giovedì 30 novembre 2017

Il "vero crimine" e la "giustizia dei vincitori"

          Nella quarta di copertina dell'aureo libro La giustizia dei vincitori. Da Norimberga a Baghdad (Laterza, Roma-Bari 2006), scritto dal professor Danilo Zolo, noto esperto di diritto internazionale, si leggono queste parole: "C'è una 'giustizia su misura' per le grandi potenze occidentali, che godono di un'assoluta impunità per le guerre di aggressione di questi anni, giustificate come guerre umanitarie o come guerre preventive contro il terrorismo. E c'è una 'giustizia dei vincitori' che si applica agli sconfitti e ai popoli oppressi, con la connivenza delle istituzioni internazionali, l'omertà di larga parte dei giuristi accademici e la complicità dei mass media. In realtà solo la guerra persa è un crimine internazionale" [la sottolineatura è mia].
       Non è un caso di tornare qui su temi ben noti come la "criminalizzazione della guerra", tipica delle società occidentali, dove tutto è guerra, ma è guerra di tutti contro tutti, il che favorisce le procedure di controllo di chi sta in alto a carico dell'obbligato ossequio di chi sta in basso. Ma si può facilmente fare riferimento all'attuale totalitarismo umanitario, quello per cui, se non ti adegui alle falsità occidentalocentriche, sei passibile di qualsiasi sanzione, meglio se capitale... Perché hai dimenticato un fatto fontamentale: i morti che fanno gli occidentali MUOIONO MENO di quelli che fanno gli altri. E tu sei un criminale non in quanto tale (quante volte l'Occidente si è avvalso e si avvale di criminali? Rivedersi - per rinfrescarsi la memoria - il film completo della soppressione del colonnello Gheddafi...) ma semplicemente perché hai perso, perché sei inferiore, perché sei contrario a quello che pensiamo noi".
       Di fronte a tutto questo, a parte l'opposizione armata, non resta molto altro da fare, se gli esiti sono stati negativi, che testimoniare con la propria vita, di fronte all'occidentalismo, che non tutto può essere ridotto a merce, magari a merce di scambio e che il terrorismo umanitario va bene per le gigantesche farse che esso è in grado di mettere in scena in tribunali PRIVATI spacciati per internazionali. NON TUTTO, INFATTI, E' MERCE; NON TUTTO E' FINZIONE. LA VITA E' VERA E LA SI PUO' SACRIFICARE TRANQUILLAMENTE COME ATTO DI SUPREMO SPREGIO PER COLORO CHE ANCHE DELLA VITA E DEL DIRITTO SONO RIUSCITI A FARE MERCE. Era ed è conforme alla loro infinita bassezza, dunque nulla di cui sorprendersi. E' un nuovo "Gott mit uns", ma le "anime belle" che lo appoggiano (quelle che lo propugnano non sono per niente "anime belle"...) corrono felici verso l'abisso. Il nuovo pifferaio di Hamelin emette la sua musica "melodiosa" e loro corrono ovinamente felici verso l'abisso del nuovo terrorismo "umanitario".

