sabato 11 febbraio 2017

Maida Vale, London

       Luglio 1972. Una calda estate. La mia seconda vacanza di studio in college in Inghilterra, dopo quella dell'anno precedente. In college stavo a Twickenham, cittadina della Greater London, nella contea del Middlesex, e tuttavia, non appena finivano le lezioni pomeridiane (non ricordo se alle 16 o alle 16.30), correvo alla stazione a prendere il treno che portava al centro della metropoli.
       Mia era la mia terza "conquista" di quella vacanza spensierata, dopo una spagnola e una finlandese. Eravamo compagni di classe, al college, ma la sua conoscenza dell'inglese era ben superiore alla mia. Ci aveva avvicinato l'attrazione che ho sempre provato per le donne belle ma problematiche. E lei era molto bella: ben oltre il metro e settanta d'altezza, occhi azzurrissimi, capelli biondi, lunghe gambe affusolate, non un etto di grasso (peculiarità che tendo ad apprezzare ad infinito, essendo la figura da modella il mio personale archetipo femminile).
      Avevamo cominciato ad uscire insieme verso la fine della mia vacanza inglese, poco dopo che lei, arrivata nel college molto dopo di me, era stata inserita nella mia classe. Mi aveva colpito la profonda tristezza che traspariva dal suo sguardo e subito volli saperne le ragioni. Non mi interessano le felicità, mi interessa la tristezza e i modi con cui un uomo può aiutare una donna (bella) a togliersela di dosso. Temo sia una condanna esistenziale, peraltro da me vissuta consapevolmente.
      Cominciammo presto ad uscire insieme, dopo che lei ebbe accettato senza problemi di fare con me una gita a Richmond, splendida cittadina nelle vicinanze, provvista di un enorme parco. Poi le nostre peregrinazioni cominciarono ad estendersi, la confidenza crebbe e Mia mi raccontò la causa della sua apparentemente ineliminabile tristezza. Era rimasta orfana di padre e madre, deceduti in un terribile incidente stradale, all'età di 12 anni, insieme a una sorellina di 6. Il servizio sociale di Malmoe, città da cui proveniva, aveva ritenuto del tutto errato, sotto il profilo psicologico, distogliere lei e la sorella dalla casa di famiglia, per cui le aveva fornito un consistente contributo finanziario e l'assistenza pressoché continua di due assistenti sociali, a lei e alla sorella, perché potessero terminare gli studi in ambiente familiare.
       Quando la conobbi, poteva avere 20-21 anni e di lei mi affascinavano - come sempre mi è accaduto - i repentini sbalzi di umore, il suo passare da una gioia sfrenata a una tristezza apparentemente ineliminabile, il tutto intervallato - come è stata peculiarità di tutte le scandinave che ho conosciuto - da lunghi periodi di "calma piatta", in cui avrei potuto chiederle: "ma ci sei, sei connessa?".
       Le nostre lunghe peregrinazioni londinesi, che cominciavano intorno alle 17 e potevano finire anche all'albeggiare del giorno successivo, ci portarono un pomeriggio davanti ai mitici studi di Abbey Road. Erano passati meno di tre anni dalla pubblicazione del celeberrimo album dei Beatles e la via era già oggetto di pellegrinaggio. Dopo aver dato uno sguardo in giro, ci allontanammo a piedi per il quartiere, decisi a raggiungere Regent's Park. Fu così che, senza saperlo, finimmo in Maida Vale.
       Mia lo lesse nell'indicazione all'angolo della via e commentò: "Che buffo nome!". Io sorrisi, sapendo bene a che cosa si riferiva, ma tacqui, come faccio sempre in casi del genere, per non risultare saccente.
       Percorremmo due o tre isolati, ma alla fine Mia si fermò di nuovo di fronte al cartello toponomastico e sbottò: "Ma chissà a cosa si riferisce?".
       Non mi trattenni più: "Si riferisce alla battaglia di Maida, in Calabria, combattuta il 4 luglio 1806 tra truppe francesi e inglesi, rimasta piuttosto famosa nella storia militare perché - secondo fonti britanniche - sarebbe stata la prima volta in cui gli inglesi, combattendo in linea e disponendo quindi di una superiore potenza di fuoco, ebbero ragione dei francesi, che avanzavano in colonna e potevano quindi contare su un volume di fuoco decisamente inferiore. Una peculiarità tattica che sarebbe continuata, praticamente senza varianti, fino a Waterloo, e che avrebbe quasi sempre visto i francesi soccombere". [All'epoca, ancora non sapevo che, quasi trent'anni dopo, nel 1998, questa interpretazione tradizionale sarebbe stata contestata, quanto meno in relazione al solo scontro di Maida, da un certo numero di storici, e mi rifacevo dunque alle fonti più note].
      Di fronte alla mia dotta spiegazione, Mia ebbe una reazione che, da allora, la storia militare (quantunque io abbia insistito a spiegarla ad un certo numero di signore...) non ha provocato più: mi afferrò di scatto e, benché fossimo sulla pubblica via, mi diede un interminabile French Kiss che mi lasciò vagamente interdetto e stordito perché, fino ad allora, i nostri rapporti erano stati parecchio freddini. E commentò ammirata: "You are a great military historian!"  Quella stessa sera, al college, la battaglia di Maida (alla quale sono ancora oggi simpaticamente legato) mi giovò un premio anche maggiore...
      Non sono più tornato, da allora, a vedere quello specifico punto di Maida Vale, anche se lo ricordo nitidamente ancora oggi. Mia la persi di vista quando le mie vacanze di studio in Inghilterra finirono e, sebbene il giorno in cui partii per l'Italia sembrasse affranta, non rispose mai alle mie lettere, come nella più classica delle storielle estive giovanili.
       Un ricordo che mi ha fatto sovvenire l'importanza, a tutti i livelli e gli effetti, di una solida conoscenza della storia militare. Quella, bene o male, non mi è mai mancata. I "vantaggi collaterali" che sarebbero potuti derivarne, ahimè, sicuramente sì.

                                Piero Visani