venerdì 31 luglio 2015

Orizzonti di gloria


     Nel celebre film di Stanley Kubrick, esemplare e osannata polemica contro il militarismo, gli alti comandi dell'esercito francese sacrificano giovani vite contro le trincee tedesche non riuscendo neppure a capire che gli assalti all'arma bianca contro le medesime altro non sono che un folle massacro, dettato dalla loro ignoranza e insipienza. E i continui e sanguinosi fallimenti di tali offensive frontali vengono imputati nientemeno che alla "viltà" dei soldati.
       Risulta perciò inquietante il parallelismo con l'attuale situazione europea, dove economisti che capiscono di economia tanto quanto Raffaele Cadorna o Douglas Haig capivano di cose militari, sacrificano popoli interi in nome di teorie che sono forse perfette nei loro schemi pseudoscientifici e mentali, ma che sono un atroce fallimento nella pratica. E il rifiuto di riconoscere la realtà è pari a quello dei generali inetti e misoneisti della Grande Guerra, così come non meno forte di quella di questi ultimi è la tentazione di scaricare sulla "viltà" dei popoli (oggi definita "scarsa adattabilità al cambiamento") la propria folle pervicacia nell'applicare teorie economiche che fanno acqua (e morti...) da tutte le parti.
      Poiché i corsi e ricorsi storici esistono davvero, mi immagino che tra qualche decennio (o forse prima, oggi tutto risulta accelerato...) gli attuali "soloni" dell'economia saranno oggetto dello stesso disprezzo di cui furono (e sono) oggetto i comandanti militari del primo conflitto mondiale, non appena divenne chiara l'ottusa incompetenza tecnica di cui diedero prova (già la Guerra Civile americana, esattamente mezzo secolo prima, aveva dimostrato che gli attacchi frontali di fanteria potevano concludersi solo in un massacro, stante il terribile volume di fuoco degli armamenti moderni) e la loro totale incapacità di aggiornarsi e sviluppare nuove soluzioni tattiche.
       La storia umana è molto simile a se stessa e il risultato cui portano il servilismo, l'ottusa ubbidienza agli ordini, la pervicacia nell'adottare strategie già palesemente rivelatesi come fallimentari, è sempre e soltanto uno: il disastro.
      E naturalmente, a posteriori, ci sarà sempre qualche "genio" che, per ingraziarsi i nuovi padroni, dopo aver costantemente taciuto e leccato le terga ai potenti di turno, "scoprirà" che il metodi utilizzati dai padroni precedenti erano del tutto sbagliati.
       "Se questi sono uomini", o forse sono gli unici che esistano...

                                       Piero Visani



giovedì 30 luglio 2015

Changes


       Un mio amico intriso di "splendida perfidia", a commento del post su "Estate 1972", mi invita ad ascoltare e soprattutto a riflettere attentamente sul testo di "Changes", di David Bowie. 
       Non ho bisogno di farlo, mio caro, perché ho più volte scritto che il testo migliore per me è "The Great Pretender", nell'interpretazione di Freddie Mercury. Però il riferimento è talmente velenoso che mi piace riportare la canzone. E poi - ammettiamolo - i crudeli sono gli amici più veri. Sono quelli che sanno - gramscianamente - che "la verità è sempre rivoluzionaria"...

                                       Piero Visani





Democrazia guidata


       Come è stato facile desumere dal "dotto" intervento del professor Monti alla trasmissione televisiva "Agorà" dell'altra mattina, ormai è chiaro anche ai ciechi (a quelli disinteressanti, quanto meno...) che viviamo in una oligarchia guidata da alcuni "numi tutelari" non suffragati dal voto popolare.
       Io ho sempre avuto il coraggio di scrivere che per me la democrazia è il peggiore dei sistemi possibili e, qualche tempo fa, perfino Eugenio Scalfari ha tessuto uno "splendido" elogio "di sinistra" dell'oligarchia.
       I "numi tutelari" - quelli che ci dicono anche cosa fare dei nostri figli, delle nostre vite e delle nostre proprietà (una volta questo si chiamava totalitarismo, ora deve aver cambiato nome...) - dovrebbero almeno avere il coraggio di autodefinirsi "oligarchi".
     Perché il problema è sempre uno, da sempre: un "non vedente" è più vedente di un cieco? A me non pare. Ci si limita a fare un po' di pietismo d'accatto sulla sua patologia.
       L'essenza del pensiero democratico è - dalla notte dei tempi - una gigantesca, cosmica, pluriarticolata presa per i fondelli del popolo bue. E pare che non esista un sistema migliore. Siamo d'accordo, per una volta: per gli "oligarchi democratici", per i nostri autonominatisi "numi tutelari", sicuramente non esiste un sistema migliore e soprattutto più redditizio.
       Il "nume tutelare" democratico è, a ben guardare, un raffinato sodomita e questo spiega anche i mutamenti che si stanno cercando di introdurre negli orientamenti sessuali delle società cosiddette occidentali: in effetti, se uno si abitua a prenderlo nelle terga da piccolo, da grande sarà un raffinato cultore di detta pratica.
       Come sempre, in ogni cosa, "tout se tient". Credo sia superfluo specificare dove.

                                      Piero Visani

Parenti serpenti


       Le figure parentali sono come le disgrazie: non vengono mai da sole. Te li ritrovi in casa, senza neanche essere stato avvertito che stavano per arrivare e ovviamente devi abbozzare.
       Hai con loro un dialogo infinitamente meno intenso di quello che hai con il tuo gatto, il quale, essendo ovviamente un gatto ribelle e indisciplinato (se no sarebbe tuo...?) non fa nemmeno finta di ascoltarti. Altrettanto fanno codesti parenti, che parlano, ma non ascoltano.
       Di norma, in circostanze del genere, sono loquace come il protagonista di un film muto, ma non ho nemmeno bisogno di sforzarmi, perché tanto parlano sempre e soltanto loro.
       Braccia sottratte all'agricoltura, hanno un retroterra che non posso descrivere qui, per non farli riconoscere. Diciamo che sono nati incendiari e che, dopo un buon contratto con un pubblico potere, sono diventati pompieri, anzi pompierissimi, anzi super-Vigili (del Fuoco).
       Dopo aver elencato tutti i loro successi, di cui ho piacere, parte la staffilata: "e tu? Sempre a fare l'acchiappanuvole?"
       Vado sull'ironico: "Sì, è un'attività che mi piace moltissimo".
       "Ma rende?" - prevedibile obiezione velenosa.
       "No, ma tiene molto magri, perché sai, saltare fino alle nuvole esige che ci si mantenga molto in forma". E, nel dirlo, guardo la sua bella panza d'ordinanza, frutto di tante "sane" mangiate di pubblico denaro...
       Non gradisce, ma che può dire? Non si ritorna da 100 a 70 chili in una sessione.
       Allora parte con i consigli: "io te l'avevo detto già quando avevi 14 anni che avresti dovuto tenere conto delle situazioni e dello 'spirito del tempo'".
       "Sì, ricordo bene, ma è che mi riesce consustanzialmente difficile: preferisco rovinarmi con le mie mani che essere rovinato da mani altrui. E poi, con il tempo, ho trovato il giusto viatico: considerato che oggi è tutto un'organizzazione criminale, non ho scelto quelle che mi consigliavi tu, ma altre. E devo dire che, a gioco lungo, funziona".
      Mi guarda con occhio acqueo, non sono sicuro che abbia ben compreso, ma fortunatamente è ora che si tolga dalle scatole, per cui: "a non rivederci".
       Il mio pensiero corre inevitabilmente al celebre aforisma di Freak Antoni: "La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo". E' vero: è una settimana che non riesco a finire la giornata senza che mi arrivi addosso un "buon consiglio"...