                  Piero Visani



martedì 28 novembre 2017

Dalla "realtà virtuale" alla "virtualità reale" - 2

       Mi ero già soffermato su questo tema in passato, sempre nel mio blog, ma sono indotto a ritornarvi su sulla scorta delle assurde polemiche di questi giorni sulle "fake news" e sulla necessità, propugnata da molte parti, di combattere le "bufale".
        Una prima, inevitabile riflessione è che i falsi giornalistici e propagandistici sono sempre esistiti e hanno caratterizzato la storia umana, dalla notte dei tempi alla nascita della stampa moderna, per poi assumere forme sempre più complicate e raffinate. Già nel 1998, nel mio saggio Lo stratega mediatico (Roma, Cemiss - Rivista Militare), avevo delineato le linee di fondo di una situazione in continua evoluzione. Da allora la situazione si è ulteriormente complicata e oggi, affrontarla in una semplice logica di confronto tra vero e falso, o di utilizzazione strumentale di vero e falso, non ha più senso alcuno, perché fa astrazione di un interrogativo cruciale, che non viene posto mai abbastanza: quale significato ha oggi - nella società della virtualità più totale - parlare di "vero" e "falso"? Che cosa è "VERO"? Che cosa è FALSO"?
     La corsa verso la modernità è una corsa verso un costante incremento della complessità, accompagnata - ahinoi! - da una costante perdita degli strumenti atti ad interpretare tale complessità e fiancheggiata - doppio ahinoi! - dalla crescente diffusione dei "geni da Internet", coloro i quali, alla stessa stregua dei politici, discettano di tutto senza sapere (e capire...) niente di niente.
       Premessa fondamentale di questo tipo di approccio è che esso equivale, nel caso ad esempio si parlasse di guerra, a lodare - nel 2017...!!!! - l'utilità pratica futura della "guerra di trincea". A mio giudizio, per contro, occorre dotarsi di strumenti nuovi e, in primo luogo, di una FONDAMENTALE ACQUISIZIONE: nella realtà contemporanea, vero e falso hanno cessato da tempo di esistere, e ad essi si è sostituità una VIRTUALITA' REALE, in cui questi due concetti hanno perso qualsiasi consistenza, dal momento che siamo sprofondati in un'epoca di puro nominalismo, dove le definizioni di "vero" e "falso" sono affermazioni assolute (talmente assolute da risultare relative...), prive di qualsiasi riscontro con la realtà.
       Non sussiste nemmeno più spazio per il verosimile, perché ha ceduto posto all'unica cosa che conti oggi: LA COSTRUZIONE DI REALTA'. Su questo tema occorrerebbe soffermarsi molto di più di quanto non si sia fatto finora, poiché LA "VIRTUALITA' REALE" COSTITUISCE IL TERRENO IDEALE PER QUALSIASI TIPO DI MANIPOLAZIONE, che agli uni apparirà "vera" e agli altri "falsa".
       In una parola, sarebbe bello se si smettesse di parlare di tutto questo in termini di vero e falso. DALLA POLITICA, COME DALLA GUERRA, "VERO" E "FALSO" SONO STATI COMPLETAMENTE E DEFINITIVAMENTE ESPULSI. Nella "guerra per bande" che caratterizza ormai il nostro pianeta, l'unica cosa che conta è la banda di cui uno fa parte (o alla quale ritiene di appartenere o semplicemente si sente di appartenere). Null'altro ha importanza.  LA POLITICA E' OGGI LA PIU TERRIBILE DELLE GUERRE, CHE CONTINUA CON ALTRI MEZZI, conferendo al fondamentale assunto clausewitziano ("la guerra è la politica che continua con altri mezzi") nuove forme di vita e rinnovate possibilità di applicazione. E' una "Krieg mit Hass", una "guerra con odio". Null'altro conta, solo l'eliminazione totale dell'avversario, cui non è risconosciuta alcuna legittimità, se non quella di defunto o di schiavo sconfitto. Poi, ovvio, ci sono varie forme di distrazione di massa, come la scoperta del nemico "esterno", del "terrorista", del "lunatico". Grande silenzio, per contro (et pour cause...), sul fatto che l'unico nemico vero è rappresentato da quelli che stanno SOPRA rispetto agli underdog che stanno SOTTO, verità vagamente contraddittoria per delle democrazie (o presunte tali...). E se per caso circolano notizie e forme di solidarietà attiva tra gli "ultimi", che in qualche modo cercano di organizzarsi e di darsi voce utilizzando strumenti come Internet, allora sono notoriamente "fake news", mentre i falsi di Stato sono, al più, gestione degli arcana imperii, fatta - ça va sans dire - per il bene del popolo e del genere umano...
       Com'è noto, l'era della democrazia totalitaria è il "migliore dei mondi possibili" ed essa fa ogni giorno notevoli sforzi per dimostrarcelo. Se io per primo non dovessi preoccuparmi, giorno dopo giorno, di difendermi dalle sue aggressioni fiscali, lavorative, predatrici e liberticide, mi piacerebbe ancora scrivere un bel libro su questo tema, prima di chiudere la mia orribile esperienza in questo mondo di maleodorante guano. Un modo per tentare di regolare i conti, prima di scomparire per sempre, con quella "Grande Meretrice". In pura perdita, ma dando a Taide (confido nelle vostre conoscenze dantesche...), quello che le spetta: e si sa che, come meretrice, costa carissima...

                                Piero Visani





       

lunedì 27 novembre 2017

I "marchesi del Grillo"

      Mi è capitato per caso, ieri sera, di guardare un quarto d'ora di "Non è l'arena", la trasmissione di Massimo Giletti su La7. Tra i vari presenti in studio, c'era l'onorevole Gianfranco Rotondi, una delle pregevoli "perle" che la Democrazia cristiana e il berlusconismo ci hanno regalato in politica.
       Interpellato da un fornaio collegato via video sulla diversità di trattamento tra un autonomo (in pensione dopo 42 anni di lavoro piuttosto usurante a 900 euro/mese, per la nota questione per cui il centrodestra è sempre vicino agli autonomi...) e un parlamentare, non ha trovato meglio che rispondergli che tale differenza era frutto dei casi della vita, di mera casualità: lui (Rotondi) si era trovato "casualmente" sopra e l'artigiano altrettanto "casualmente" sotto, ma non aveva che da farsene una ragione, semplice frutto delle circostanze, e ovviamente accettare la sua sorte, meno felice di quella di un parlamentare...
       Moto di stupore in studio, mentre il fornaio, con molta classe, vistasi restituire la parola, paragonava l'on. Rotondi a un guitto, un emerito imitatore (privo però dell'immensa classe dell'archetipo) di Totò. Con un po' meno classe, avrebbe potuto paragonarlo ad Alberto Sordi, nella sua celeberrima interpretazione de "Il Marchese del Grillo" e nella ancora più nota frase: "io so' io e voi non siete un cazzo!".
       Questo è il livello della democrazia italiana: "cari sudditi, se non prenderete nulla (o quasi) di pensione, non è un problema mio; è palesemente un problema vostro. Io al massimo posso ricordarvi la nota favola di Fedro: 'Superior stabat lupus; longeque inferior agnus'".
       Ciò è quanto si guadagna a fare gli agnelli con i lupi: non solo a farsi sbranare dai secondi, il che ci potrebbe anche stare, ma a farsi prendere pubblicamente per le terga, con sovrano disprezzo per la propria evidente inferiorità. Viva la libertà! Viva la democrazia!

