tempo senza il contatto fisico con un uomo mi sembra qualche volta che mi manchi l’aria. Non ti è mai capitato di sentirti così?”. “No, direi di no”, risponde Sonia, sorridendo come se l’idea stessa le sembrasse strana. E le ripete le confortanti banalità del caso: “Ma l’importante, come dici tu, è che adesso devi voltare pagina. Hai un nuovo lavoro, sei di nuovo in città. Il passato è passato”.
L’orario di pausa è terminato. Arianna rientra e ricomincia ad attendere, sino a che si presenta un nuovo soggetto.
E’ l’uomo che era di fronte a lei sul treno.
Si sente talmente sorpresa ed imbarazzata che immagina di avere l’aria dell’idiota, e capisce che anche lui l’ha riconosciuta immediatamente ed è altrettanto stupito. Lo ode anzi bofonchiare qualcosa sul destino, e chiederle: “Possiamo almeno prendere un caffè insieme, dopo che…? Dopo”. Passa però un bel po’ di tempo prima che si accenda la luce verde, e, quando esce, un po’ a disagio è lui nel porgergli il contenitore con il proprio seme fresco.
Stranamente, la cosa aiuta Arianna a superare la sua diffidenza istintiva, ma ha appena deciso di accettare l’invito proprio quando squilla il telefono sul tavolo. Arianna appoggia il contenitore sulla mensola e prende la cornetta.
“Sono ancora Sonia. A colazione ti ho vista davvero tesa, nervosa, depressa. Senti, c’è una una spa che conosco qui vicino. Hanno promesso di posticipare la chiusura, e di aspettarci per un massaggio ed un bagno turco. Secondo me ti farebbe bene, sono molto bravi, e l’ambiente è fantastico. Torno da te appena posso, poi andiamo via insieme alla fine del turno”. Arianna capisce sì e no quello che le viene detto, sentendosi puntati addosso gli occhi della persona che aspetta una sua risposta, e taglia corto.
Per la seconda volta nella giornata torna alla caffetteria, per la seconda volta in due giorni è seduta di fronte all’uomo del treno, vede le sue grandi mani, che muove pacatamente per sottolineare ciò che sta dicendo, e sente gli occhi grigi fissi su di lei. Ma ora è anche acutamente consapevole del ginocchio di lui che le sfiora la coscia sotto il tavolo. Parlano di tutto per non parlare di niente, ma alla fine lo sconosciuto non può fare a meno di farsi avanti: “Non so nemmeno come ti chiami. Vorrei rivederti. Mi piaci molto”.
Le parole sono ordinarie, la destinaria si rende conto che non c’è nulla di più normale, ma per qualche motivo l’emozione sembra stia per strozzarla. “Mi chiamo Arianna. Mah… Non so se vedermi con un paziente sarebbe… Poi, vedi, io vengo proprio adesso da una situazione…”.
Ma al primo accenno di delusione (o rassegnazione?) che vede disegnarsi sulla faccia dell’uomo i suoi dubbi si sciolgono come neve al sole, e sta già goffamente cercando le parole per comunicare quanto in fretta abbia cambiato idea quando squilla di nuovo il telefono, questa volta il suo cellulare.
E’ Sonia di nuovo: “Dove sei? Ho incontrato in giro per la clinica un altro partecipante al progetto di ricerca, non ha trovato nessuno, sta cercando il dottore per chiedere spiegazioni, precipitati!!”. Arianna resta come ammutolita e con angoscia si rende conto che senza il tempo sufficiente non riuscirà mai a calmarsi, a spiegarsi, a prendere un appuntamento o dare un numero di telefono comportandosi in modo naturale. Sceglie la fuga. Con un commiato frettoloso (“Scusami, devo scappare subito, ho un’emergenza”) e la morte nel cuore, scatta di corsa attraverso i corridoi per ritornare al suo posto.
L’altra infermiera, questa volta molto meno cordiale e apertamente irritata, l’aspetta, ed ha già fatto entrare in anticamera il soggetto. La lezione in modo un po’ confuso e scompigliato viene ripetuta ancora una volta, e il paziente, che ha la faccia un po’ da buffone un po’ da monello, viene fatto accomodare. Ancora prima però che la porta si chiuda e si accenda la luce rossa si riaffaccia in corridoio e, dimostrando una volta di più che la fisiognomica è una scienza esatta, si rivolge ad Arianna: “Scusa, so qual è il mio dovere, ma non è che potresti darmi un piccolo aiuto? Dai, sai cosa intendo. Su, non farti pregare. Non vuoi farlo per me?”. E le strizza l’occhio, con una piccolo ghigno all’angolo della bocca.
Arianna resta interdetta non sapendo bene come reagire; ma Sonia la scosta, indossa la maschera della professionalità più educata ma più gelida e risospinge decisa il soggetto nella stanza: “Non faccia richieste assurde all’infermiera e le lasci fare il suo lavoro in pace, per favore. La prego di accomodarsi e prendere il tempo che vuole. Può guardare i video nel lettore se la cosa può aiutarla con il suo problema”. Calca la voce sull’ultima parola, come se quella che il paziente considera probabilmente un’avance brillante, o almeno un attimo di divertimento gratuito a spese di Arianna, sia in realtà l’ammissione di una inconfessabile difficoltà sessuale.
Il paziente fa quello che deve fare. E’ sempre l’infermiera più anziana che va a ritirare il campione, e mentre il visitatore si allontana lo porta verso l’armadio. “E questo cos’è?!” esplode. “Sei veramente una frana”. Arianna, turbata dalla incredibile coincidenza. e distratta dalla suoneria del telefono mentre stava per riporlo nello scomparto refrigerato, ha dimenticato sulla mensola il contenitore che le ha restituito l’Uomo del Treno. Il campione è rovinato. Le parole di Sonia le rombano nelle orecchie: “Non capisci che il numero dei partecipanti disponibili è già troppo basso, e che non possiamo restare con dati in bianco per nessuno di essi?”.