                       Piero Visani

Stanno lavorando per noi...


       Quando gli ottimati, autonominatisi nostri tutor senza uno straccio di voto popolare, cominciano a sostenere che stanno "lavorando per il nostro bene", c'è da preoccuparsi, e molto. Questo perché i soggetti sotto tutela si dividono - di norma - in due categorie: i minorenni e i minorati. Non appartenendo alla prima, mi sento collocato d'autorità nella seconda, come "minus habens", e un po' mi spiace.
       Ora è assolutamente vero che, sotto il profilo economico, mi sento sempre più tale, ma, sotto quello mentale, avrei ancora l'ardire di considerarmi normotipo e, se poi guardo a molti dei nostri autonominatisi tutori, penso addirittura di riuscire a fare la mia porca figura, sia in termini di dottrina sia anche di vivacità intellettuale.
       Certo, alcuni di essi come "operatori funerari" sono inarrivabili, ma io non li ho nominati miei tutor. Volevo morire da solo; anche di fame - come mi augurano un giorno sì e l'altro anche - ma da solo, contento di essere "volato dalla finestra" piuttosto che mangiare la loro verminosa minestra.

                      Piero Visani

I "Bollettini della Vittoria"


       Ogni sera, ai vari telegiornali, dopo le sparate del governo Renzi e i relativi "Bollettini della Vittoria", vengono presentati i risultati di ricerche economiche condotte da istituti più o meno prestigiosi, ricerche che smentiscono clamorosamente i contenuti delle fole di regime che ci vengono propinate quotidianamente e presentano il quadro di un Paese in stato pre-agonico, che ha solo bisogno di una spinta per precipitare nella "Cloaca massima" della Cronaca (in quella della Storia l'Italia repubblicana proprio non ce la vedo, se non come esempio negativo) e cominciare a fare l'unica cosa che potrebbe essergli davvero utile: dimenticarsi, farsi dimenticare e sparire. Per sempre.
       E mi assale il dubbio che la parte dei "Bollettini della Vittoria" renziani che non abbiamo letto per intero sia quella in cui "I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza".
       E' vero, siamo al fallimento più totale e definitivo, ma la nostra - al più - di questi tempi è stata una semplice "Armata Brancaleone", la solita e sempiterna armata di servili "norcini", pronti a offrire gioiosamente e devotamente le terga al potente di turno.
       Che dire? "Good Night and Good Luck!". La seconda, a mio parere, vi servirà moltissimo, molto più di quanto non potrà servire a noi. Noi, infatti, non abbiamo più nulla da perdere. Voi?

                      Piero Visani

Estate 1972

       St. Mary's College, Strawberry Hill, Twickenham, Greater London.
       Un college per studenti di inglese, provenienti da tutta Europa. Solo 3 italiani, oltre a me.
       L'impatto forte con il mondo esterno, dopo vacanze meno impegnative e meno lunghe.
      Arrivo nel pomeriggio, vado a cena e ho appena il tempo di sedermi nel bel refettorio del college che vengo "abbordato" da una avvenente madrilena, con la quale si svilupperà la classica storia estiva, che per noi sarà relativamente lunga, vista la durata delle rispettive vacanze.
       La giovane iberica non pare particolarmente disposta all'intercourse. E' figlia di una cultura latina, per di più ancora sotto il peso franchista, e la mamma deve averle sicuramente insegnato che certe "ricchezze" si gestiscono, più che spenderle...
        Mi rifaccio con gli interessi con una finlandese e una bella svedese, le quali, da brave scandinave, hanno una concezione radicalmente diversa del sesso.
         Mi tengo lontano dalle inglesi, all'epoca accompagnate da qualche leggenda (o verità...?) sulle loro abitudini igieniche, e mi rovino un promettente rapporto con una splendida rossa dell'Ulster - lei docente, non studente - dopo averle fatto una terribile tirata filo-IRA e filo-indipendentista, da lei troncata con un gelido: "mio padre è colonnello dei 'Royal Ulster Fusiliers'" (in una parola, dell'Esercito britannico...)" [una delle maggiori e più divertenti topiche della mia esistenza, che ancora oggi mi procura una grande ilarità].

       Si dice che uno ricordi il passato con occhio tenero e con innegabile rimpianto, e certamente è così, se si guarda al solo dato anagrafico, ma nulla di quei giorni può farmi dimenticare che non ero poi così diverso da adesso, con gli stessi problemi, gli stessi tormenti, le stesse ansie.
       Vedevo un mondo intorno a me di cui capivo poco e condividevo meno, e avevo appena cominciato a smettere di chiedermi di chi fosse la colpa, perché - a forza di letture - stavo iniziando a convincermi che non fosse la mia, ma restavano le mie difficoltà di rapporto con gli altri, che mi accompagneranno per tutta la vita, senza trovare mai una reale soluzione.
       Ero pieno di sdegno per ciò che stava accadendo in Ulster (erano passati appena sei mesi dal "Bloody Sunday" del 30 gennaio 1972 a Derry) e vi feci in segreto la mia prima incursione, senza dire nulla ai miei. Quello che vidi accentuò il mio senso del tragico, già forte fin dalla nascita, e il mio orrore per le ingiustizie, sempre molto pronunciato.
       Cercai rimedio nel sesso e nello sport, che per me sono sempre state due forme diverse di attenuazione dell'horror vitae. E alla fine scoprii che la cosa migliore su cui potevo contare era parlare con me. Accentuai la mia propensione allo scrivere, ma - se devo ricordarmi qualcosa di quei giorni di 43 anni fa - ricordo molto dolore, molta sofferenza, molte tristezze. In una parola, non ho un ricordo edulcorato di quei giorni. Ho semmai un ricordo di sofferenze di vario tipo, certo sfumate dal tempo, ma in cui tutto appariva in qualche maniera irraggiungibile: il corpo di una donna più ambita di altre, la libertà d'Irlanda, la mia ricerca di autoconsapevolezza.
       Tuttavia, non ho mai sentito una reale esigenza di cambiare: quello ero io e a me andava bene così. Cercavo una rappresentazione di me stesso che, per me, fosse pienamente soddisfacente, e devo ammettere che, nel complesso, l'ho trovata. E' per questa ragione che il rimpianto, l'atteggiamento classico de laudator temporis acti, per me non ha senso alcuno. Non rimpiango niente, nemmeno la giovinezza, perché ho vissuto tutta la mia vita esattamente come ho scelto di viverla. Che cosa dovrei rimpiangere? Ho difeso la mia identità. Ad alcuni è andato bene, ad altri per niente. Massimo rispetto per tutti.