                             Piero Visani





domenica 26 novembre 2017

I "volonterosi carnefici"

       Il "Corriere della Sera" di oggi dedica una pagina intera alle follie della burocrazia fiscale italiana, con provvedimenti che escono a raffica e complicano all'infinito la vita di quei quattro fessi che, nel nostro Paese, avrebbero ancora il coraggio di lavorare...
       Il quotidiano milanese deplora e stigmatizza il comportamento dei burocrati, nota come costituiscano una palla al piede per questo Paese, ne impediscano ogni possibile ripresa e lo massacrino per il solo gusto di farlo, come è tipo di ogni soggetto con mentalità burocratica, che vede e costruisce il mondo nelle dimensioni da pigmeo - umano e intellettuale - che gli sono proprie.
       Tutti deplorano - compreso il principale quotidiano italiano - e nessuno naturalmente fa niente, perché la stessa politica, ormai, non è più in grado di controllare la burocrazia, nell'applicazione come nella disapplicazione delle leggi.
       Visto che ormai le "giornate contro la violenza a carico di questa o di quell'altra categoria" sono diventate un "must", mi permetto sommessamente di proporre il varo di una "Giornata nazionale contro le vessazioni della burocrazia italiana". Avrebbe adesioni plenarie e, se non servirebbe a salvare un Paese ormai più che morto, potrebbe almeno rendere qualcuno consapevole del fatto che i burocrati, in Italia, sono talmente folli e persecutori che ci verrebbero a cercare persino nell'Aldilà. I "volonterosi carnefici" hanno infatti ucciso un Paese, ma mica gli basta. Sognano già nuove vittime e vogliono duplici e triplici morti, quelle che li fanno sentire "utili", utili alla vita...                                

                   Piero Visani







    

mercoledì 22 novembre 2017

Sport e guerra


        Nell'agosto 1942, mentre si accentua l'offensiva tedesca in direzione del Caucaso, la vista del Monte Elbrus, con i suoi 5.642 metri di altezza, posto in buona parte nel territorio dell'odierna Georgia, si trasforma in breve in una tentazione irresistibile per gli alpini germanici della 1a e 4a Divisione da Montagna. Nelle loro file, del resto, sono presenti provetti scalatori, i quali ritengono che portare la bandiera del Reich a garrire in cima alla vetta più alta del Caucaso potrebbe costituire un successo propagandistico non indifferente, in un momento in cui le sorti della guerra appaiono ancora favorevoli.
Il comandante della 1a Divisione da Montagna, la celeberrima "Edelweiss", il generale Hubert Lanz, da tempo stava pensando di poter compiere un exploit alpinistico-sportivo, tant'è vero che, già il 9 agosto 1942, aveva ordinato ad un suo subordinato, il capitano Heinz Groth, di costituire una speciale compagnia d'alta montagna, composta dai migliori alpinisti della Divisione e da qualche altro sperimentato elemento della 4a Divisione da Montagna.
       Dopo due tentativi falliti a causa delle pessime condizioni meteorologiche, il 21 agosto 1942, intorno alle ore 11, i 23 membri della compagnia speciale raggiunsero la vetta dell'Elbrus. Spirava un vento fortissimo, per cui fu possibile soltanto piantare una bandiera ma non scattare fotografie.
Per sopperire alla mancanza di foto, l'impresa venne ripetuta due giorni dopo, il 23 agosto, dal tenente Herbert Leupold e da altri otto alpini, i quali tra l'altro si accorsero che Groth ed i suoi non erano arrivati propriamente sulla vetta.
       Anche in questo caso, però, le foto scattate non si dimostrarono soddisfacenti, per cui l'Alto Comando della Wehrmacht decise di affidare a Hans Ertl, alpinista di fama ed eccellente cameraman, il compito di salire nuovamente in vetta e di farlo quando le condizioni del tempo potessero consentire le migliori riprese. Fu quanto Ertl riuscì a fare il successivo 7 settembre, favorito da un sole splendido. Egli girò immagini e scattò fotografie professionali, e arrivò davvero in cima all'Elbrus, come era già riuscito a fare Leupold, ma purtroppo senza riuscire a documentarlo adeguatamente. Le immagini di Ertl furono invece diffuse da tutti i cinegiornali germanici e fecero il giro del mondo, e sono quelle che sono arrivate fino ad oggi.
        Informato dell'exploit delle truppe da montagna, Hitler ebbe un formidabile accesso di collera, se la prese con degli uomini che non avevano compreso il senso della guerra rivoluzionaria che il Reich stava combattendo e arrivò addirittura a proporre il deferimento alla corte marziale "di borghesucci che erano ben decisi a mantenere le loro stupide abitudini da civili anche nel bel mezzo di una tempesta planetaria".
Il successo propagandistico ottenuto dal Reich fu però di entità tale, a livello di opinione pubblica, da indurre i consiglieri del Fuehrer a persuaderlo a desistere da una decisione tanto drastica, che non sarebbe stato compresa dai tedeschi.
       Hitler continuò comunque ad ironizzare sull'impresa ancora per parecchi mesi e ad indicarla come un'assurda distrazione di forze dall'obiettivo principale, che era quello di sfondare oltre il Caucaso.
Sotto il profilo strettamente alpinistico, l'impresa degli Alpenjaeger germanici resta di assoluto rilievo, in quanto essi riuscirono ad arrivare in vetta al monte più alto del Caucaso non disponendo altro che della loro sensibilità di alpinisti, senza alcuna indicazione o mappa di avvicinamento precisa.