Arianna ancora una volta non sa che fare, si torce le mani ed è talmente mortificata dall’inettitudine che da quando è salita sul treno le sembra di aver continuamente dimostrato in ogni campo che sente sgorgare le lacrime. Tentare di scusarsi, di giustificarsi le sembra più difficile che restare lì, zitta, come si trova, con le lacrime che le scorrono sulle guance non solo per quanto successo, ma per tutto quello che è diventata la sua vita. Negli occhi di Sonia la rabbia si trasforma in compatimento, il compatimento in pietà, la pietà in tenerezza. In fondo, è una ragazza al primo giorno del suo primo vero impiego, e questo ha coinciso con un momento psicologico difficile di una persona indubbiamente molto fragile. Le sussurra: “E va bene, forse facendo qualcosa di assolutamente illegale abbiamo la chance di trovare una soluzione”.
Com’è come non è, Sonia conosce la password di un amministratrice di sistema della clinica, e usa le sue credenziali per aprire il database delle anagrafiche dei pazienti. “Ecco, il tuo penultimo soggetto si chiama Alessandro Arrigoni, questo è l’indirizzo, questo è il numero di cellulare, segnateli”. Ma una buona mezz’ora dopo Arianna è ancora troppo angosciata per agire, ed è sempre Sonia a fare la chiamata: “Parlo con Alessandro Arrigoni? Buonasera, qui è la clinica dove è stato oggi pomeriggio. Ci scusi se dobbiamo disturbarla ancora, ma è successo un inconveniente che al momento ci impedirebbe di trarre risultati attendibili dagli esami previsti. Non è che domani, magari verso le due, potrebbe presentarsi nuovamente? Grazie, è davvero gentile da parte sua. La aspettiamo”.
“E adesso andiamo”. E’ ormai arrivata la fine del turno, le due donne si cambiano per uscire. La spa è davvero vicina alla clinica, un edificio interno nell’ampio cortile di un immobile a dieci minuti a piedi di distanza nella tiepida serata primaverile. Al suono del campanello, le accoglie sulla porta un’addetta di fattezze orientali, con i capelli corvini raccolti alla giapponese ed un camice non così diverso da quello che Arianna ha appena dismesso. Dopo aver bevuto un tè di benvenuto, viene condotta come Sonia in una cabina, dove si spoglia di nuovo, ma questa volta infilando un morbido accappatoio.
L’addetta del centro, che è evidentemente l’ultima persona rimasta nei locali, torna a prenderle, e Arianna viene fatta entrare in una stanzetta con il lettino già pronto, una candela profumata che brucia, il bacile con i fiori su un tavolino basso, una musica rilassante che non riesce ad identificare. “Posso restare mentre fai il massaggio?”, chiede Sonia, e, come al solito senza attendere risposte da Arianna, si allunga su un divano sul fondo della stanza.
L’addetta l’aiuta a sfilare l’accappatoio e la fa sdraiare prona. Fa colare un po’ di olio caldo nel cavo della mano e comincia a massaggiarle i muscoli della schiena, delle spalle e del collo, con movimenti lunghi e precisi, ora lenti e profondi, ora più veloci e leggeri, scendendo occasionalmente lungo le braccia sino a stringerle le dita.
Tutta la tensione della giornata lentamente si scioglie. Arianna si sente galleggiare, e si abbandona al piacere del contatto della pelle con i polpastrelli, i palmi, gli avambracci della massaggiatrice.
Le mani corrono lungo il suo corpo, e scendono sino alla pianta dei pianti, ai talloni, ai malleoli e cominciano a risalire attraverso le caviglie, i polpacci, i popliti, le cosce sino alle natiche, divenute un po’ più rotonde durante la sua trasferta. Cominciano ad impastarle, ridiscendono e poi si muovono nuovamente verso l’alto lungo l’interno delle gambe con un tocco molto più delicato, arrivando all’inguine, e ripetono di nuovo tutto il movimento. Arianna sente il suo corpo reagire, e adesso vorrebbe fermare quello che sta stuzzicando appetiti da troppo tempo repressi. Ma non sa cosa dire e come farlo, e quando le sfugge un profondo sospiro oltre che dall’aria si ritrova svuotata da ogni volontà, alla mercé del ritmo ipnotico delle mani che la toccano ed accarezzano instancabilmente.
La massaggiatrice senza parlare le indica a gesti che deve girarsi, e le mette un cuscino dietro la testa. I movimenti si ripetono lungo gli stessi percorsi sulla parte frontale del suo corpo, e salgono dalle gambe, dal pube, dai fianchi a sfiorare i capezzoli, che Arianna vede sporgere quasi dolorosamente sotto il velo d’olio che ricopre tutto il suo corpo, e poi di nuovo alle spalle.
Ma il trattamento non consiste solo in un massaggio tradizionale, e Arianna ode ad un tratto il ronzio di un vibromassaggiatore. E’ attaccato ad un lungo filo, con una grossa testa di silicone gommoso al termine di una impugnatura che contiene evidentemente anche il motore. Con questo viene dapprima disegnato ripetutamente il perimetro del suo corpo, evitando accuratamente le aree dove la pelle ricopre solo le ossa, e con la pressione sufficiente per fare penetrare le vibrazioni in profondità senza farle male. Poi, la testa comincia ad scavarsi una strada salendo tra le sue gambe semichiuse, ad ogni centimetro indugiando per il tempo necessario.
I muscoli, la pelle, i legamenti, trasmettono sempre di più la vibrazione verso il centro del suo corpo, sino a che gli occhi non le si chiudono. La massaggiatrice solleva la testa e lancia un’occhiata apertamente interrogativa e un po’ ironica a Sonia, che sta osservando la scena tra le palpebre socchiuse. Sonia annuisce.