                           Piero Visani





Serata interessante


       Passata a spiegare, a un attento uditorio, il concetto di assertività e come esso funzioni e possa essere fatto funzionare dai singoli.
       Non una conferenza, non una lezione, non un momento di formazione. Una chiacchierata tra amici interessati a sviscerare un tema, apportando esperienze personali diverse. Nel mio caso, non tanto l'assertività, quanto l'autostima e i comportamenti che ne derivano.
       Nulla di particolarmente scientifico, ma un bel confronto amichevole.

                             Piero Visani

Bilancio attivo


       Se uno arriva a fine giornata avendo restituito anche una sola legnata in più di quelle che gli hanno inflitto (o tentato di infliggergli, anche i colpi andati a vuoto meritano una risposta adeguata), quella è una buona giornata.

       Mi accontento di poco, notoriamente.
       Se poi è una giornata in cui non ha ricevuto "buoni consigli" (e quelle per me sono davvero rarissime), allora è vicino a toccare il cielo con un dito.

                                 Piero Visani

"Un'espressione geografica" e "un'emozione da poco"

       A cavallo tra Clemens von Metternich e Anna Oxa. Direi che l'Italia attuale ci sta tutta.
       Mi dispiace per chi cercò - e non sono mancati - di fare del nostro un grande Paese, ma il progetto è inutile, prima ancora che impossibile, per la soddisfatta e anzi direi compiaciuta pochezza del "materiale umano".
       Sono un amante deluso - lo ammetto - ergo sparatemi pure addosso. Conosco bene questo genere di situazioni.

                         Piero Visani

mercoledì 29 luglio 2015

Il lavoro intellettuale


       Tra tutte le disgrazie che possono capitare a chi ha già avuto come disgrazia fondamentale quella di nascere in questo Paese, quella di svolgere un lavoro intellettuale è una delle peggiori.
       Non sto parlando di una professione riconosciuta: gli italiani amano molto le corporazioni, quindi in genere assumono un atteggiamento deferente di fronte ai membri delle medesime, specie se stimano che possano essere più o meno potenti.
      Sto semplicemente parlando del lavoro intellettuale in quanto tale, meno sottoponibile a classificazione strutturata.
       Avete mai provato a scrivere un testo o una ricerca di mercato al titolare di una PMI? Provate, poi mi direte.
       Il soggetto in questione, se e quando va bene, ha la licenza media (inferiore), ma si è fatto "sul campo", è un "uomo della strada", è cresciuto alla "scuola della vita" e ha i calli alle mani ("non come te, coglione di ghostwriter (ma che cacchio vuol dire 'sta roba?), con quelle mani da persona che non ha mai lavorato e quell'abito firmato, pieno di quelle lauree e master che servono a un cavolo").
      Geniale e fortunato com'è, il soggetto in questione è onnisciente e su tutto DEVE dire la sua. E' naturalmente manicheo, per cui tutto il BENE sta da una parte (in genere la sua...), tutto il MALE dall'altra e le sfumature sono qualcosa di cui ignora totalmente l'esistenza, specialmente se cerchi di articolarle in forma scritta.
       Sparge in un testo congiuntivi e condizionali (il cui utilizzo ovviamente ignora) come se fossero sale sulla pasta e trova sempre che i tuoi testi "non siano pregnanti". Nel momento in cui lo inviti a chiarire il concetto di "pregnante" va in tilt, in quanto è lontano dal pensiero astratto (ma consentitemi di dire: "da qualunque forma di pensiero") come una formica da un elefante, ma risolve il tutto con un eloquente gesto di disprezzo, accompagnato dalla fatidica frase: "Non si capisce niente, i miei interlocutori non capirebbero niente"!
       La prima cosa che ti viene in mente è che ciò è assolutamente normale, perché, se i suoi interlocutori sono come lui, non c'e speranza che capiscano alcunché, ma ovviamente devi abbozzare. Già non lavori quasi più per il settore pubblico, se ancora ti alieni i privati, sarà la fame...
       Così si procede, versione dopo versione, finché il testo non faccia sufficientemente schifo da piacergli. Sarà passato molto tempo e si saranno resi necessari parecchi rifacimenti, che inevitabilmente andranno ad incidere sulla parcella finale.
       Alla presentazione della medesima, l'urlo che leva "l'uomo che si è fatto da sé" arriva a qualche chilometro di distanza. Ti convoca, ti guarda con infinito disprezzo e ti dice: "ma vuole che le paghi così caro un testo che ho scritto quasi tutto io e che fa ancora schifo?".
       No, ovviamente. Lasci pure perdere. Mi dia l'elemosina che preferisce. Anzi, guardi, non me la dia proprio. Me ne farò una ragione (citazione renziana che ahimé gli sfugge...).
       Quanto al dubbio che il testo faccia così schifo perché ha preteso di scriverlo lui, e di non lasciarlo scrivere a me, quello non lo assalirà mai.E questo mi basta.
       Torno a casa ridendo e ascoltando musica: uno dei privilegi di questo lavoro è di metterti a stretto contatto con i tuoi connazionali. E' per questo che mi considero da tempo apolide.

                                         Piero Visani

martedì 28 luglio 2015

Le corvées non finiscono mai, come gli esami...


       Pare che l'esimio on. Salvini abbia rilanciato la proposta di reintrodurre la leva obbligatoria. Sugli aspetti tecnici non mi pronuncio: scrissi un libro proponendo la transizione al volontariato già nel lontano 1981 ("Esercito, come?") e sostenni almeno due relazioni di minoranza sul tema in sede di CASD (Centro Alti Studi per la Difesa) e CEMISS (Centro Militare di Studi Strategici), con il solo appoggio del compianto giornalista de "Il Sole 24 Ore" Sergio Augusto Rossi. 
       Ancora oggi ritengo che l'ipotesi di far rivivere i valori guerrieri nelle società europee con espedienti di questo genere equivalga a cercare di riempire con un cucchiaino un lago in secca...
       Quanto ai riflessi di carattere elettorale, mi immagino legioni di italici ventenni bramosi di dedicare un certo numero di mesi alla Patria (?) e tutti dunque pronti a convertirsi al "salvinismo".
       Siamo a una fantastica gara di statalismi: quello renziano, quello salviniano e chissà quanti altri. Siccome la fase de "l'oro alla Patria" l'abbiamo già superata, nel senso che noi NON vorremmo darlo, ma ce lo prendono di brutto con una politica fiscale folle, ora faremo un bel passo "avanti" anche con una nuova "corvée", possibilmente comprendente anche qualche "cessione di vita", alla Patria.
Su, dai, facciamoci del male.
       Non sono certo contro la nozione di Patria, ma magari dare uno sguardo preliminare, anche di sfuggita e superficiale, a chi la interpreta, è chiedere troppo, forse?

                                Piero Visani

Voglio ridere


       So già che questa canzone - che mi gira in mente da stamane, bloccato nel traffico della tangenziale di Torino - darà la stura a una congerie di interpretazioni, quasi tutte errate e stimolate da percezioni settoriali.
       Io invece la ascolto e la percepisco in una prospettiva olistica, tipica di "un uomo che si ama" (molto...) e che ha piena e nitida coscienza di sé. Ho perso molte battaglie e avuto non pochi problemi per scarsa inclinazione alla mediazione, ma in questo modo sono riuscito a conservarmi intero, a non diventare residuale, un gradito soprammobile di uomini e/o donne.
       Una semplice ma orgogliosa difesa di identità: la mia.