                                 Piero Visani




martedì 21 novembre 2017

Gaetano Mosca, "Il Principe di Machiavelli" - Recensione

       Scrivere qualcosa di sensato intorno a un libro come quello di Gaetano Mosca, Il Principe di Machiavelli. Quattro secoli dopo la morte del suo autore, con un saggio introduttivo di Carlo Gambescia (Edizioni Il Foglio, Piombino 2017, pp. 105, 12 euro), non è facile per chi - come il sottoscritto - ha una conoscenza della scienza politica assolutamente modesta e per nulla specialistica. Si tratta infatti di mettersi a confronto con maestri, e da un confronto del genere si esce inevitabilmente - e giustamente! - schiacciati, per manifesta incompetenza.
       Di Mosca, Machiavelli e della scienza politica, Gambescia ci fornisce un'interpretazione da par suo, nella ricca e dotta introduzione all'opera, e francamente non so che cosa il sottoscritto potrebbe aggiungere. Posso al limite sottolineare quello che mi ha colpito, vale a dire l'accentuazione - nell'interpretazione moschiana - del fatto che Machiavelli pone soverchio rilievo all'enfatizzazione dell'opera del singolo (il "Principe") in politica, mentre per lo studioso siciliano non esiste il potere di uno solo, così come non esiste un potere basato esclusivamente sulla forza e sull'inganno (pur se questa affermazione - a guardarmi intorno anche e soprattutto nel mondo contemporaneo - mi lascia maggiormente perplesso). Mi trova invece pienamente concorde la conclusione di Gambescia, per il quale "il punto fondamentale sollevato da Mosca,..., è che ogni forma di regime, anche quello che si dichiari ultrademocratico, il potere continua ad essere esercitato da una minoranza e trasmesso da una minoranza all'altra". Cresciuto negli anni Sessanta del Novecento, alla disperata ricerca - nei miei aneliti giovanili - di credibili alternative politico-morali alle sozzure e ai conformismi che mi vedevo quotidianamente scorrere sotto gli occhi nell'Italia catto-comunista di quegli anni, ho creduto di trovarle in un "altrove" che esisteva solo nella mia immaginazione, che spregiava allora - come spregia oggi - "l'umano, troppo umano". Me lo hanno fatto scoprire non pochi dei miei presunti compagni di strada (ma per fortuna non di merende, semplicemente perché io non ho mai fatto merenda in vita mia...) quanto quell'"umano, troppo umano" fosse clamorosamente diffuso anche là ove io pensavo (speravo...) che non ci fosse. E invece c'era, eccome se c'era. Così ho scelto in piena coscienza di diventare anarchico e alieno, nell'ordine.
       Quanto al saggio vero e proprio di Mosca, credo di poter parlare con cognizione di causa solo dei non molti accenni che egli fa alle concezioni militari di Machiavelli e, in particolare, alla netta preferenza di quest'ultimo per le forze nazionali - espressione di un Paese e di un popolo, in quanto in essi obbligatoriamente reclutate - a scapito di quelle mercenarie, talvolta formate da autentici professionisti di alto livello ma, proprio perché questi ultimi vivono "della guerra e per la guerra", attenti a farne una scelta di vita (piuttosto che di morte...), comunque sottoposta alle loro personali fortune e non certo a quella di coloro per cui combattono o dovrebbero combattere. Preferenza comprensibile, in linea di massima, ma alla quale ci si può accostare correttamente solo tenendo a mente la situazione dell'epoca in cui l'opera machiavelliana fu scritta, un'epoca in cui il modello militare di riferimento era per lui quello di Roma repubblicana, ma difficilmente esso avrebbe potuto essere trasposto in forma credibile nella realtà politica del suo tempo. Ben più lucida, per contro, appariva l'intuizione del nesso indissolubile esistente tra guerra e politica, e della subordinazione del potere militare a quello civile.
       In definitiva un libro ricco di spunti di riflessione, tanto nel saggio introduttivo di Gambescia quanto nella riflessione di Mosca sul Machiavelli, e come tale consigliabile anche al lettore non specialistico.
                 
