giovedì 25 febbraio 2016

(Non) pensare la guerra


      Non esiste alcuna differenza di valutazione e comportamento tra il governo italiano, che firma di soppiatto un accordo con gli USA per fingere di NON fare la guerra in Libia mentre in realtà la sta facendo, e i giovani dei collettivi studenteschi che hanno più volte tentato di impedire al professor Panebianco di fare lezione ed esprimere le sue opinioni sulla natura dei conflitti nel mondo contemporaneo.
       Tanto il primo quanto i secondi, infatti, condividono la stessa visione irenica del mondo e dei rapporti tra Stati, e sono figli dello stesso humus ideologico, una sorta di cattocomunismo pacifista dalle solide radici. Poco importa che il governo Renzi adotti tale comportamento per assoluta ignavia e i teppistelli dei collettivi per più aperta inclinazione ideologica. Il retroterra è comune e consiste nel non voler pensare la guerra, vale a dire una delle più importanti, formidabili e durature manifestazioni dell'animo umano e della vita di relazione, individuale e collettiva.
      Al professor Panebianco, ad esempio, si è più volte cercato di impedire con le maniere forti di svolgere le sue lezioni, e già questo è un chiaro indizio di come in realtà questi giovani approvino e applichino uno dei principi fondamentali della guerra stessa, cioè l'esercizio della violenza.
       Una radicata tradizione storica afferma il principio che gli italiani "non amerebbero battersi" e la nostra cultura collettiva, da "Tutti a casa" a "Mediterraneo", è fatta da tristi figure di piccoli speculatori, privi di qualsiasi substrato etico, che hanno come unico obiettivo di salvare la pelle, possibilmente a scapito di tutto e di tutti. Non pochi altri popoli hanno avuto un 8 settembre 1943, ma solo quello italiano ne va fiero, omettendo di ricordare che, da quel giorno, esso ha sottoposto a dannazione internazionale la sua immagine collettiva, e che ancora deve recuperarla.
       E lo spirito dell'8 settembre (o dell'"Italia caporetta", come avrebbe commentato Mario Silvestri) è sempre qua, negli accordi sottobanco con gli USA per fare una guerra che non vorremmo fare ma che la nostra natura di Stato cliente ci obbliga a fare, accompagnando il tutto con degli "escamotages" penosi, per fingere che siamo uno Stato normale e non cialtrone.
     Intendiamoci, chi scrive non parteciperebbe in alcun modo alle guerre americane, ma non andrebbe fatto così. Sarebbe sufficiente una scelta di indipendenza nazionale stile Sigonella, per dire. 
       In definitiva, il nostro "non pensare la guerra" resta una componente profonda del nostro carattere nazionale. Come può infatti pensare una cosa tragicamente seria un popolo che è ridicolmente cialtrone, dalle sue classi dirigenti a molti dei suoi cittadini? Come può imparare a guardare in faccia la realtà, quando bastano sciocche menzogne a illuderlo? Come può pensare a sopravvivere in un mondo di lupi, comportandosi da stupida pecora?
       Ci hanno insegnato che sopravvivere a tutto e a tutti - il mitico "Franza o Spagna, purché se magna" - sia la nostra peculiarità storica migliore e infatti, come popolo, stiamo morendo molto prima e molto più in fretta di altri. Rincorrendo guicciardinamente il nostro "particulare", abbiamo perso clamorosamente il nostro appuntamento con il generale (o forse era il "Generale" di Francesco De Gregori, quello dove "la guerra è bella, però fa male"...?): Molto meglio morire di suicidi da usura di Stato. Dopo tutto, il suicidio - come popolo - è nel nostro DNA.

                         Piero Visani