                                    Piero Visani





Altrove



       A mio parere, il fatto di NON essere di Sinistra non significa essere di Centro (auspicabilmente...) ma neppure essere "di Destra". E' chiaro che, per decenni, "Destra" è stata una classificazione convenzionale su cui ci si è trovati schiacciati, stante anche lo strapotere culturale della Sinistra e quello economico del Centro - e lo scrive chi, come me, ha partecipato attivamente al progetto della Nuova Destra italiana.
      Tuttavia, rispetto alle Destre latamente intese - e in particolare a quelle filo-occidentali, filo-americane, filo-israeliane, perbeniste, borghesi, etc. - il sottoscritto si è sempre sentito in un unico luogo: ALTROVE. E con lui, fortunatamente, molti altri.
       Legge, Ordine, Dio, Patria, Famiglia, Tradizione e altre maiuscole consimili, mi hanno sempre ispirato un sano senso di fastidio, come credo capiti a tutti i dionisiaci. Non abbiamo le certezze delle visioni apollinee, né credo desideriamo averne. Personalmente, preferisco di gran lunga il divenire all'essere e credo anche che, a costo di irritare qualcuno, non avendo io obblighi di "captatio benevolentiae", oggi sia venuto il momento di una sana presa di distanze. Non vorrei finire i miei giorni da "conservatore" o da "uomo d'ordine" o da "razionale". Non ho nulla contro chi lo è, è che non c'entriamo nulla gli uni con gli altri, detto in parole molto povere ma molto chiare. Io adoro le orge fiumane; ho qualcosa da condividere con gli amanti del Concordato...?

                                      Piero Visani

Razionalità

       Uno dei punti fondamentali di qualsiasi conflitto asimmetrico è il rifiuto della razionalità del nemico. Scrivo "nemico" con cognizione di causa, non amo molte le manfrine sul cosiddetto avversario.
       Una guerra asimmetrica è uno scontro mortale. Il nemico parte con vantaggi enormi e accettarne la razionalità equivale a votarsi alla sconfitta. La prima scelta che dovrà essere effettuata sarà quindi quella di rifiutare la razionalità del nemico, non foss'altro che per il fatto che l'essenza della guerra asimmetrica è "la sconfitta del vincitore". 
       La razionalità del nemico mira a rappresentarci per quel che siamo realmente: degli avversari deboli e dispersi. Ergo l'atto fondamentale, quello da cui tutto deriva e può iniziare, consiste proprio nel rifiuto in blocco di quella razionalità.
       A differenza di quanto si può comunemente pensare, un atteggiamento del genere non ha nulla a che vedere con una oggettiva valutazione dei rapporti di forza. Quelli ci sono chiarissimi e sono totalmente a nostro sfavore. Il rifiuto della razionalità consiste invece nel rifiuto del modo di ragionare che il nemico stesso ci vorrebbe imporre. Se lo accettassimo, saremmo soccombenti nel momento stesso in cui lo accettiamo. Se non lo accettiamo, non è che le nostre difficoltà siano minori, ma compiamo un passo decisivo nella scelta consapevole di una logica che sia intimamente nostra, e che non sia la sua. In altri termini, ciò equivale ad adottare i nostri, e solo i nostri, parametri di valutazione, perché - se accettiamo quelli del nemico - siamo soccombenti ancora prima di aprire le ostilità.
       Non si sta qui parlando di guerra (o solo di essa), ma del fatto che, se l'essenza del politico è la contrapposizione amico/nemico, è fondamentale aver chiaro chi è amico e chi nemico, e creare una nostra logica, come pure una nostra grammatica del conflitto. Senza questi fondamentali presupposti, ci muoveremo male ed a tentoni, con obiettivi meramente tattici, ma privi di un decisivo disegno strategico.

                        Piero Visani


                           

lunedì 27 luglio 2015

Credits


       Leggo qua e là eleganti definizioni riferite a veri o presunti "raccontafavole". Nulla da obiettare, ma un'altrettanto elegante definizione per i "raccontaballe", "spargiguano a piene mani" e "rovina [ma elegantemente, ça va sans dire...] vite" esisterà pure. Io ancora non riesco a trovarla: "soggetti politici razionali e benpensanti" mi pare assolutamente benevola ed eufemistica. 
       "Devo pensarci su, pensarci su".
       "Ma come piove bene sugli impermeabili [se uno li ha...] e non sull'anima" [se uno sicuramente non l'ha]...

                        Piero Visani

In treatment



       Oggi ho cominciato il trattamento di persuasione riservato a quanti ritengono di NON stare vivendo nel migliore dei mondi e dei modi possibili. I primi risultati paiono incoraggianti, per i miei "curatori": 

- per prima cosa, intendo rivolgere un riverente pensiero ai cultori del sistema politico migliore possibile. E' solo quello - il nostro - e giuro formalmente che cesserà la mia ricerca di trovarne un altro. E' quello e solo quello. Devo ricordarmi che gli ottimati che ci governano sono contro "le verità rivelate"... Se proseguisse il mio scetticismo in materia, DEVO CONVINCERMI CHE NON CE N'E' UNO MIGLIORE. DEVO ripeterlo con loro, come un mantra. Mi farà bene...


- In secondo luogo, mi devo ricordare che il PIL sta crescendo e la disoccupazione sta diminuendo. Il debito pubblico, poi, è in crollo totale. Se per caso mi avessero fornito altre cifre, che non corrispondono a queste, DEVO sapere che sono manipolate.

- In terzo luogo, NON è vero che ci siano stati oltre 1.200 suicidi da crisi nel primo semestre del 2015. Era gente debole, poco convinta che il nostro Paese ce l'avrebbe fatta, a gioco lungo, e che non voleva farsene una ragione. Hanno ceduto, hanno perso la fiducia proprio sul traguardo. Proprio come il protagonista di "Avventura a Durango", avrebbero dovuto dire "la strada è lunga ma ne vedo la fine". Invece hanno perso fiducia e si sono tirati una fucilata: "forse non sono stati troppo scaltri"....

       Tra una settimana, seconda seduta.

                                 Piero Visani

Pratiche comunicative


       Una delle forme più diffuse di "neutralizzazione comunicativa" consiste nell'intervenire su riflessioni assolutamente personali con commenti tendenti a irridere chi li formula e a circoscriverlo nel per nulla sacro pomerio di una "lunatic fringe".
        Comportamento assolutamente legittimo, ma mi auguro che sia chiaro che trattasi di una evidente forma di neutralizzazione e che la medesima ha intenti scopertamente conservatori.
      Detto questo, se ciò che scrivo è altamente ridicolo, ne prendo atto. Se ci sono soggetti che hanno ancora voglia di ridere, ne sono sinceramente lieto per loro. Mi scuso per averne un po' di meno. Rimedierò. Non manca molto, del resto, al momento in cui verremo inviati negli istituti di "riabilitazione mentale". Ergo, è solo questione di aspettare un po'.