                                                                                                      Piero Visani




lunedì 20 novembre 2017

Il cerchio si chiude

       Parecchi decenni fa, ancora in periodo di "Guerra Fredda" tra Usa e Urss, la partecipazione alle elezioni era promossa, sulla stampa delle opposte fazioni, come modalità per "combattere il nemico". Si votava per scongiurare il "pericolo rosso" o per rompere le uova nel paniere agli "amerikani". Non a caso, la partecipazione degli italiani alle varie tornate elettorali era sempre molto elevata.
       Dopo il 1989, venuta meno la dimensione della politica, è rimasta quella della cleptocrazia, cui con il tempo ci si è resi conto che partecipano un po' tutti i soggetti politici, per cui - visto che pagare tasse, assistere al costante incremento del debito pubblico e sperimentare la perdita di qualsiasi concreto diritto di cittadinanza era questione quotidiana, per nulla connessa a una forza politica piuttosto che ad un'altra  - la totale inutilità del voto si è resa progressivamente più evidente. I partiti, infatti, sono assolutamente intercambiabili, fanno tutti le medesime nefandezze e dei cittadini e delle loro esigenze non interessa loro alcunché. Così, come ieri ad Ostia, ha votato ormai solo un elettore su tre.
       Si sta dunque verificando un interessante fenomeno, quello delle tornate elettorali come esperimenti familiar-parental-clientelari. In una parola, votano ormai solo coloro che sono legati ai partiti da una qualche forma di interesse, diretto o mediato. Tutti gli altri si astengono, in quanto sanno bene che è perfettamente inutile partecipare a quelli che un tempo furono denominati "ludi cartacei" e  che oggi sono semmai simpatiche competizioni "intra moenia" tra appartenenti a club diversi, apparentemente ostili ma in realtà formidabilmente solidali.
       Il cerchio quindi si è chiuso: gli appuntamenti elettorali non più come manifestazioni di orientamento delle scelte di pubblico interesse (ammesso e per nulla concesso che siano davvero mai stati tali...) ma come competizioni riservate e in fondo oligarchiche tra membri di gruppi d'interesse a volte anche molto ristretti. 
       Il processo "democratico" ha completato il suo corso e si è portato talmente vicino al popolo che ormai il numero di coloro che votano si sta riducendo vieppiù. "Le magnifiche sorti e progressive"...

