giovedì 30 luglio 2015

Estate 1972

       St. Mary's College, Strawberry Hill, Twickenham, Greater London.
       Un college per studenti di inglese, provenienti da tutta Europa. Solo 3 italiani, oltre a me.
       L'impatto forte con il mondo esterno, dopo vacanze meno impegnative e meno lunghe.
      Arrivo nel pomeriggio, vado a cena e ho appena il tempo di sedermi nel bel refettorio del college che vengo "abbordato" da una avvenente madrilena, con la quale si svilupperà la classica storia estiva, che per noi sarà relativamente lunga, vista la durata delle rispettive vacanze.
       La giovane iberica non pare particolarmente disposta all'intercourse. E' figlia di una cultura latina, per di più ancora sotto il peso franchista, e la mamma deve averle sicuramente insegnato che certe "ricchezze" si gestiscono, più che spenderle...
        Mi rifaccio con gli interessi con una finlandese e una bella svedese, le quali, da brave scandinave, hanno una concezione radicalmente diversa del sesso.
         Mi tengo lontano dalle inglesi, all'epoca accompagnate da qualche leggenda (o verità...?) sulle loro abitudini igieniche, e mi rovino un promettente rapporto con una splendida rossa dell'Ulster - lei docente, non studente - dopo averle fatto una terribile tirata filo-IRA e filo-indipendentista, da lei troncata con un gelido: "mio padre è colonnello dei 'Royal Ulster Fusiliers'" (in una parola, dell'Esercito britannico...)" [una delle maggiori e più divertenti topiche della mia esistenza, che ancora oggi mi procura una grande ilarità].

       Si dice che uno ricordi il passato con occhio tenero e con innegabile rimpianto, e certamente è così, se si guarda al solo dato anagrafico, ma nulla di quei giorni può farmi dimenticare che non ero poi così diverso da adesso, con gli stessi problemi, gli stessi tormenti, le stesse ansie.
       Vedevo un mondo intorno a me di cui capivo poco e condividevo meno, e avevo appena cominciato a smettere di chiedermi di chi fosse la colpa, perché - a forza di letture - stavo iniziando a convincermi che non fosse la mia, ma restavano le mie difficoltà di rapporto con gli altri, che mi accompagneranno per tutta la vita, senza trovare mai una reale soluzione.
       Ero pieno di sdegno per ciò che stava accadendo in Ulster (erano passati appena sei mesi dal "Bloody Sunday" del 30 gennaio 1972 a Derry) e vi feci in segreto la mia prima incursione, senza dire nulla ai miei. Quello che vidi accentuò il mio senso del tragico, già forte fin dalla nascita, e il mio orrore per le ingiustizie, sempre molto pronunciato.
       Cercai rimedio nel sesso e nello sport, che per me sono sempre state due forme diverse di attenuazione dell'horror vitae. E alla fine scoprii che la cosa migliore su cui potevo contare era parlare con me. Accentuai la mia propensione allo scrivere, ma - se devo ricordarmi qualcosa di quei giorni di 43 anni fa - ricordo molto dolore, molta sofferenza, molte tristezze. In una parola, non ho un ricordo edulcorato di quei giorni. Ho semmai un ricordo di sofferenze di vario tipo, certo sfumate dal tempo, ma in cui tutto appariva in qualche maniera irraggiungibile: il corpo di una donna più ambita di altre, la libertà d'Irlanda, la mia ricerca di autoconsapevolezza.
       Tuttavia, non ho mai sentito una reale esigenza di cambiare: quello ero io e a me andava bene così. Cercavo una rappresentazione di me stesso che, per me, fosse pienamente soddisfacente, e devo ammettere che, nel complesso, l'ho trovata. E' per questa ragione che il rimpianto, l'atteggiamento classico de laudator temporis acti, per me non ha senso alcuno. Non rimpiango niente, nemmeno la giovinezza, perché ho vissuto tutta la mia vita esattamente come ho scelto di viverla. Che cosa dovrei rimpiangere? Ho difeso la mia identità. Ad alcuni è andato bene, ad altri per niente. Massimo rispetto per tutti.

                           Piero Visani