Ogni movimento allusivo e periferico è abbandonato. La testa del vibromassaggiatore passa ora apertamente e più volte avanti e indietro contro le grandi labbra della vagina, schiudendole. Si ferma per un attimo sul clitoride, e poi comincia percorrerne i bordi e lo stelo con piccoli movimenti circolari. E’ come una scossa elettrica: le ondate di piacere cominciano quasi subito. Le ginocchia si aprono, poi si richiudono. Le dita dei piedi si stendono, puntando verso il fondo del lettino. Il petto si solleva e si abbassa sempre più velocemente sotto gli occhi attenti di Sonia. Arianna cerca ancora di trattenersi ma non può fare a meno di emettere una serie di gemiti, intanto che sente tutti i muscoli del corpo improvvisamente irrigidirsi e cominciare a tremare per la sensazione quasi insopportabile che non prova da tanto e che non manca mai di sorprenderla, dalla prima volta che quando aveva dodici anni suo cugino di poco più grande a forza di fare esperimenti con il suo corpo le ha fatto provare cosa vuol dire avere un orgasmo.
Il trattamento è finito. L’addetta aiuta Arianna, cui gira un po’ la testa, ad infilarsi l’accappatoio
ed accompagna lei e Sonia sino alla porta del bagno turco, consegnando loro due teli. Se Arianna avesse il coraggio di guardare Sonia in faccia vedrebbe che c’è più nulla di divertito negli occhi che la guardano lucidi e con le pupille grandi come mirtilli, nelle labbra socchiuse, nelle narici che fremono quasi per fiutarla.
Stendono un telino sul marmo e si siedono fianco a fianco nel vapore senza parlare. Sonia prende Arianna per la mani e le dà un bacio leggero sulla bocca. Arianna ricambia per un istante il bacio, ma non può fingere di non rendersi conto di quello che sta succedendo, e si scosta ritrovando un filo di voce: “Senti, perdonami, tu sei stata fantastica con me, penso che potremmo diventare grandi amiche, ma sei una donna, e io, vedi, non sono una…”. Sonia la interrompe con una risata un po’ roca, le stringe le mani che ancora tiene tra le sue e le regala quelle che sembrano parole di buon senso: “Sciocchina, non so cos’hai capito, non sto cercando di fidanzarmi con te. Ascolta, anche se mi giurassi il contrario, sappiamo benissimo che tu sei appena venuta ed era da un sacco di tempo che non ne potevi più per farlo. Guardarti godere mi ha eccitato, non pensi che anche a me possa venire voglia?”. Intanto si tira una mano di Arianna tra le gambe, punta i talloni sul bordo della panca di
marmo, e comincia a far seguire i fatti alle parole, un po’ muovendo il bacino contro le dita rigide dell’amica, un po’ cercando di strofinarle su tutta la vulva. Ad Arianna ricorda la gatta dei vicini quando andava in calore, e il sollievo che sembrava ricavasse quando impietosita la massaggiava sotto la coda.
Come leggendole nella mente, Sonia comincia a mugolare, quasi a miagolare, accarezzandosi il petto con l’altra mano. Le punte non sporgono come quelle di Arianna quando ha freddo o è eccitata, ma è evidente che anche per lei sono una zona molto erogena. A questo punto, tanto vale assecondarla, si dice Arianna, e facendo finta di farlo a se stessa comincia a muovere con pazienza il dito medio intorno al punto che lei preferisce, sino a che la sua dominatrice non si abbandona tra le sue braccia, le appoggia la testa su una spalla affondandole i denti nel collo per non gridare, e si inarca spasmodicamente tre o quattro volte.
Ma a Sonia non basta. Rallenta per un po’, ansimando. Poi le afferra un seno, intanto che con l’altra mano riprende a premere quella di Arianna contro di sé, e la bacia di nuovo, questa volta con forza. In meno di un minuto i sobbalzi dei suoi fianchi rendono evidente che sta godendo di nuovo.
Arianna non è sicura di cosa pensare dell’accaduto, ma non può negare a se stessa di aver ricavato piacere dal potere che ha scoperto di poter esercitare su una donna come Sonia. Quando questa senza staccarsi allunga le mani su di lei, non è interamente sorpresa di essere di nuovo eccitata, ed oppone una resistenza puramente di bandiera.
“Forza, so che puoi darmi di più, dai”, la incita, avvolta nel vapore, la sua compagna di bagno turco, più o meno come faceva il suo muscoloso allenatore di nuoto alle medie, dal bordo della piscina. La obbliga ad alzarsi in piedi e a girarsi verso di lei, e scivola verso il pavimento fino sedersi sui talloni con la faccia tra le sue cosce, mentre con le mani le apre e le tiene ferme le natiche, e con la lingua cerca la strada su un percorso che trova già ben lubrificato di nuovo da abbondanti secrezioni. "Guarda, sto fuori dalla tua vista, così puoi liberamente fantasticare sui piselloni dei tuoi pazienti o di chi vuoi tu”.