                       Piero Visani

Silenzio


       A volte il dolore è talmente forte, nell'animo di una persona, per lo schifo di vita che gli tocca vivere nel "migliore dei mondi possibili", che il ricorso alla parola non ha alcun senso. Meglio il silenzio. Non c'è infatti parola che possa in qualche maniera rappresentare l'orrore, il disgusto, la collera che montano dentro.
       Occorre tenerne conto, perché il ricorso alla parola, in determinate circostanze, può avere una funzione catartica, può aiutare a liberarsi dai pesi che opprimono.
      Il silenzio, per contro, serve ad accumulare; funge da potentissimo accumulatore. E la funzione degli accumulatori è fondamentale, per potere infine esplodere, individualmente molto prima e molto più che collettivamente.

                       Piero Visani

domenica 26 luglio 2015

Telefonata

       Mi telefona mia madre, 94 anni a dicembre: arzilla, autonoma e senza badante. Mi fa gli auguri e mi dice: "il mio problema è che ho due figli troppo vecchi. Anche tu, ormai..."
       "Hai ragione, mamma" - convengo - "per fortuna abbiamo te per badare a noi"...
       Quando si dice la fortuna!

                                Piero Visani

Ringraziamenti

       Sono nato il 25 luglio 1950, all'ospedale di Aosta. Il mio affacciarsi al mondo ha avuto luogo alle 19,26, per cui a quest'ora mi sento davvero prossimo al compleanno.
      Mia madre - che ormai veleggia felicemente verso i 94 anni, portati alla grandissima e in totale autonomia - sostiene di ricordare perfettamente il minuto perché erano ore che fissava nervosamente l'orologio della sala parto.
      Benché io sia terribilmente puntuale, in quelle settimane e quel giorno in particolare ero in ritardo. "A posteriori", è evidente che lo fui per una comprensibile riluttanza ad affacciarmi su questa terra. Sarebbero passati almeno vent'anni prima che leggessi Emile Cioran e le sue splendide considerazioni sull'unico gesto di libertà consentito all'uomo, ma evidentemente avevo già allora le mie perplessità e cercavo di differire un evento del quale non ero e non sono tuttora convinto.
      Quanto infine ruppi gli indugi, era una serata di caldo afoso, in quella Aosta dei primi anni del secondo dopoguerra, e i valdostani - come il resto degli italiani - erano e sono afflitti da una nevrosi da calore che scalda le loro menti, molto prima che i loro corpi.
       Venni sistemato nella nursery, dove tutte le finestre erano aperte, per far circolare un po' d'aria. Di colpo, però, si formò un pesante temporale da calura, che si abbatté sulla cittadina con violenti folate di vento.
       Le amorevoli infermiere mi avevano posto in piena corrente e - a quel che si dice - non furono nemmeno particolarmente sollecite nel sottrarmi a quelle ventate. Il risultato fu che, prima ancora che avessi vissuto 12 ore, contrassi una pesante forma di polmonite, dalla quale venni salvato solo grazie alla somministrazione della penicillina, da pochi anni portata in Italia dagli americani.
       I due psicologi con cui ho avuto un dialogo, negli ultimi dieci anni, sono entrambi concordi nel ritenere questo un evento fondamentale nella mia formazione e nella mia spiccata misantropia. Io non sono così d'accordo, ma ne prendo atto.
      Il 25 luglio 1950 era un martedì, giorno dedicato a Marte, e in effetti tutta la mia vita, a partire dai 3-4 anni, è stata caratterizzata da quello che James Hillman definirebbe un "terribile amore per la guerra", amore che non mi è mai passato del tutto. Ero - è vero - nipote per via materna di un paracadutista della "Folgore" di El Alamein, ma io, se penso al mio interesse per le cose belliche, sono piuttosto portato a pensare a una qualche forma di reincarnazione.

       Dopo aver descritto questo "incipit" esistenziale, che a mio parere è la chiave di molto di me, mi è gradito ringraziare i circa 200 amici, personali e di Facebook, che hanno voluto farmi i loro auguri di buon compleanno. Li ho molto graditi. Credo di avere significativi problemi di incomunicabilità, con il mio prossimo, nel senso che NON ci capiamo a vicenda, spesso, e dunque l'affetto degli amici mi fa forse più piacere che ad altri.
       Come faccio sempre, dedico a tutti - per ringraziamento - una canzone di Paolo Conte, "La ricostruzione del Mocambo", che proprio di incomunicabilità tratta, con estrema finezza, e lo fa utilizzando uno stile musicale che adoro, al punto che la ritengo quasi un mio inno personale. Grazie a tutti!

                 Piero Visani



sabato 25 luglio 2015

I miei primi 65 anni

       Sotto il profilo concreto-fattuale, i miei primi 65 anni sono stati un fallimento abbastanza significativo, frutto del fatto che non ho mai voluto imparare "il mestiere di vivere" e, in definitiva, ho avuto uno straordinario successo nel mio intento. Mi sono costruito per come volevo io e, anche se la vita mi è passata sopra come un rullo compressore, sono sempre riuscito a sfuggirle, forte del fatto che, per quanto mi riguarda, le sconfitte e le rese esistono nel momento in cui uno le riconosce, e io non le ho mai riconosciute.
       Sono vissuto in un isolamento che, con il tempo, è diventato sempre più consapevole e splendido, frutto del fatto che io e la media del genere umano non abbiamo molti punti di contatto, per cui, se ci teniamo reciprocamente distanti, viviamo meglio entrambi.
        A partire dai 60 anni, ho iniziato una nuova vita, con molto più spazio dedicato alla creatività e alla cura della mia personalità e delle mie passioni, e ho iniziato a scrivere moltissimo, e penso che scriverò sempre di più.
        Non mi avventuro in bilanci: ho vissuto istintivamente, andando sempre e solo là dove mi portava il cuore. Ho combinato sicuramente poco, ma questo è stato una conseguenza del fatto che io preferisco gestire un 1% totalmente mio che un 100% frutto di faticose mediazioni con altri. La mediazione proprio non mi interessa, in nessun campo, e non ho mai appartenuto alla genia del sono come tu mi vuoi.
       Sulle mie terga sono stampate innumerevoli pedate, di diversa provenienza, che io di fatto considero analoghe alle tacche che si fanno dipingere i piloti dei velivoli da combattimento sulla fusoliera del proprio aereo dopo ogni abbattimento di velivoli nemici. Ho vissuto un'esistenza complessivamente residuale - è vero - ma è stata la mia, non quella decisa o scelta per me da altri.
        Oggi, in una realtà di cui non riconosco più niente, avverto indizi positivi, che mi fanno pensare che, per i miei prossimi 65 anni, non mi annoierò così tanto come mi sono annoiato per i miei primi e l'addensarsi di fosche nubi di tempesta mi eccita vagamente, come credo capiti a tutti coloro che non hanno nulla da perdere e una sana voglia di non morire schiavi. Tutto il resto, lo scoprirò solo vivendo e il mio desiderio di scoperta è assolutamente intatto, se non addirittura in crescita. Per non parlare della volontà di "vivere irrazionalmente". Il bello delle epoche di anteguerra è proprio questo: di poter correre felici verso l'abisso, sapendo che potrebbe essere quello che ti sei scelto, non quello che ti hanno imposto a forza, dicendoti che eri libero.

