venerdì 2 settembre 2016

Comunicazione istituzionale - Una testimonianza

       Non scrivo certo per difendere il ministro Lorenzin: non mi interessa e non è il mio ruolo. Vorrei però portare una testimonianza su quasi vent'anni passati a occuparmi di comunicazione istituzionale per conto dell'istituzione militare.
       La prima cosa da sottolineare è come si arriva in certe posizioni: per cooptazione, solo ed esclusivamente per cooptazione. Nel 1988 arrivò a dirigere il neonato CEMISS (Centro Militare di Studi Strategici) il generale Carlo Jean, che lo aveva fortemente voluto, e portò con sé un gruppetto di "giovani turchi", tra cui il sottoscritto.
       Sulla scorta di sollecitazioni varie e delle mie personali inclinazioni, cominciai ad occuparmi di comunicazione dell'istituzione militare e, dopo qualche anno, nel quale avevo raccolto una notevole stima, cominciai ad avere a che fare con i "creativi", cioè con coloro che erano chiamati a tradurre in pratica la comunicazione dell'istituzione militare.
       A quel punto, cominciai ad accorgermi di varie cose: la prima fu che molti dei vertici delle Forze Armate dell'epoca all'interno dell'ambiente dicevano una cosa, e magari sulla base di quella cosa raccoglievano consensi, poi si dovevano confrontare con il ministro della Difesa e con il mondo politico e, nel 99 per cento dei casi, quella cosa diventava tutta un'altra, spesso addirittura l'opposto: "ma bisognava, sopra ogni cosa, salvaguardare... [il posto] (in verità, la versione originale di Robert Brasillach parlava di onore, ma qui non è proprio il caso di ricordarlo...).
       La seconda fu che, essendo raramente autorizzato a partecipare ai briefing con i "creativi", non ero sicurissimo di che cosa accadesse realmente all'interno dei medesimi. Io fornivo delle direttive comunicative di massima a taluni vertici delle Forze Armate e costoro, con il supporto dei rispettivi uffici di pubblica informazione di Forza armata, avrebbero dovuto farle tradurre in campagne comunicative vere e proprie.
       Dopo alcuni casi di autentica eterogenesi dei fini, cioè in cui la comunicazione istituzionale avrebbe dovuto - nelle intenzioni di partenza - progressivamente tendere a riprendere una natura militare ed era invece sfociata nelle sempiterne melensaggini sui "soldati di pace", chiesi e ottenni di poter parlare con chi di dovere per avere delle spiegazioni. Il colloquio lo ebbi, le spiegazioni no: o meglio ne ebbi una, molto credibile peraltro: "Sa, dottor Visani, noi possiamo anche sostenere certe tesi [e di questo, per la verità, io non mi sentivo per nulla sicuro...] ma poi, quando il progetto si concreta in un contratto, ne perdiamo il controllo...". Per nulla scoraggiato, feci presente che un contratto si paga se i beni o i servizi che vengono forniti in base ad esso sono conformi ai contenuti stabiliti nel medesimo e, a quel punto, mi venne fatto notare - invero con un certo imbarazzo - che alcuni dei più importanti contratti in quel campo erano gestiti da società che ruotavano intorno a un noto personaggio delle comunicazione televisiva (di allora e di ora...), per cui, se alla fine la comunicazione militare risultava l'esatto contrario di quella che avrebbe dovuto essere negli intenti originari, non ci si poteva mica fare nemico un "pezzo da novanta" come quello...
      L'unico soggetto che mi concesse il suo appoggio incondizionato fu il generale Goffredo Canino, capo di Stato Maggiore dell'Esercito nel periodo 1990-1993. Grazie a lui, con il quale l'intesa fu immediata (essenzialmente, credo, per ragioni caratteriali, in quanto egli era un lone rider esattamente come me), fu possibile varare qualche campagna istituzionale meno insipida, ma - guarda caso - il generale Canino venne travolto dallo scandalo della cosiddetta "Lady Golpe" (Donatella Di Rosa), che non riguardava direttamente lui, ma che colpiva l'onorabilità di alcuni sottoposti, a tutela della quale egli preferì dare le dimissioni dall'incarico.
       Uscito di scena Canino, si tornò alle vecchie e "buone" abitudini: ottimi intenti iniziali ed esiti pacifistici come da copione, al costo di centinaia di milioni delle vecchie lire per il contribuente. Continuai a sostenere le mie tesi, vieppiù guardato come un "soggetto incapace di adeguarsi", che in Italia è un'accusa professionalmente mortale. Posso peraltro dire di non aver mai parlato bene dell'ossimoro "soldati di pace". Mi basta. Ho una dignità, io...

                                 Piero Visani