sabato 9 gennaio 2016

Il rapporto tra politica e cultura


       Ogni volta che scrivo un intervento che può più o meno piacere, ricevo cortesi inviti ad aderire a questo o a quello, oppure esortazioni a smettere di scrivere e a "darmi da fare".
       L'ho fatto, in passato. Ho 65 anni, dunque ho un passato. Il compito che mi è stato affidato, in tutte le esperienze politiche che ho fatto, è sempre stato quello di LECCARE LE TERGA al ras di turno: fosse quello di sezione, di regione o nazionale.
       Non lo farò mai più. Non farò mai più l'intellettuale organico di tipo gramsciano, anche perché la definizione - nella mentalità dei politici italiani - si identifica con "intellettuale di guano". Ergo "non legherò l'asino dove vuole il padrone, perché non ho padroni" e non terrò chiusa la bocca perché "di certe cose è opportuno non parlare, in quanto non è il momento".

        Io identifico il mio compito con il preparare pallottole intellettuali, che possibilmente facciano male al nemico. Non le ho mai viste usare dai politici, o solo per spararmi addosso.
       Non voglio niente da alcuno: né incarichi, né prebende, né niente di niente. Tenuto conto del livello medio degli europei, pretendo solo la patente di "teschio di cazzo". Mi basta. Me l'hanno già data in molti, ergo non mi serve nemmeno più chiederla. Quanto ad andare a incollare manifesti (che è il massimo richiesto agli aderenti italiani ai partiti, a parte ovviamente il diritto ad addentare una fetta di torta...), ci vada chi ne ha la vocazione. La confusione dei ruoli è la peggiore forma di OMOLOGAZIONE. Ricordarselo, specie se si è antiegalitari...

                               Piero Visani