Suo malgrado, Arianna comincia a muovere il bacino avanti e indietro ed a respirare in fretta, cosa che provoca immediatamente un raddoppiamento degli sforzi della sua seduttrice. In effetti, la tentazione di seguire il suo suggerimento è troppo forte, e la mente le corre all’ultimo personaggio, quello che voleva la sua presenza nella “camera dei prelievi”. Se Sonia non fosse stata là, se lei fosse stata una donna diversa, avrebbe potuto andarci davvero. Avrebbe potuto entrare nella stanza con lui, ed aiutarlo, poverino. Lui poteva continuare a strizzarle l’occhio, lasciar cadere i pantaloni, cominciare lentamente a masturbarsi, e lei avrebbe potuto sbottonarsi il camice davanti a lui, dimenando un po’ il sedere, avvicinargli i seni alla faccia sempre più congestionata, poi allontanarsi di nuovo, calarsi lentamente le mutandine, prenderglielo in mano, e…
Arianna non riesce più a reggersi sulle gambe, ed è costretta ad appoggiarsi alla panca di marmo attraverso la nebbia calda e piacevole che attraversa la stanza e ora anche la sua mente. Sonia senza staccare la bocca infila due dita dentro di lei e le strofina rapidamente la parete superiore della vagina. Arianna comincia ricomincia gemere come alla fine del massaggio, l’orgasmo la avvolge di nuovo come l’abbraccio un vecchio amico, e ha la sensazione di eiaculare esattamente come si immagina facciano i suoi pazienti nella “stanza dei prelievi”.

SECONDA GIORNATA 
Dopo essere stata accompagnata a casa da Sonia, e baciata sulle guance come un’amica qualsiasi, Arianna ha dormito male, pur essendo andata a letto quasi a stomaco vuoto e con un umore ancora beatamente drogato dalle endorfine liberate dal suo corpo durante la serata.
Alla mattina, questa volta si alza prima del tempo, e intanto che si prepara ad uscire non riesce a liberarsi la mente dal volto dell’Uomo del Treno, che ormai sa chiamarsi Alessandro.
Le sembra quasi che l’unico suo vero scopo, se non altro della giornata, sia rivederlo più tardi. Trova la cosa un po’ ridicola: non è un vero appuntamento, l’unica ragione per cui sta per reincontrarlo è la figuraccia (e il disastro) che proprio le sue emozioni confuse hanno rischiato di provocare, se non fosse stato per Sonia. Eppure, chi lo sa?
Arriva con calma alla clinica, e dopo aver incrociato il dottor Storchi che le lancia un’occhiata distratta attraverso il codazzo di aiuti che lo insegue, prende servizio. E comincia come sempre ad aspettare seduta alla sua postazione.
In tutta la mattina arriva solo un “cliente”, Un bell’uomo, probabilmente sull’orlo di una quarantina ben portata. Appena entrato la squadra da capo a piedi. Tutti i pazienti sinora l’hanno ben osservata. per curiosità, per noia, o semplicemente perché questa è una cosa che gli uomini fanno; ma la sfrontata meticolosità e il compiacimento con cui quest’ultimo si attarda nell’operazione è sconcertante, come se fosse in grado letteralmente di “spogliarla con gli occhi”, secondo l’espressione che usava qualche volta sua nonna.
Sentendosi un po’ violata, ma anche lusingata dall’attenzione di cui è oggetto, ripete meccanicamente le solite istruzioni intanto che lo accompagna nella stanza in cui deve produrre il suo campione. Prima che se ne vada, il soggetto le getta un ultima occhiata, la trattiene un attimo per un braccio, e le chiede: “Mi scusi, se non le dispiace potrebbe dirmi il suo nome?”. Arianna, divincolandosi ma senza essere troppo brusca, gli risponde con la verità. Che importanza può avere?
Passano i minuti, nei led resta ostinatamente accesa la luce rossa. Dalla corridoio che dà sulla stanza provengono i soliti cigolii del lettino, ma anche una voce bassa e monotona, come se il soggetto stesso pregando, o se ci fosse un’altra persona con lui con cui stia parlando. Arianna non riesce a trattenere la curiosità, e si avvicina alla porta per origliare. Non sarebbe stato neanche necessario, perché il volume della voce improvvisamente cresce: “Oh, sì, Arianna, stringilo così, sfregami, ti piace guardarlo mentre ce l’ho duro, vero? Muovi la mano in su e in giù, e intanto alzati la gonna, fammi vedere. Sì, masturbami, se continui e non viene nessuno questa volta ti lascerò vedere mentre vengo, come hai sempre voluto”. Il soggetto evidentemente ha una fantasia adolescenziale su di lei. La cosa è leggermente rivoltante, ma al tempo stesso non riesce a smettere di ascoltare la voce che continua a ripetere cose analoghe, e poi conclude: “Arianna, sì, mi fai impazzire, ah, ancora, ecco,
guardami, guarda cosa mi hai fatto, guarda cosa mi succede…”.
Arianna ritorna rapidamente al suo posto. La luce verde si accende, il soggetto viene ad incontrare Arianna a metà strada, le porge il campione con un’espressione appagata ma un po’ sorniona e le ripete prendendole la mano “Grazie, grazie” sulla strada per andarsene.
L’unico altro evento di nota della mattinata è un rapido passaggio di Sonia. “Tutto bene? E’ venerdì, e questo pomeriggio sono di riposo, Il campo è interamente tuo, chiudi bene prima di uscire. Spero vada tutto bene per il campione da ripristinare. Ci si vede”. L’incantesimo della sera prima è rotto, ma il tono resta sempre sinceramente cordiale, anzi, con un inequivocabile pizzico di confidenza in più. D’altra parte, non nasconde la voglia di andarsene in fretta, e c’è una persona che l’aspetta sulla porta. Un’altra bionda, che le assomiglia molto e potrebbe essere sua sorella. O forse no. Sentirsi abbandonata da una donna, una collega di lavoro che conosce da un giorno? Veramente il minimo.
Passano le ore. Arianna non si allontana neanche per uno spuntino, ma di Alessandro non vi è traccia. Sta per abbandonare le speranze, quando si presenta con quasi due ore di ritardo, pieno di lividi e con il braccio destro al collo. “Mi dispiace, sono stato investito mentre stavo venendo qui. Ho una brutta frattura al braccio e mi fa male dappertutto. Per fortuna, avete un sacco di medici, che mi hanno medicato, radiografato, ingessato. Sono passato solo per avvertire che devo annullare l’appuntamento per l’esame”, mormora, stringendo ogni tanto i denti in una smorfia di dolore ed infine avviandosi verso l’uscita.