                          Piero Visani



domenica 19 novembre 2017

L'incendio di Washington D.C., 24 agosto 1814

       Quando gli Stati Uniti, nel 1812, dichiararono guerra alla Gran Bretagna, il governo di Londra, costretto a fare i conti con l'impero napoleonico al culmine della sua potenza, preferì mantenere un'attitudine strettamente difensiva e basarsi solo sulle forze disponibili a livello locale, non volendo distogliere truppe né dalla difesa della madrepatria né dal conflitto che stavano conducendo in Spagna contro i francesi, sotto il comando del duca di Wellington.
       Tuttavia, dopo la sconfitta e l'abdicazione di Napoleone nell'aprile 1814, il governo britannico poté finalmente inviare rinforzi in Nordamerica, onde passare all'offensiva anche contro gli Stati Uniti. Intorno alla metà di luglio di quello stesso anno, dopo una ponderata valutazione degli obiettivi da privilegiare per lanciare un'offensiva, lo Stato Maggiore inglese scelse come massima priorità un attacco alla capitale Washington, considerandolo un'offensiva relativamente agevole per chi - come la Royal Navy - poteva contare sul controllo del mare e organizzare un corpo di spedizione ad hoc, visto che colpire la capitale degli USA avrebbe avuto anche un poderoso effetto a livello di immagine.
       Oltre all'ostilità politica, per di più, c'era una precisa volontà britannica di colpire per rappresaglia le proprietà di cittadini statunitensi, dal momento che, durante i due anni di guerra precedenti, le truppe statunitensi si erano abbandonate a violenze e saccheggi di ogni genere a carico delle proprietà britanniche poste lungo i confini con il Canada.
       Venne così organizzato un corpo di spedizione al comando del maggior generale Robert Ross - composto dal 4° Rgt. Leggero, dal 21° Rgt. Royal North British Fusiliers, e dal 44° e 85° Rgt. di fanteria, oltre a un distaccamento di circa 200 Royal Marines - per un totale di circa 4.500 uomini.
       Dopo lo sbarco nella baia di Chesapeake, questo piccolo esercito ebbe facilmente ragione delle forze statunitensi nella battaglia di Bladensburg, una località del Maryland situata a soli 14 km da Washington. Appresa la notizia della sconfitta, il presidente Madison e tutta la dirigenza politica USA furono costretti ad abbandonare frettolosamente la capitale e, la stessa sera del 24 agosto 1814, il piccolo esercito britannico fece il suo ingresso a Washington senza incontrare alcuna opposizione.
       I soldati britannici vennero subito diretti verso il Campidoglio, all'epoca considerato l'edificio di maggior rilievo della capitale, che venne ampiamente saccheggiato. Poi i genieri a disposizione del generale Ross si preoccuparono di dare fuoco all'edificio, anche se incontrarono non poche difficoltà nel farlo, considerata la solidità della struttura in pietra del Campidoglio stesso. I loro sforzi tuttavia ebbero successo quando riuscirono a dare fuoco a una grande massa di mobilio e ad alimentare l'incendio con polvere da sparo.
       Dopo aver colpito il Campidoglio, i soldati britannici si diressero lungo la Pennsylvania Avenue verso la Casa Bianca e appiccarono il fuoco anche alla dimora presidenziale, badando bene ad alimentare l'incendio di modo che potesse durare a lungo e rivelarsi totalmente distruttivo.
       Altri edifici pubblici furono messi a fuoco, a cominciare dal Dipartimento del Tesoro per proseguire con quello della Guerra. Tuttavia, non erano ancora passate ventiquattr'ore dallo scoppio del primo incendio che un improvviso e violentissimo temporale - con tutta probabilità un uragano - si abbatté su Washington e di fatto spense tutti i focolai. La forza dell'uragano risultò talmente distruttiva da indurre le truppe inglesi a ritirarsi frettolosamente dalla capitale degli Stati Uniti ed esso è passato alla storia - nella memoria collettiva USA - come "la tempesta che salvò Washington", anche se in realtà non salvò granché, dal momento che il corpo di spedizione inglese riuscì a compire nel migliore dei modi l'azione di rappresaglia che si era prefissato fin dall'inizio, quella di danneggiare proprietà americane. Dando fuoco nientemeno che alla Casa Bianca e al Campidoglio, tale obiettivo poté dirsi pienamente raggiunto.

                      Piero Visani



mercoledì 15 novembre 2017

Federica Baldi - Umberto Visani, "I misteri dell'Umbria" - Recensione

       Ogni regione italiana (e non solo italiana) è ovviamente ricca di misteri, e non potrebbe essere diversamente, visto che si tratta di aree geografiche che vantano una storia plurimillenaria, piena di aspetti interessanti ai più diversi livelli. Bene ha fatto quindi l'Editore Morlacchi di Perugia a pubblicare un'agile ma al tempo stesso approfondita e informata opera di Federica Baldi e Umberto Visani, I misteri dell'Umbria, Perugia 2017, 146 pp., prezzo 12 euro.
       Scritto a quattro mani da due esperti del settore dei "misteri", il libro prende le mosse dalle origini degli Umbri per procedere poi ad occuparsi delle piramidi di Piediluco e della struttura della Scarzuola, e soffermarsi successivamente sui messaggi occulti presenti nell'arte umbra, come pure sui messaggi esoterici e massonici rinvenibili nei sotterranei di Narni.
       I capitoli successivi si spostano maggiormente verso i tempi moderni e trattano in particolare delle inquietanti presenze del satanismo in Umbria e del "caso Narducci", strettamente connesso a quello del "Mostro di Firenze"; di entità, presenze e fantasmi ben noti nell tradizione locale; e infine della casistica ufologica riscontrabile nella regione.
       Supportato da una solida bibliografia/sitografia e corredato da un ricco apparato iconografico, I misteri dell'Umbria è un libro che testimonia come si possano scrivere opere di carattere solidamente scientifico anche su temi cui in genere si tende a non riconoscere tale dignità. Di questo va dato merito ai due Autori, i quali non cedono mai alle tentazioni della "dietrologia" o delle generalizzazioni grossolane, ma al tempo stesso non si lasciano in alcun modo condizionare da quelle moderne forme di "pensiero unico" spesso inclini a negare (in genere tutt'altro che a caso...) anche l'evidenza. Esemplari, in questo senso, sono le pagine sui rapporti tra Umbria e "Mostro di Firenze", che evidenziano come, tra i "compagni di merende", siano stati tirati in ballo e portati in giudizio solo quelli che faceva comodo utilizzare come capri espiatori, lasciando deliberatamente fuori tutto ciò che poteva orientare le ricerche in direzioni meno prevedibili. Non per nulla, il caso è tutt'altro che chiuso...