                                                Piero Visani

       

venerdì 24 luglio 2015

"Morte sulla Rocca" - Operazione "Flavius"

1. Tra tutte le forme di conflitto possibili, le guerre di liberazione nazionale sono le peggiori, e maggiormente lo sono quando il nemico non è nemmeno un vero e proprio straniero, ma un "estero vicino" (per usare una ben nota formula in uso in Russia), come nel caso dei celebri Troubles irlandesi.
        Come in tutte le forme di conflitto riducibili a questa tipologia (e non solo a questa...), si spara per uccidere e non si va per nulla per il sottile, nel farlo. Certo poi a posteriori si fanno accurate ricostruzioni degli eventi e dotte disquisizioni giuridiche, ma sul momento, cioè quando la parola passa alla "critica delle armi", si spara presto, auspicabilmente bene e cercando di fare il maggior numero di vittime possibile.
        La storia dell'Operazione "Flavius" ebbe inizio nella seconda metà del 1987, quanto i servizi segreti britannici appresero che l'IRA (Irish Republican Army) intendeva compiere un attentato contro la cerimonia del cambio della guardia che aveva abitualmente luogo al di fuori della residenza del Governatore a Gibilterra. In effetti, tre membri di punta dell'Esercito Repubblicano Irlandese - Sean Savage, Daniel McCann e Mairéad Farrell (quest'ultima una donna) - nel febbraio del 1988 partirono per la città spagnola di Malaga, dove noleggiarono delle auto per recarsi a Gibilterra. A Londra a quel punto scattò l'allarme rosso e - pare con l'approvazione dell'allora primo ministro Margaret Thatcher - una squadra di soldati del famoso SAS (Special Air Service, probabilmente la forza speciale più nota e celebrata del mondo) venne distaccata nella Rocca per bloccare i membri dell'IRA prima che potessero compiere l'attentato.
       Non si capirebbe nulla di quello che segue se, a questo punto, non si introducesse una serie di precisazioni. La prima e più importante è che, a partire dal 1970, lo Special Air Service era stato impegnato nell'Ulster contro l'IRA, in un ruolo che, nel giro di pochi anni, era diventato quello di esecutore materiale della shoot to kill policy voluta dal governo Thatcher. Quasi mai operanti in uniforme, gli uomini del SAS erano stati impegnati in un ruolo antiterrorismo che era consistito di fatto nell'eliminazione fisica di tutti i combattenti dell'IRA che fosse possibile sopprimere.
       Con lucida quanto cinica determinazione, il "Reggimento" (questa la sua più comune denominazione) aveva acquisito una fama di "seminatore di morte", nel senso che non faceva MAI prigionieri, ma uccideva tutti i combattenti dell'IRA nei quali si imbatteva.
       Con il tempo, questa politica era divenuta un autentico "marchio di fabbrica" del SAS ed è assolutamente impensabile ritenere che alcuni suoi membri fossero stati inviati a Gibilterra con un mandato diverso da quello di sopprimere fisicamente i potenziali attentatori dell'IRA. Pensarla diversamente è possibile e legittimo, ma urta contro una constatazione fondamentale: fino a quel momento lo Special Air Service non aveva mai fatto prigionieri, nella sua lotta pluriennale contro l'IRA. Per quale ragione avrebbe dovuto cambiare? Forse per accettare di rivestire un ruolo che ne avrebbe intaccato la fama di spietatezza? A nostro giudizio, questo è semplicemente impensabile.

2. Il 6 marzo 1988, alle 12.45 del mattino, uno dei tre combattenti dell'IRA - Sean Savage - entrò a Gibilterra a bordo di una Renault 5 e venne immediatamente identificato da un agente dell'MI5 (Military Intelligence 5), il servizio segreto britannico. Tuttavia, nulla venne fatto per impedirgli di parcheggiare l'auto nell'area di parcheggio dove di solito si radunava il reparto destinato alla cerimonia del cambio della guardia.
       Alle 14.30, Daniel McCann e la Farrell attraversarono il confine a piedi. Anch'essi vennero immediatamente individuati e seguiti fino al parcheggio, dove incontrarono Savage intorno alle 14.50. Pochi minuti dopo, tutti e tre si diressero a piedi verso il centro città.
        Non appena la piccola squadra dell'IRA si allontanò dal parcheggio, un membro del SAS - come sempre in abiti borghesi - esaminò l'esterno della Renault 5 e riferì che era possibile si trattasse di un'autobomba (affermazione che successivamente si rivelò del tutto infondata, in quanto a bordo dell'auto non era presente alcun esplosivo). A quel punto, altri quattro soldati del Reggimento - identificati con le lettere A, B, C e D - vennero allertati per procedere all'intercettazione degli elementi dell'IRA.
       Alle 15.40, la polizia di Gibilterra trasmise al SAS il comando delle operazioni in loco, conferendo loro l'incarico di procedere all'arresto dei potenziali attentatori. I quattro membri dello Special Air Service si avvicinarono agli elementi dell'IRA, che compresero di essere seguiti e decisero di dividersi, prendendo due direzioni radicalmente diverse: Savage verso sud, gli altri due verso nord.
       Fu a questo punto che ebbe luogo il contatto decisivo: il suono di una sirena di un'auto della polizia, innestata per sottrarsi alla morsa del traffico, particolarmente forte in quel momento, allarmò McCann e la Farrell proprio nel momento in cui i soldati A e B stavano per intercettarli. Cosa successe dopo è stato oggetto di aspre controversie, ma la versione più attendibile è quella che i due soldati del SAS spararono praticamente a freddo a McCann e alla Farrell, nella ormai collaudata logica del Reggimento, vale a dire "sparare per uccidere": il primo venne raggiunto da almeno 5-6 colpi, così come la seconda. Nel frattempo, i soldati C e D abbatterono Sean Savage con almeno 15 colpi.
       La consistenza del volume di fuoco e la precisione dei colpi, sparati sempre al torace o alla testa, in quantità massiccia, lasciano chiaramente intendere che l'obiettivo principale degli uomini delle forze speciali britanniche fosse quello di uccidere a freddo i propri nemici. Lo confermano le testimonianze raccolte sul posto, circa un mese dopo dall'evento, dai coraggiosi autori della trasmissione televisiva Death on the Rock, che venne trasmessa in prima serata dalla rete indipendente ITV già il 28 aprile 1988. Nonostante le pesanti interferenze del governo britannico, intese a impedirne la programmazione, la trasmissione venne reputata dagli organi di controllo mediatico un serio e fondato tentativo di condurre un'inchiesta giornalistica televisiva e, in effetti, fece molto scalpore, dal momento che, nel corso di 44 minuti di emissione, essa sostenne la tesi dell'omicidio a freddo, di una sorta di esecuzione programmata ed eseguita con durezza e cinismo estremi, con numerosi colpi sparati a distanza ravvicinata e altri addirittura appoggiando le pistole alle teste dei tre membri dell'IRA.
       Death on the Rock provocò un enorme scalpore in Gran Bretagna, con un vivacissimo scambio di accuse e controaccuse tra quanti sostenevano che si fosse trattato di un'esecuzione a freddo e quanti vedevano invece nel programma un deliberato atto di accusa contro il governo Thatcher in generale e il SAS in particolare.
       Un evento di tale gravità portò ovviamente all'avvio di un'inchiesta ufficiale relativa alle circostanze e ai metodi con cui l'Operazione "Flavius" era stata condotta. Nel corso di essa, la tesi portata avanti dal governo di Londra e dal SAS fu che il compito affidato alle forze speciali era quello di impedire ai tre membri dell'IRA di compiere un attentato terroristico che avrebbe potuto mietere molte vittime tra la popolazione civile e i turisti che si fossero recati ad assistere alla cerimonia del cambio della guardia. Di conseguenza, l'intercettazione dei presunti terroristi avrebbe avuto luogo prima che questi ultimi avessero potuto mettere in atto i loro proponimenti. Nel fare ciò, il terzetto dell'IRA avrebbe assunto un atteggiamento difensivo e reattivo che avrebbe indotto i soldati del SAS a fare uso di una minimum force, onde eliminare la minaccia.
       A smentire tale suggestiva tesi, tuttavia, restava il fatto che i corpi dei tre membri dell'Esercito Repubblicano Irlandese risultavano crivellati di colpi (quello di Sean Savage ne aveva subiti addirittura 18), erano stati colpiti anche alle spalle (e non si era mai parlato di un tentativo di fuga dei medesimi, ma semmai di reazione armata) e soprattutto risultavano colpiti alla testa a una distanza minima di 60 centimetri (il che autorizzava ad ipotizzare il ricorso a dei "colpi di grazia").
       Particolarmente negative si rivelarono le testimonianze dei numerosi civili che - da diverse prospettive - avevano assistito alla sparatoria, in quanto tutte concordavano sul fatto che l'ingaggio da parte degli uomini del SAS era stato estremamente aggressivo e palesemente inteso ad uccidere, non certo a catturare i tre membri dell'IRA.
       Le conclusioni dell'inchiesta furono ovviamente a favore della legittimità dell'operazione compiuta, che venne definita "un'uccisione legale" di terroristi da parte di membri delle Forze Armate britanniche.
       Circa due anni dopo i fatti, nel marzo del 1990, i parenti delle tre vittime dell'IRA si rivolsero alla Commissione Europea dei Diritti dell'Uomo, sostenendo che, nel corso dell'Operazione "Flavius", le autorità britanniche avevano violato l'art. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, quello che sancisce il "diritto alla vita". La Commissione ritenne complessivamente legittima la condotta delle autorità britanniche, ma decise comunque di sottoporre la questione alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, per un verdetto definitivo.
       Dopo un lungo dibattimento, la Corte giunse alla conclusione che la condotta dei soldati del SAS aveva comportato "un impiego eccessivo della forza", ma che a tale impiego essi avevano fatto ricorso nel convincimento (successivamente rivelatosi infondato), che i tre membri dell'IRA stessero per compiere un attentato molto grave. Di conseguenza, la Corte sentenziò che non c'era stata una violazione dell'art. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, non accolse la richiesta di riparazioni in denaro presentata dalle famiglie delle vittime, ma condannò il governo di Londra al pagamento delle spese processuali, cosa che quest'ultimo fece - molto malvolentieri - il 24 dicembre 1995, praticamente alla scadenza dei termini fissati dalla Corte.