Arianna è abbattuta. Un momento fa, tutto sembrava ancora possibile. Ora, Alessandro sta davvero uscendo per sempre dalla sua vita, e con la definitiva chiusura del progetto la sera stessa il suo errore di ieri è sul punto di diventare irrimediabile. Il secondo incidente stradale che viene a rovinare la sua vita? “No, ti prego, non puoi farlo, mi dispiace, è stata colpa mia, ci andrò di mezzo”, comincia quasi ad implorare.
Alessandro ha un’aria effettivamente dispiaciuta: “Ebbene, come puoi vedere non sono esattamente in forma. E gli analgesici non hanno ancora fatto effetto. E comunque… beh, con la sinistra… non so se capisci cosa intendo dice. Tanto più se il minimo movimento mi provoca dolore. Ti saluto”.
Arianna ora è in preda al panico. Si avvicina mormorando cose come “no, dai, cosa dici, proviamoci, so che puoi farcela, non fare così” e spinge dolcemente l’Uomo del Treno infortunato verso la Stanza. Un po’ inebetito dallo choc e forse dagli antidolorifici malgrado tutto in circolo, Alessandro si lascia fare. Arianna lo guarda, si sente in colpa per non aver dimostrato maggiore disponibilità nei suoi confronti, si sente in colpa perché l’incidente gli è capitato mentre ritornava inutilmente a causa sua, si sente in colpa nei confronti del dottor Storchi per aver tradito la sua fiducia rovinando il campione, e fa l’unica cosa che può aiutarla a sentirsi meno in colpa.
Gli slaccia ad uno ad uno i bottoni dei pantaloni, lo fa sedere sul divanetto, e superando la propria istintiva ritrosia per qualsiasi iniziativa prende dolcemente in pugno la situazione. La situazione in realtà è precaria. Alessandro è sorpreso, forse piacevolmente, ma continua ad avere una smorfia di dolore sul volto e stenta a sviluppare un’erezione. Forse la situazione è meglio prenderla in bocca, ridacchia demenzialmente tra sé e sé Arianna, che per una volta non ha dubbi sulle sue capacità al riguardo, e si china su di lui passando all’azione. La vita con Alberto sotto questo profilo è sicura che qualcosa le abbia insegnato. Lentamente, intanto che Arianna riprende confidenza con la tecnica e con un pene che non ha mai conosciuto prima ma che sta fremendo sotto la sua lingua, le cose cominciano a cambiare. Il suo paziente piano piano si rilassa e comincia a dimenticare il dolore. E con il tempo le reazioni fisiologiche hanno il sopravvento, sino che Arianna si stacca, prende il contenitore sul bordo del divano ed aspetta sino che Alessandro si è liberato del seme di cui la clinica ha bisogno.
Arianna è perfettamente conscia, dalle vibrazioni della sua mente non meno che da quelle del suo corpo, che quello che ha fatto non è stato un esercizio accademico, o l’eccesso di zelo di un’infermiera ansiosa di rimediare a quanto aveva combinato. Eppure, quando Alessandro faticosamente si alza, la ringrazia, e si avvia verso la porta, ancora una volta non sa cosa dire. Il dolore sta visibilmente e rapidamente tornando a monopolizzare l’attenzione dell’uomo, ma molto più li separa un disagio pesante come una parete di piombo, ed Arianna non ha il coraggio di fare un gesto per spezzarlo. “Penserà che dopo averlo respinto”, riflette, “mi sono prostituita a lui solo per per evitarmi una grana”, Cosa può succederle di peggio? Questa è la terza volta che solo il fato glielo ha fatto incontrare, e non può certo contare su altre possibilità.
Ormai il pomeriggio è inoltrato. Quasi alla fine del turno arriva ancora l’ultimo paziente. Molto
gentile, ha i capelli rapati quasi a zero, e sembra un culturista, o forse un militare fanatico come sembra suggerire anche il suo abbigliamento. Sembra accomodarsi con tutta calma, ma dopo appena un minuto ecco che si accende la luce verde. Un caso clamoroso di eiaculazione precoce, pensa Arianna, e si avvia verso la Stanza. La porta non è aperta, e quando la socchiude si rende conto di quello che è successo non appena scorge il massiccio avambraccio sinistro del soggetto ancora appoggiato sul pulsante che aziona quella specie di semaforo installato sulla scrivania.
L’avambraccio è attaccato ad un braccio nudo, e il braccio è attaccato al corpo muscoloso e completamente nudo del paziente, che è sdraiato sul lettino, e per una volta sta guardando un
video sul display, con gli occhi un po’ vitrei. Il video rappresenta una coppia, impegnata in un
accoppiamento che appare artificiale quanto il “dialogo”, ma i protagonisti sono molto belli; e
comunque Arianna non è sicura che il soggetto sia in grado di apprezzare queste sfumature intanto che strizza e si accarezza a scatti il glande paonazzo, gonfiando il petto sopra gli addominali disegnati, e soffiando l’aria dalla bocca come se stesse facendo delle flessioni.
Il paziente non è esattamente il tipo di Arianna, ma proietta un’attrazione animalesca, e tra la
disperazione per quello che è successo con Alessandro e la voglia di stare con un uomo e una specie di gelosia per quello che vede fa sì che sta per entrare ed interromperlo, senza sapere bene cosa può succedere; l’uomo,che prima aveva trovato così gentile, le sembra ora pericoloso, una persona che se volesse potrebbe spezzarla in due con una mano. Ma intanto che ricade come al solito nell’esitazione, il soggetto comincia letteralmente a muggire, acchiappa il contenitore, e in pochi secondi è tutto finito.