                   Piero Visani




lunedì 13 novembre 2017

"Storia della guerra dall'antichità al 1914"

       "Storia della guerra dall'Antichità al 1914", volume primo di "Storia della guerra dall'Antichità ad oggi" è stato appena consegnato da me all'editore in versione definitiva. Secondo la pianificazione concordata con Oaks Editrice, dovrebbe uscire nel prossimo mese di marzo.
       Il volume è stato integrato da una ricchissima bibliografia, di modo che chi legga il testo, assolutamente sintetico e semplice, possa trovare - se crede - tutto il materiale di riferimento necessario per approfondire maggiormente le tematiche di suo interesse.

                             Piero Visani



giovedì 9 novembre 2017

Headhunters

       Capita che la sacrosanta polemica contro alcune delle più evidenti degenerazioni del capitalismo porti erroneamente ad interpretare troppo alla lettera alcune delle sue componenti, ad esempio quella dei "cacciatori di teste".
       Il problema di fondo della contemporaneità è che il conflitto è diventato talmente complesso da non poter in alcun modo essere lasciato in mano ai violenti. Se accade, anche solo per caso o per distrazione, il risultato è sempre un bel autogol, un plastico esempio di eterotelìa, o eterogenesi dei fini che dir si voglia. E, a differenza che nella guerra asimmetrica, non si ha "la sconfitta del vincitore", ma "l'affossamento del perdente". Chapeau!
       La considerazione mi nasce spontanea leggendo in rete alcuni commenti su una deplorevole vicenda di ieri, ispirati a virilismo od a goliardia che sono entrambi alquanto superficiali - come strumenti interpretativi - in una società complessa come quella contemporanea. A meno che non si tratti delle solite interpretazioni che escono in forma ridotta per venire incontro alle capacità intellettuali degli autori...

                      Piero Visani







                        

mercoledì 8 novembre 2017

Aggiungi un posto a tavola...

       Il centrodestra appare potenzialmente vincente ed ecco tutti i transfughi di questa terra pronti a cercare un rapido reimbarco. Questa è l'essenza della politica in Italia o forse - molto più correttamente - questa è l'Italia? Siamo all'8 novembre, ma l'aria che tira è sempre è soltanto quella dell'8 settembre. E' nel nostro DNA, godiamocelo fino in fondo...