3. La vicenda in sé si concluse nei termini testé citati, ma la sua importanza è paradigmatica del modo con cui il governo britannico ha sempre affrontato la questione del "terrorismo" irlandese e, sotto altri punti di vista, il ruolo del celeberrimo SAS.
       Appare evidente, nel caso di specie, come il ricorso alla più qualificata e temuta unità delle forze speciali britanniche non rappresentasse una scelta casuale, bensì un indizio preciso di come il gabinetto Thatcher intendesse risolvere la questione, vale a dire con una estrema ostentazione di forza. Ricorrere, per effettuare un'operazione del genere, allo Special Air Service, stava ad indicare che fin dall'inizio si intendeva uccidere tutti i membri dell'IRA coinvolti nel presunto attentato, perché quella era la politica che il SAS aveva sempre praticato e intendeva continuare a praticare.
       Si possono condurre le disquisizioni più forbite sul tema, ma è innegabile che l'azione del SAS venne concepita ed eseguita nel solo intento di uccidere. Non è intenzione di chi scrive fare considerazioni moralistiche sul tema, ma è una scelta che si pone in linea con la decisione, presa il 30 gennaio 1972, di utilizzare il 1° Battaglione del Parachute Regiment per soffocare i disordini indipendentisti nella città di Derry, in Irlanda del Nord. L'utilizzo di un reparto militare d'assalto, molto motivato ed aggressivo, in un contesto di violenza urbana, portò infatti ad una strage (14 morti e 14 feriti).
       Questa soluzione è confermata e contrario dal fatto che il governo britannico, se avesse fatto compiere al SAS un'azione militare in cui i membri del Reggimento non avessero ucciso tutti i presunti terroristi, ne avrebbe gravemente compromesso la fama di spietatezza sulla quale esso aveva costruito il suo mito. Farlo agire diversamente, fargli prendere prigionieri, avrebbe danneggiato, non illustrato, la sua immagine. Questa considerazione ci consente di concludere, su base motivata, che il governo di Londra di fatto preparò e realizzò un ben concepito agguato, dando prova di un'eccellente capacità di gestire le proprie forze speciali, capacità che risaliva al Secondo conflitto mondiale e che, da allora, non è mai venuta meno. Come dovrebbe risultare evidente, non è un giudizio politico, il nostro, ma meramente tecnico, basato su una valutazione tecnica di quei tragici eventi. Tutte le testimonianze fornite al riguardo da quanti ebbero la ventura di assistere all'operazione sono concordi in tal senso e, a tale proposito, consigliamo vivamente la visione della trasmissione televisiva Death on the Rock, facilmente reperibile su "Youtube":





                                    Piero Visani
    

giovedì 23 luglio 2015

Vecchi amici, vi saluto


       Un altro amico se ne va. Non va lontano. Resteremo in contatto. Va in un cosiddetto paradiso fiscale e, siccome lo conosce bene, da anni, mi racconta gustosi retroscena su soggetti che hanno trasformato l'Italia in un "inferno fiscale", che ci fanno la morale e che hanno tutto il patrimonio all'estero, oltre a società e case, ma qui fanno i moralisti.
       L'amico in questione lavora nel settore finanziario, per cui sa molte cose di molta gente. Ha ritenuto non fosse più "igienico" esporsi a possibili pericoli.
       Non ci perderemo di vista. Lui sa che da tempo è in atto una "guerra per bande" su scala planetaria, non ha avuto bisogno di attendere che il generale Fabio Mini ne scrivesse su "Limes". Diciamo che, per tutelare la sua posizione, ha preferito rifugiarsi in un "santuario", come scrivono gli esperti di strategia quando parlano di conflitti e modalità per sottrarvisi.