Quando l’ha salutato e l’ha registrato, il turno è ormai concluso, ma Arianna, sentendosi quasi
impazzire per la frustrazione e per il senso di vuoto, si attarda ancora alla sua scrivania: è venerdì sera, ma in fondo non ha nessun posto particolare dove andare. Quello che le è successo negli ultimi due giorni le sembra che non abbia fatto altro che rigirare il coltello nella piaga della sua inadeguatezza e della sua insoddisfazione.
Si alza e si avvicina alla stanza da cui sono passati i partecipanti al supplemento del programma di ricerca. Entra, chiude la porta, si guarda in torno. Accarezza lo schienale del lettino e pensa a tutti gli uomini che ha visto passare dalla sua anticamera negli ultimi due giorni. Accende con il telecomando lo schermo e il lettore di DVD. In scena c’è sempre la stessa coppia, ora in una cucina. Lui la monta vigorosamente da dietro; lei, con lo sguardo nella telecamera, fa le smorfie e i versi appropriati. Arianna lentamente si spoglia, si adagia sul lettino e cerca di immaginare cosa possano aver provato gli uomini che hanno dovuto godere in quella stanza per poterle recare il proprio seme, quasi come un tributo ad una sacerdotessa minore della Scienza.
Inevitabilmente, banalmente, dopo essersi accarezzata un po’ dappertutto fingendo che sia uno o l’altro di quegli uomini a farlo, Arianna comincia a masturbarsi, qualcosa che faceva spesso anche davanti ad Alberto ma che non ha potuto fare tranquillamente per un sacco di tempo; e subito ritrova l’intesa con il proprio corpo, come con uno strumento musicale suonato per lunghi anni dalle cui corde il proprietario sa trarre il massimo.
D’altronde, sia la strana atmosfera del luogo, sia la storia negli ultimi due giorni, sia l’astinenza precedente, fanno sì che Arianna non voglia concludere subito. E’ un bel po’ che con le gambe aperte sbircia il porno sullo schermo facendo passare il dito medio nella fenditura della vagina e poi ancora intorno al clitoride, quando entra il dottor Storchi, che si era evidentemente attardato nella clinica per le formalità di chiusura del progetto.
“Cara Arianna, ho l’impressione che Sonia non le abbia detto che quando è finito l’orario si attiva automaticamente l’impianto di videosorveglianza in tutto il piano. Quando dopo il turno sono passato dal suo ufficio e ho visto la porta chiusa e la luce rossa accesa, sono immediatamente andato a vedere sul display chi fosse rimasto in questa stanza, e devo dire che lei ha offerto alla telecamera un bello spettacolo”.
 Arianna ha immediatamente chiuso le gambe e cercato di coprirsi, e stava per balzare in piedi (“dottore, guardi… io… scusi… non so cosa...”), ma Storchi l’ha fermata con un cenno della mano. “Non si preoccupi, c’è di peggio. Sonia mi ha detto che lei sta affrontando un momento difficile, e non è insolito che una ragazza un po’ in crisi della sua età resti magari anche un po’ colpita in un senso o nell’altro dalla natura del primo compito che per caso le è stato assegnato”. E aggiunge: ”Piuttosto, sono certo di capire quale sia il suo problema, e sinceramente vorrei fare qualcosa per aiutarla”. “Anzi, per essere interamente sincero vorrei semplicemente... farle qualcosa”, rettifica però subito con un largo sorriso.
“Non solo. Se lei è d’accordo per questa volta ad assoggettarsi alla mia terapia, la registrazione della sua piccola performance di questa sera potrebbe restare nella mia collezione privata anziché finire sul Web”. Arianna si sente istantaneamente agghiacciare dalla prospettiva, ma il tono è talmente cordiale e scherzoso che non può credere il dottore la stia minacciando seriamente. Eppure, chi sa mai…
Il dottore si spoglia completamente e senza alcun pudore, con la consueta sicurezza, conscio di essere in una forma più che eccellente per uno la cui vita si è svolta essenzialmente in laboratorio e in biblioteca; e avvicina con fare rilassato il suo corpo abbronzato ad Arianna, cominciando ad accarezzarle i capelli e le spalle, e a baciarla delicatamente sugli occhi e sulle guance, e infine sulla bocca.
Dalla notte in cui ha comunicato ad Alberto la propria partenza è la prima volta che un uomo la bacia, è la prima volta che un uomo la tocca. Non importa che il suo atteggiamento, benché tenero, resti un po’ impersonale, quasi arrogante: è evidente che sa per innumerevoli esperienze come si tratta una donna, sa cosa fare, dove mettere le mani, e quando; il resto lo fa il notevole carisma di cui Arianna si è sentita succube sin dal loro primo incontro.
Non che fisicamente ce ne sia molto bisogno, perché Arianna nel momento in cui il dottor Storchi è entrato era già sul punto di entrare nella fase di non ritorno prima dell’orgasmo, ed ora smania per riprendere il corso naturale delle sensazioni che la doccia fredda dell’improvvisa intrusione ha interrotto.
La coppia sullo schermo continua le sue effusioni manieristiche ignorata da tutti. La coppia di fronte allo schermo è in piedi abbracciata, e Arianna è avvinghiata al collo del dottore come un naufrago allo scoglio, intanto che lui la stringe per la vita sottile spingendo la sua erezione contro il suo ventre morbido. Poi l’uomo la fa stendere, con il dorso appoggiato allo schienale e la testa un po’ sollevata, e in ginocchio lentamente la penetra a piccoli colpi, avendo cura di permetterle di osservare quanto sta avvenendo tra le sue gambe. Arianna non resiste più, squittisce come uno scoiattolo, tira spasmodicamente per i fianchi il partner perché si impianti più profondamente dentro di lei, e finalmente riesce a sfogarsi, quasi singhiozzando.