                                    Piero Visani



lunedì 6 novembre 2017

Sunday, sexy Sunday

       Sneeem, Ring of Kerry, Repubblica d'Irlanda, agosto 2008.
       Dopo una settimana di pioggia intensa e intensissima, da me molto amata perché mi ha consentito di riscoprire colori, umidità e sapori della mia adorata Irlanda, la domenica si presenta con un sole splendente e intensissimo, e senza vento.
       Giornata assolutamente anomala anche per uno dei punti più meridionali dell'"isola di smeraldo", ma giornata festiva e, dal giardino della nostra casa di vacanze, man mano che scorrono le prime ore del mattino, si nota che spiagge e spiaggette dei dintorni si stanno popolando di "vacanzieri della domenica", che inquinano non poco la sacralità e il silenzio di quegli splendidi luoghi.
       Non essendo piante, e dunque non bisognosi - come altri, pare... - di fotosintesi clorofilliana, decidiamo di desistere dal cercare rifugio in una qualche spiaggia soverchiamente nazionalpopolare e inevitabilmente "cheap", per cui mia moglie rimane in giardino a prendere il sole in una seclusa tranquillità, mentre mio figlio ed io troviamo rifugio nell'unico campo da tennis del paese, con un terreno in buon materiale sintetico.
       Ci limitiamo a palleggiare, ma l'intensità degli scambi è tale da richiamare qualche ragazzino del posto, che ci chiede se siamo professionisti (ah, beata ingenuità...!) e da dove veniamo. Appurato che siamo italiani, i giovinetti locali intavolano una fitta conversazione  con mio figlio, molto fluente nella lingua inglese, e sottolineano con vivaci applausi gli scambi migliori, non facendoci neppure mancare - secondo la migliore tradizione celtica - qualche battuta ironica quando qualche colpo proprio non entra...
       Il sole di fine mattinata è talmente intenso e la pelle di mio figlio talmente chiara e delicata che, dopo circa un'ora e quarantacinque minuti di gioco decidiamo di desistere, colti anche da una forte sete.
       Risaliamo in auto e prendiamo la direzione di casa, ma per prima cosa decido di fermarmi al minimarket che è diventato un po' il nostro negozio preferito nella deliziosa Sneem. Non pensavo fosse aperto di domenica, tanto meno alle una in punto, ma noto che addirittura le porte d'ingresso sono spalancate e dunque parcheggio l'auto ed entro, mentre mio figlio rimane a bordo.
       Il market è totalmente deserto ma, dal momento che è un self-service, faccio una robusta provvista di micidiali bevande gassate che sono la mia gioia e poi mi posiziono in attesa davanti alla cassa, visto che fino a quel momento, nonostante al mio ingresso nel negozio fosse suonato il cicalino di avvertimento, nessuno dal retro è ancora comparso.
       Non dovendo più acquistare nulla, il mio orecchio inevitabilmente si tende e comincio a percepire come delle presenze. Emetto allora due o tre colpi di tosse, tanto per dare segno del mio essere lì e rilevo chiaramente un mugolio di natura inequivocabile, almeno per me...
       "Vengo", esclama una voce femminile con un gradevole accento irlandese e a me - che sono ilare, più che malizioso - verrebbe quasi da risponderle: "Non ne dubito, cara...!". Ma ovviamente mi trattengo.
       Passano ancora non pochi minuti, mentre dal retro emergono suoni di tramestio, poi scostando la tenda che separa il retro dal market compare una deliziosa brunetta, sui 35 anni, che si sta ancora aggiustando la parte superiore di quello che a prima vista parrebbe un bikini. Nel dubbio, visto che il bancone del negozio è piuttosto alto, mi sporgo lievemente per vedere se è riuscita ad indossarlo tutto, il bikini, considerato quello che ella stava inequivocabilmente facendo... Verifico e prendo atto del fatto che sì, la parte inferiore è riuscita ad infilarsela per intero.
       Senza che io proferisca verbo, la brunetta sente il dovere di dirmi: "Mi scusi, ma è una giornata splendida oggi ed eravamo tutti nella spiaggetta qui dietro a prendere il sole e l'ho sentita in ritardo".
       Le sorrido, pensando che, se non ha sentito il cicalino d'ingresso, è davvero singolare che sia riuscita a sentire qualche mio tossicchio di circostanza. Inoltre, mi chiedo come mai - dopo una settimana in paese - non mi sia mai accorto che dietro il minimarket vi sia una qualche spiaggetta (che in effetti - constaterò dopo - assolutamente non c'è...).
       Mostro alla giovane donna le bevande che intendo acquistare e lei ne digita il prezzo alla cassa, sempre in una condizione d'animo fra l'agitato, il divertito e il vagamente complice. In quel preciso istante, emerge dal retro un tizio corpulento, almeno cinquantenne, che nei giorni antecedenti avevo individuato come proprietario del negozio. E' rosso come un gambero e vagamente ansimante, ma almeno la maglietta e i calzoncini che indossa è riuscito a metterseli con una certa cura. Sole, sole d'Irlanda. Sensi in tensione estiva o esigenze di mantenimento del posto di lavoro...? Forse entrambe le cose.

                         Piero Visani







                         

sabato 4 novembre 2017

Tocchi di classe


       Durante l'assedio (giugno-luglio 1758) - da parte britannica - della città canadese di Louisbourg, all'epoca dominio francese, la moglie del governatore Ducrour, per incoraggiare la guarnigione, era solita recarsi ogni giorno sulle mura cittadine e sparare personalmente tre colpi di cannone, da tre pezzi d'artiglieria diversi.
       Il generale Jeffery Amherst, comandante delle truppe britanniche, venne informato della singolare abitudine di Madame de Drucour e rimase molto impressionato dall'inusuale coraggio della donna. Durante una tregua, quindi, le fece recapitare - a titolo di omaggio personale - due ananas, che all'epoca, e in quella parte settentrionale del Canada, erano da considerarsi un'assoluta rarità.
       Madame de Drucour apprezzò il gesto da gentiluomo del generale nemico e lo ricambiò facendogli pervenire una cassa di bottiglie di pregiato vino francese, ma non desistette dalla sua abitudine di fare quotidianamente fuoco sulle truppe britanniche con tre cannoni diversi.
       Nel dipinto di Patrice Courcelle, Madame de Drucour è ritratta mentre è impegnata nella sua attività quotidiana sul bastione Dauphin, vestita con un abito verde sormontato da un cappuccio bianco.
      Di fatto, ancora nel 1758 sopravvivevano, quanto meno tra le classi dirigenti delle due maggiori potenze europee dell'epoca, le più tipiche tradizioni della "guerre en dentelles" e i tipici atti di galanteria che gli alti ufficiali erano soliti riservare a quelle rappresentanti del "gentil sesso" che avevano l'ardire di rompere il tradizionale monopolio maschile della guerra.

                                   Piero Visani




giovedì 2 novembre 2017

Blog "Sympathy for the Devil": 155.000 visualizzazioni!

       Distratto come sono dai tocchi finali di preparazione del mio libro Storia della guerra dall'antichità al 1914 e da pressanti impegni di lavoro, sto dedicando davvero pochissimo tempo al mio blog e scrivo pochi post. Tuttavia l'interesse dei lettori non è fortunatamente venuto meno e ho appena raggiunto le 155.000 visualizzazioni. Ringrazio quindi quanti mi seguono per l'attenzione con cui lo fanno.

                     Piero Visani