                           Piero Visani

Mi meraviglio della meraviglia


       La bottiglia volata sul palco nel corso della penosa trasmissione di Gianni Riotta dovrebbe ricordarci solo una cosa: che, se è vero - come recita un antico adagio - che chi semina vento raccoglie tempesta, pensate un po' cosa potrà mai raccogliere chi semina dolore, ingiustizia, disuguaglianza, iniquità, sofferenza, e chi dice pure che è il migliore dei mondi possibili.
       Non occorre aver letto saggi sociologici per constatare di persona il livello altissimo di tensione, insoddisfazione, frustrazione e violenza presenti nella società italiana, livello che fa scoppiare risse e alterchi per futilissimi motivi, che un tempo si sarebbero risolti con un sorriso e qualche scusa formale.
       Siamo sottoposti da tempo a una pioggia di fattori di distruzione di ogni forma di coesione sociale, di forte repressione e di deliberata soppressione di ogni forma di giustizia e diritto che si accompagna - suprema ironia! - a tirate buoniste che contrastano radicalmente con ciò che ciascun cittadino non appartenente alla "casta" deve subire ogni giorno.
       Se qualcuno pensa che finirà bene, sta sbagliando i propri calcoli. E non parlo di vinti o vincitori, parlo del fatto che non finirà bene. E' molto diverso.

                              Piero Visani


mercoledì 22 luglio 2015

Gay e vongole

       La faccia surreale dell'Europa, un po' come "Messico e nuvole, la faccia triste dell'America". E la conclusione è (quasi) la medesima che nella celebre canzone di Jannacci: "che voglia di piangere (o di ridere?) ho"...

                              Piero Visani


Nascita di una leggenda


       E così, il 21 luglio di 154 anni fa, il generale Thomas Jackson diventò il mitico "Stonewall": "Look at General Jackson, he stands like a stone wall!" (Prima battaglia di Bull Run, Virginia, 21 luglio 1861). Lo fa ancora oggi e, se non piace ai fautori del "politicamente corretto" e ai promotori dell'ISIS, non me ne può importare di meno.
       Il conformismo è una cosa noiosissima e al massimo consegna alla cronaca. Alla Storia, mai!

                                  Piero Visani



Lontano lontano


       Saluto un amico in partenza per molto, molto lontano. E' una fetta della mia vita, un amico vero. Chissà se lo vedrò mai più.
       Mi regala, con gesto di sfida, un pacchetto di raccomandate di Agenzia delle Entrate, Equitalia, INPS, INAIL e via parassitando.
      Sorride amaro: "Dovranno mantenersi senza di me, questi cari amici".
       L'ennesima impresa che se ne va; un produttore con un certo numero di anni meno di me, ancora attivo, propositivo e con due figli al di sotto dei trent'anni.
      L'imperativo che lo spinge a partire è il mio: "ingrata Patria, non avrai le mie ossa". Lasciamo che i vampiri si nutrano di sangue altrui, non del mio.
      L'uomo ha tecnologia, conoscenze, relazioni, know how. Ergo, che ci sta a fare qui? Siamo nel mondo della globalizzazione - come ci dicono ogni giorno - e uno va dove può sperare di trovare ancora una vita dignitosa e vivere senza l'incubo quotidiano delle cartelle fiscali e delle raccomandate.
       Fingiamo allegria e disinvoltura, ma siamo entrambi tristi. Abbiamo molto amato l'Italia, abbiamo sfidato l'emarginazione culturale e sociale, insieme, ma ora non ci resta più niente.
    I governi cosiddetti di centrodestra sono stati, per noi, infinitamente peggiori di quelli di centrosinistra, e ora lui se ne va. Fa bene, ha anche molti più soldi di me e dunque va incontro alla vita, non alla morte. Lo invidio.

                                Piero Visani

martedì 21 luglio 2015

Miserie, umane e no

       Negozi chiusi, ma non per ferie. Per cessazione di attività da morte economica e fiscale.
       Strade semivuote, da calura.
       Un'umanità dolente, alla quale l'afa fiacca uno spirito già provato. Gli sguardi sono vacui, puntati verso l'infinito, come se anche il clima, insieme a tutto il resto, fosse diventato una maledizione.
       Si vaga, in questa bollente mattinata di luglio, da un ufficio pubblico all'altro, nella più assoluta insensatezza.
       Nessuno protesta. Gli occhi sono spenti. Decenni di macelleria sociale programmata, deliberata, scientemente perseguita, hanno annientato ogni volontà reattiva.
       In un Paese dove non è mai esistito uno spirito pubblico, ciascuno pensa per sé, sperando di riuscire a fare il miracolo: chi praticando l'ennesimo atto di sottomissione, chi cercando la fuga all'inglese, chi facendo il proprio "dovere di cittadino".
        Il clima - non quello meteorologico - è da basso impero. Il sentimento è da "i barbari sono alle porte".
       Molti di questi presunti "barbari" si aggirano per questi uffici, incapaci - al pari di noi - di trovare una ratio al loro vuoto agitarsi in questo trionfo dell'insensatezza di Stato.
       Gli occhi dei più intelligenti di loro sono vivi, attenti. A volte puntano i miei e li trapassano come raggi X. Cerchiamo di capirci. Quegli occhi forse si chiedono se i miei sono gli occhi di un nemico, ma i miei non lo sono.
       Guardo questi giovani appartenenti a molti Sud del mondo, li scruto con interesse. Alcuni sono molto diffidenti, altri meno. Nessuno però è rassegnato o vinto o spento come i connazionali che mi circondano. Lo sguardo è altero. Non sono ancora servi né apparentemente disposti a diventarlo. Non subito, non senza combattere.
       Come si può considerarli nemici? Sono estranei, certo. Non vengono da questi luoghi, ma hanno una fierezza e una volontà di combattimento che noi abbiamo perso probabilmente dal 1945, senza più ritrovarle.
       Non li sento nemici. Magari loro mi considerano tale, ma io non considero tali loro. Sono una delle ultime opportunità che ci rimangono. Sono disperati, esattamente come molti di noi, esattamente come lo sono io. Non hanno nulla da perdere, esattamente come non ne ho io. Mi travolgeranno? Possibile. E i miei "fratelli bianchi" che cosa hanno fatto, di me e per me? Mi hanno distrutto - consapevolmente, scientemente - insieme al mio Paese.
       Dovrei aver paura di loro? No. Loro sono un'opportunità, una splendida opportunità, se per una volta, almeno per una volta, non ci facciamo scegliere il nemico da chi ci odia e ci vuole ancora più ridotti in schiavitù di quanto siamo già, oppure aizza i più ingenui di noi per farne le sempiterne "guardie bianche" di un potere altrui. Se non fosse una storica maledizione di totale insipienza che ci portiamo dietro da decenni, sarebbe già nata una naturale alleanza. I proletari di tutto il mondo - o se vogliamo chiamarli, con termine più moderno, underdog - non hanno oggi altra speranza se non quella di unirsi. A meno che - in un atto di suprema stupidità - non vogliamo continuare a considerarci un "popolo ricco", uno di quelli che deve difendere il suo "benessere" da sguardi vogliosi di preda. Allora mi permetto un piccolo consiglio: girate in certe periferie e in certi centri storici italici, per vedere quanto siamo ricchi. Guardate quello che vi rimane in tasca dopo aver fatto le quotidiane corvées nei riguardi della classe politica e delle burocrazie, per vedere quanto siete ricchi e per chi state in realtà lavorando...

                                     Piero Visani