Vorrebbe fermarsi un attimo a riprendere fiato, è appena venuta e sente la vagina pulsare, ma la scena del suo orgasmo non è rimasta senza effetto e anche se l’uomo se l’è gustata restando padrone di sé non ha nessuna intenzione ora di accordarle tregua. La spinge in su, le scivola sopra, le passa le mani sotto le natiche e stringendole ritmicamente il sedere si muove con una nuova determinazione, affondando instancabilmente dentro di lei come se non ci fosse un domani.
Arianna ha già ripreso a volerne ancora, a volerne sempre di più, e si sente completamente posseduta. Riesce a pensare solo al piacere che prova. Si abbandona a quello che le viene fatto, immobile salvo per il riflesso quasi incosciente che la porta ad agevolare ed accompagnare con il bacino i movimenti dell’uomo dentro di lei.
Alla fine, più lenta e altrettanto inesorabile, la marea raggiunge nuovamente l’apice; ma questa volta il dottor Storchi tiene il passo con lei ad ogni secondo, e risponde con il suo respiro affrettato, i suoi gemiti, i suoi scatti e le sue contrazioni a quelli quasi simultanei di lei, e poi si rilassa ormai spento nel suo abbraccio, senza uscire, senza staccarsi, e baciandola affettuosamente sul collo sino che Arianna non si è completamente calmata.
Dopo che si è levato, Arianna resta come morta sul lettino ancora per un po’. Quando finalmente alza lo sguardo, lo ritrova già vestito che le porge gentilmente la mano per aiutarla ad alzarsi. Poi le bacia la sua come se qualcuno gli avesse appena presentato Arianna ad una festa, la fissa enigmaticamente negli occhi per un’ultima volta, ed esce senza voltarsi.
Arianna raccatta le sue cose, si cambia rapidamente in bagno e ritorna a casa. Le sembra di essere stanca, e dopo una doccia veloce va a letto quasi subito.

TERZA GIORNATA 
Sono le prime luci dell’alba di sabato. In realtà è stata un’altra notte più o meno in bianco, anche se Arianna deve per forza aver dormito almeno un po’ perché ricorda confusamente un paio di sogni in cui gli eventi degli ultimi tre giorni, ricordi di infanzia, la sua vita con Alberto e il lungo periodo di assistenza alla sorella si sono mescolati in modo surreale, come in rebus di cui non capisce la soluzione. In entrambi, è però l’immagine di Alessandro che continua a ritornare, insieme ai tre incontri in cui il caso ha certamente esaurito i suoi inutili tentativi di farli conoscere meglio.
Se la mancanza di sonno comincia a farsi sentire, Arianna si rende anche conto di aver mangiato poco o nulla ultimamente. E’ vero che pensava di aver del peso da perdere, ma non può certo continuare a digiunare come un fachiro, e del resto malgrado lo stomaco resti unpo’ chiuso si rende conto di aver fame.
Il frigorifero è ancora pieno della spesa che chiamando dal treno Arianna ha chiesto per favore ad una vicina di farle, per i primi giorni in cui sapeva sarebbe stata impegnata con il lavoro. La parte più appetitosa del suo contenuto finisce così in modo un po’ bulimico nel brunch supermattutino che Arianna si prepara, e che divora innaffiandolo generosamente con una bottiglia di vino rosso.
Il pasto e l’alcool finiscono per attutire la sua irrequietezza, e dopo aver sistemato le poche cose che ha sporcato Arianna ritorna pigramente verso il grande letto con il baldacchino che è l’unico mobile con una vera personalità all’interno del suo anonimo appartamento.
L’insoddisfazione e la frustrazione sono però sempre là, in agguato nella montagna di cuscini su cui Arianna nuovamente si accuccia, cercando di decidere cosa fare per il resto della giornata e
della sua vita. Ma non vede nessuna luce alla fine del tunnel di cui si sente prigioniera.
Come sempre quando ricade in questo umore, Arianna si sente però anche dolorosamente arrapata, spersa nel letto troppo grande per una persona sola con la sua camicia da notte inutilmente sexy. Quello che è successo nei giorni precedenti più che attenuare la sete accumulata dopo l’abbandono da parte di Alberto e l’esilio dalla sua città l’ha esacerbata,ricordandole cosa aveva perso, e cosa rischia di mancarle ancora.
Arianna ha bisogno del suo corpo flessuoso, e come lei malleabile, per sapere di esistere; perché la vita le sia sopportabile. Il corpo che ancora oggi reagisce al ricordo del suo nome invocato da un uomo che la stava usando per le sue fantasie erotiche, o della scena di masturbazione spiata da uno spiraglio della porta, o dell’augusto direttore del progetto che la bacia, l’accarezza, si stende su di lei, e trae piacere dalla sua vagina sino ad esserne svuotato.
La bocca si schiude, intanto che la lingua le passa sulle labbra, le natiche si induriscono e poi si rilassano di nuovo, ed Arianna, improvvisamente conscia del pizzo della camicia da notte contro la pelle dei capezzoli, tanto per cambiare eretti, si accorge che le cosce che aveva cominciato a strofinare tra di loro si spalancano lentamente da sole, offrendo il pube alla mano che lungo lo stomaco e la pancia guida sempre più in basso.
Ma c’è solo un’immagine che riesce a tenere in mente. L’immagine di Alessandro che con i suoi lividi e il suo braccio ingessato se ne va zoppicando, definitivamente, dalla clinica. E dopo un po’ non può più sopportare l’idea di subire questa definitività. Non può più immaginare di continuare a subire ciò che le succede, di rinunciare a tutto quello che forse potrebbe avere, e che vorrebbe. Deve fare qualcosa.
