mercoledì 31 agosto 2016

True Detective 2

       Ho visto questa seconda serie dietro suggerimento di mio figlio, opponendo non poche resistenze, motivate dal fatto che la prima serie, dopo avermi esaltato fino all'ultima puntata, mi aveva davvero infastidito con il suo immotivato lieto fine e la "svolta mistica" (invero francamente penosa).
        Alla fine della seconda, posso dire che non mi ha deluso e che resto un estimatore di Nic Pizzolatto, l'autore. Di fatto, non ritengo che ci sia nemmeno una storia, ma che la serie sia solo un pretesto per evidenziare il peso intollerabile che grava sulle nostre vite - del tutto omologabili, fatte le dovute differenze - alle vite dei protagonisti: il peso di una vita senza giustizia, senza diritti, senza verità, senza valori, senza più nulla di nulla, dove tutto altro non è che un violento orrore, dove non esiste speranza alcuna, se non quella di morire, e di farlo in fretta, al punto che tutte le soluzioni per accelerare quell'esito sono preferite e preferibili.
       Una vita invivibile, in una parola; un autentico delirio. Come in tutti i deliri, ciò costringe autore e registi alla sovrarappresentazione della realtà, ma, se guardiamo bene, ci accorgiamo che tale sovrarappresentazione non è per nulla tale, è solo un bel modo per definire quella che per noi, immersi nel nostro quotidiano, è solo una pura e semplice rappresentazione, e spesso addirittura una sottorappresentazione.
       Perché - è bene sottolinearlo - da tempo l'orrore della realtà in cui siamo immersi ha superato largamente la dimensione orrifica che è possibile allestire in un serial o in un film. Ancora più rivelatore, sotto questo profilo, è il fatto che i personaggi sfilano come autentiche monadi lungo i loro percorsi esistenziali, senza intersecarsi mai, se non fuggevolmente, con quelli altrui, che transitano al loro fianco come su binari, parallele dirette in solitudine verso l'infinito.
       La rappresentazione, in una parola, è ormai incapace di contenere tutto l'orrore della realtà in cui siamo immersi. Riesce meglio, semmai, a farcene sentire lo spirito, perché, in ciascuna ora di puntata, il nostro animo risulta progressivamente gravato da pesi che avevamo già, che conoscevamo già, che avevamo cumulato durante la giornata e che ci attendevamo di accumulare ulteriormente il giorno dopo. In questo senso, la funzione del serial non è liberatoria, ma esplicativa: ci spiega come possiamo liberarci dal "migliore dei mondi possibili" che con tanto amore la società occidentale ci ha procurato: con il suicidio o con l'omicidio. Per chi ci aveva promesso libertà e giustizia, un grande traguardo... Chapeau, but "Never mind...!".

                                     Piero Visani