Arianna salta giù dal letto e comincia a rovistare freneticamente nella borsa. Trova quasi subito il foglietto con i dati di Alessandro rubati da Sonia che per un attimo di terrore ha creduto di avere buttato. Chiama, qualcosa che avrebbe mai creduto di poter fare. Il cellulare è spento.
In preda all’agitazione, si infila un vestito leggero sulla pelle nuda, un paio di sandali con il tacco, afferra la borsa e scende in strada. Miracolosamente, riesce a fermare un taxi al volo non aveva neanche pensato a chiamarlo e dopo un quarto d’ora passato a lottare contro ondate di dubbi (“è sabato mattina”; “sta male”; “non ha ragione di essere in casa”; “perché dovrebbe aver voglia di rivedermi?; “non si arrabbierà con me?”; “chi dice che viva solo?”; “se vive solo non è magari con qualcuno?”) arriva finalmente all’indirizzo segnato.
L’Uomo del Treno non vive in un appartamento, ma scelta insolita nella loro città, in una villetta unifamiliare, con un piccolissimo giardino innanzi alla porta di ingresso, elevata di tre brevi gradini. Sul citofono non c’è scritto nulla, ma Arianna prende il coraggio a due mani e suona comunque, prima che la tachicardia la uccida. Passano un paio di eoni; poi, senz’altra risposta, la serratura elettrica ronza e si apre; e Arianna ha appena varcato il cancello quando nella penombra vede sul ciglio della porta la sagoma inconfondibile di Alessandro, con labarba un po’ lunga e a piedi nudi, i lividi anche un po’ più vistosi, vestito solo con un paio di pantaloni scuri senza cintura ed un’ampia camicia bianca aperta chedeve essersi in qualche modo infilata prima di aprire la porta, da cui spunta il gesso del braccio che tiene protettivamente un po’ indietro.
Anche nel suo stato, Arianna non può fare a meno di pensare che ormai la sorpresa è probabilmente la sensazione che Alessandro ricollega di più alla sua persona. Ma la gioia nei suoi occhi è inequivocabile, e il sollievo la rende più ubriaca di quanto non abbia fatto l’alcool.
Alessandro cerca di parlare, ma Arianna gli chiude la bocca con un bacio e si struscia contro il suo corpo, felice ma con prudenza, per evitare di fargli male. Vorrebbe addentrarsi ulteriormente nel posto dove vive, ma non conosce la casa, e lascia che sia Alessandro a condurla in uno strano salotto anni settanta, del tutto diverso dallo stile dell’esterno e dell’ingresso, e pieno di moquette, tappeti orientali, piani lucidi, specchi e bassi divani in pelle.
Avrebbe preferito forse essere accolta nella camera da letto in cui lui deve essersi da poco
svegliato, ma ormai sa che ci sarà tempo per questo.
Facendo attenzione alle sue membra ancora doloranti, eppure quasi senza staccarsi da lei, Alessandro si cala su un divano ed appoggia il gesso sul largo bracciolo. Arianna si inginocchia davanti a lui sulla moquette, gli infila le mani sotto la camicia e gliela sfila avidamente. Con leggerezza passa le labbra su tutta la pelle che riesce a raggiungere, ed infine lo aiuta a sbarazzarsi con qualche contorcimento dei pantaloni, sotto cui non indossa nulla. Del resto, il corpo di Alessandro sembra reagire positivamente al fatto che la sua mano sana scivolando sotto il vestitino di Arianna la trovi esattamente nelle stesse condizioni. Non che sia una buona ragione perché anche solo il vestito debba restare, e al primo maldestro tentativo di sollevarglielo con una mano sola Arianna lo fa volare immediatamente in un angolo della stanza dopo averlo sfilato dalla testa con un unico movimento.
Adesso parlano, parlano incessantemente, almeno negli intervalli in cui la bocca si stacca per
un attimo dalle labbra o dalla pelle dell’altro, e si dicono tutte le cose che Arianna vorrebbe dire ed ascoltare.
Arianna ora gli è salita a cavalcioni, e percepisce acutamente la barba di Alessandro che le sfiora il seno, il petto, il collo. Con la mano afferra il pene puntato verso il suo ventre e lo strofina per un istante contro il suo punto più sensibile. Ma non vuole più aspettare, si impala abbassandosi su di esso, e comincia a roteare i fianchi. Alessandro coopera quanto gli permette la posizione e il corpo un po’ acciaccato, con un entusiasmo che dimostra chiaramente che l’intensità delle sue sensazioni è pari o superiore a quella di lei, e che fa sentire Arianna ancora più eccitata.
All’improvviso, si accorge il corpo sotto al suo si è irrigidito, la preda che è dentro di lei e che stringe nella vagina comincia a pulsare, e dal lungo rantolo che gli esce dalla bocca capisce che Alessandro sta venendo. Arianna butta la testa indietro e comincia a muoversi su e giù sempre più in fretta sino a che le viene voglia di gridare, e anche lei viene in modo breve ma esplosivo, senza fermarsi. E poi ancora. E poi ancora.

Primo finale :
Arianna si accascia sul petto del suo amante. Quando si raddrizza, dalla finestra le ferisce le pupille, ancora dilatate dal piacere, un sole raggiante quasi quanto lei, che si sta levando tra le case della sua città. E’ davvero tornata a casa. Il treno sta uscendo dalla galleria, e il sole sembra ad Arianna la luce alla fine di un lungo tunnel buio.

Finale alternativo :
Arianna si sveglia e si stira sul sedile, nel suo vagone del treno ad alta velocità che la sta riportando verso la sua città. Il sogno è stato così vivido che prova ancora, in alto tra le gambe, un’eco di quello che ha vissuto nella sua mente. Ma sente anche qualcos’altro, un segno di cambiamento. Il treno è uscito dal tunnel, e Arianna sente ora di esserne uscita anche lei. Sta tornando a casa, verso una nuova vita.

                       S.V.